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Purpose aziendale: la sinergia tra etica, innovazione e diritto crea valore a lungo termine



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Il purpose aziendale, variegato e poliforme, è cruciale per distinguersi sul mercato, generando valore a lungo termine. Esso si intreccia con il diritto, trasformando asserzioni di principio in realtà aziendali strutturate. La governance deve integrarlo nelle strategie, bilanciando etica, innovazione e responsabilità legale

Pubblicato il 22 ott 2024

Vera Daniele

avvocato e partner di LS Lexjus Sinacta



purpose aziendale (1)

Tutti gli esperti di purpose sono concordi nel ritenere variegata e poliforme la definizione di purpose. Il precursore del concetto di purpose, Larry Fink di BlackRock nella sua lettera ai CEOs del 2018 “A sense of Purpose”, lo definisce “(…) non la sola ricerca di profitti, ma la forza animatrice per raggiungerli.

Purpose aziendale: una declinazione moderna dell’antico concetto di “utilità sociale”

Il purpose è anche definito quale capacità dell’azienda di distinguersi sul mercato, generando valore di lungo termine per tutti i portatori di interesse o quale ragione che esprime il “perché” facciamo quello che facciamo, dove vogliamo avere un impatto (il “perché”, il Why di cui parla Simon Sinek sul suo bestseller “Find your WHY” pubblicato nel 2017)?

A prescindere dalla fonte definitoria, impossibile anche solo percepire o intuire un richiamo o una qualche ratio, che abbia affinità con il diritto, apparendo il purpose più compatibile con l’universo dell’etica e della morale.

Eppure, a ben vedere, il corporate purpose –  terzo pilastro dello sviluppo di un’impresa, accanto alla mission e alla vision aziendale – altro non è che una declinazione moderna dell’antico concetto di “utilità sociale”, che tanto stava a cuore all’Assemblea costituente, da esplicitarla nell’articolo 41 della nostra Costituzione, quale unica legittima forma di limitazione dell’iniziativa economica privata, che non può svolgersi “[.] in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Nel corso del tempo, il concetto di utilità sociale si è evoluto e adattato alla realtà storica, passando da un’accezione meramente valoriale, alla sua identificazione con il diritto/dovere da parte di ogni individuo di lavorare, perché il lavoro era inteso quale unico ed esclusivo strumento di acquisizione della dignità personale, dell’autonomia economica e, quindi, della libertà, in linea con l’articolo 4 della Costituzione.

Oggi, il concetto di utilità sociale, inteso anche quale potere di intervento normativo, anche limitativo della libertà imprenditoriale, si identifica con il concetto di dignità, sicurezza, libertà individuale e collettiva, quale categoria non più riconducibile al solo “benessere economico della collettività”. È non è proprio questo il senso del Purpose? Anche il concetto di “utilità sociale” non sembra, quindi, poter essere definito solo facendo ricorso a standard extra-giuridici.

Il diritto come strumento per concretizzare il purpose

Affinché il corporate purpose possa irradiare i suoi benefici in termini di vantaggio competitivo sul mercato, così come su innovazione e qualità di prestazione o di prodotto, non è sufficiente che l’imprenditore si limiti a rispondere alla domanda “Qual è il Why della mia azienda?”, ma è necessario che la risposta diventi il timone di tutta l’organizzazione imprenditoriale e il focusdelle attività da e per gli shareholder e gli stakeholders.

Già questo fondamentale approccio porta con sé un rischio giuridico: la mera asserzione di un purpose, quale veicolo solo di un’efficace campagna di comunicazione e marketing, altro non è che una possibile ipotesi di greenwashing, potenzialmente sanzionabile quale fattispecie di concorrenza sleale ex articolo 2598 c.c.

È proprio il diritto, soprattutto nella sua funzione preventiva, a poter costituire un forte e imprescindibile strumento di trasformazione di un’asserzione di mero principio in elemento strutturato e consolidato dell’impresa, conferendo dunque concretezza al purpose dichiarato nelle diverse attività dell’azienda.

Offrire prodotti e servizi in modo coerente con il purpose aziendale

Nella gestione di un’azienda purpose-driven proviamo a domandarci quale può essere o, meglio, deve essere l’impatto sui prodotti e servizi offerti dall’azienda stessa, dalla produzione o realizzazione al godimento da parte degli acquirenti finali.

La case history di Patagonia

A questo proposito, si può citare la famosa la case history di Patagonia, che fra le plurime iniziative, ha anche assunto l’impegno di utilizzare per la produzione dei propri capi, solo cotone 100% coltivato biologicamente e da fonti etiche. Come il diritto può dare concretezza a questa impegnativa promessa, se non attraverso un’attenta redazione tailor made, ad esempio, dei contratti con i propri fornitori? È di palmare evidenza che la stesura di clausole contrattuali ad hoc sono necessarie per introdurre obblighi in ambito etico, ambientale sociale e di governance in capo ai fornitori, per garantire ambiti di adempimento ed obbligazioni, altrimenti inutilmente «costrette» nel limitato contesto della vendita disciplinata dal Codice civile.

Il principio dell’autonomia contrattuale

Il principio dell’autonomia contrattuale, in questo caso, dovrà essere declinato nella condivisione di requisiti minimi di prestazione, il cui rispetto deve permeare l’intera filiera produttiva e distributiva, prevenendo rischi legali e reputazionali, ma anche condividendo con i propri interlocutori contrattuali, obiettivi ulteriori rispetto al profitto. In concreto, sarà necessario introdurre nei contratti:

  • Le specifiche dei requisiti e standard, ai quali il produttore/fornitore dovrà attenersi nell’adempimento alle proprie obbligazioni, qualificando tali requisiti, quali elementi essenziali della prestazione, identificandoli anche quali clausole risolutive espresse;
  • Il diritto del cliente/acquirente di procedere con attività di monitoraggio continuo sulla filiera, attraverso attività di reporting e auditing, al fine di verificare il costante adempimento agli obblighi essenziali come sopra individuati e prevenire un’eccezione di quiescenza e tolleranza di eventuali inadempimenti;
  • Clausole di responsabilizzazione del produttore/fornitore per tutte le performance della filiera, prevedendo – da un lato – un sistema premiale per il raggiungimento di obiettivi, ma anche l’applicazione di penali in caso di mancato rispetto degli stessi, sino all’estremo rimedio della risoluzione del contratto per giusta causa;
  • Una concreta definizione dei principi di correttezza e buona fede sovrapponibile con il rispetto degli obiettivi valoriali comuni ai contraenti, ma la cui violazione sia passibile di rimedi giuridici.

Corporate purpose, innovazione e orientamento al cliente

Il purpose attraversa l’azienda e va oltre, richiedendo coerenza anche nella comunicazione e nel marketing del brand, impattando sui diversi pubblici di riferimento, clienti finali e community. Il purpose di un’azienda può esprimersi anche nella ricerca di modalità e soluzioni per conoscere al meglio i bisogni dei consumatori, per relazionarsi con modalità innovative e per soddisfarli al meglio.

La case history di Dove

Un’interessante case history, che fonde etica e innovazione, è l’azienda Dove, che fu tra le prime a pubblicizzare i propri prodotti attraverso l’immagine di modelle “normali”, lontane da qualunque stereotipo, concretizzando così il proprio obiettivo di promuovere l’accettazione di sé delle donne di ogni etnia e forma fisica.

L’ultima sfidante campagna pubblicitaria, “The Code”, illustra proprio l’impatto negativo che l’Intelligenza Artificiale, se utilizzata con scarsa consapevolezza, può avere sull’autostima delle donne e, come riportato dalla stessa azienda, i primi dati della sua ricerca lo dimostrano: “[…] una donna su tre sente il bisogno di cambiare il proprio aspetto fisico dopo essere stata esposta a immagini generate con l’AI che ritraggono modelli estetici irraggiungibili”.

Ma sono solo i consumatori destinatari del messaggio pubblicitario dell’azienda a dover pensare ad un uso consapevole dell’AI o l’attuazione del purpose non può prescindere da una buona practice di utilizzo responsabile dell’intelligenza artificiale da parte di tutta l’organizzazione?

Nuovamente, oggi più che mai, può venire in soccorso il diritto:

  • Attraverso una formazione che allerti gli appartenenti all’organizzazione sui rischi di un utilizzo improprio dell’AI e gli accompagni nell’apprendimento delle tecniche corrette di utilizzo;
  • Nell’implementazione delle privacy policies aziendali, con l’introduzione di best practice di utilizzo, non solo a protezione dei dati personali, ma anche a tutela delle informazioni dell’azienda integranti l’essenza del proprio know how;
  • Attraverso l’adempimento (anche, ma non solo, nei confronti del consumatore) degli obblighi di informazione e trasparenza sull’eventuale uso dell’Intelligenza Artificiale per l’elaborazione di testi e immagini, tanto cari al Regolamento AI, approvato il 13 marzo u.s.,
  • Attraverso un’attenta rivisitazione dei contratti con i prestatori d’opera individuale, che una volta ponevano il proprio ingegno e creatività al servizio del cliente e che ora chiedono un piccolo aiuto alla macchina. Sul punto, è già intervenuta la Cassazione specificando che, “[..]se l’utilizzo dell’AI ha assorbito l’elaborazione creativa dell’artista, rendendo il contributo umano irrisorio, il diritto d’autore non potrà essere riconosciuto. Mentre, se l’artista ha saputo dirigere, istruire, correggere e utilizzare consapevolmente l’AI, quest’attività è considerata parte integrante dell’opera, meritevole di tutela legale ai sensi del diritto d’autore” (Cass.Sez.I ordinanza 16 gennaio 2023, n.1107). Solo un contratto chiaro, che individui ex ante il separato apporto di uomo e macchina, potrà prevenire il rischio di una causa per violazione del diritto d’autore, oggi più che mai, di esito incerto.

L’impatto del purpose sulle persone in azienda

Il purpose aziendale prende forma tra le braccia delle persone che compongono l’azienda: dall’imprenditore, ai manager fino ai dipendenti. L’impegno di un’azienda nell’individuare quale sia il proprio purpose compie, come primo passo, la ricerca della coerenza proprio all’interno dell’azienda, tra coloro che contribuiscono ogni giorno con il proprio lavoro all’operatività e allo sviluppo dell’impresa.

In questa prospettiva, dare concretezza al purpose può significare, ad esempio, la creazione di un ambiente di lavoro accogliente e gratificante con chiari obiettivi di sviluppo professionale.

Per raggiungere questo obiettivo risulta quindi quasi scontato l’utilizzo degli strumenti giuridici offerti dalle normative vigenti, ma è importante rimarcare che, guardando all’interno dell’azienda, il passaggio da purpose-manifesto a purpose identitario, non può prescindere da un nuovo approccio alla concezione del rapporto datore di lavoro / dipendente.

Il benessere dei dipendenti sarà realmente percepito dagli interessati e dagli stakeholder, solo se:

  • Lo smart working non può concepito quale rimedio a situazioni di emergenza, ma quale ordinaria modalità di lavoro, che concede fiducia al dipendente, senza privare il datore di lavoro dei risultati. Per perseguire tale obiettivo, sarà inevitabile, sostituire l’elemento caratterizzante del lavoro subordinato della “messa a disposizione del dipendente”, con il concetto della “responsabilizzazione” alla prestazione, attraverso l’individuazione di obiettivi professionali e professionalizzanti;
  • Le politiche di welfare non possono essere improntate al prioritario beneficio fiscale dell’azienda, troppo volte percepite “lontane” dalle effettive esigenze dei lavoratori, che per tale motivo raramente le identificano quale occasione di beneficio e benessere. Il welfare quale possibile espressione concreta del corporate purpose non può essere adottato se non attraverso la valorizzazione della dimensione dell’ascolto e della personalizzazione dell’offerta. La banale richiesta di compilazione di una check list supporterebbe l’azienda nell’individuare piani di welfare più rispondenti ad uno specifico contesto, ponendo al centro la “persona” del lavoratore.
  • La parità di genere, non solo quale obiettivo di certificazione, ma quale impronta mentale, volta all’esaltazione delle differenze emotive ed al livellamento delle differenze oggettive.
  • L’adozione di accordi secondo livello, quale forma di coinvolgimento delle persone, ma anche quale forma di responsabilizzazione attraverso l’introduzione di procedure disciplinari per ipotesi di violazione costruite sul purpose dichiarato dall’organizzazione, non certamente soddisfatte dalle ipotesi obsolete previste dai CCNL.

Il purpose aziendale come driver della scelta lavorativa per la Gen Z

La valenza identitaria del purpose dipende sempre da due percorsi attuativi all’interno dell’organizzazione.

La prima, a raggiera, “verso il basso” ovvero verso tutti i dipendenti e collaboratori dell’azienda. E proprio in tale percorso il diritto può svolgere un ruolo importante, ma soprattutto mirato ad obiettivi innovativi nell’organizzazione aziendale.

Univoche e sorprendenti le aspettative sul posto di lavoro della generazione Z: la disponibilità ad un maggior impegno lavorativo se occupati in aziende con un obiettivo (purpose); a parità di condizioni economiche, la scelta lavorativa ricade su aziende che pongono attenzione al tema della sostenibilità e del sociale; una parte dei giovani già occupati sarebbe disposto a cambiare lavoro, anche a condizioni economiche peggiorative, in favore di aziende che perseguono un obiettivo, “oltre” lo scopo di lucro.

Ed ecco che, per un’azienda, avere un forte purpose può diventare uno strumento efficace per attirare talenti e fidelizzare il personale.

Un’evoluzione mentale, ma anche giuridica. Non più e solo la fedeltà, quale prescrizione per il dipendente normato dall’articolo 2105 c.c. La fidelizzazione del proprio personale potrebbe essere realizzata attraverso strumenti diversi da quelli velatamente coercitivi, contemplati dal patto di non concorrenza di cui all’articolo 2125 c.c. Un concetto di fidelizzazione nuovo, fondato sul coinvolgimento attivo, che non dimentichi il dualismo lavoro – datore di lavoro, ma sia strumento di elaborazione di un connubio integrato e non solo contrapposto.

Anche in questa nuova sfida, il diritto non può assentarsi:

  • Attraverso la stesura attenta del contratto di lavoro, in linea con il decreto 104 del 2022, cd. “trasparenza”, che contenga un’equilibrata integrazione delle mansioni previste dai CCNL con specifiche ed equipollenti funzioni focalizzate sul purpose aziendale;
  • L’introduzione (nel contratto individuale o negli accordi di secondo livello) di un sistema premiale al raggiungimento di obiettivi individuali o collettivi, legati al corporate purpose. Spesso l’astratto e ripetuto riconoscimento di elementi retributivi una tantum, non preventivamente collegati ad obiettivi o risultati, espone l’impresa al rischio di vedersi riconosciuta questa voce, in irreversibile aumento retributivo. La previsione ex ante di obiettivi non solo quantitativi, ma anche qualitativi e valoriali, potrebbe essere un valido strumento non solo di prevenzione del predetto rischio, ma anche di stimolo all’efficienza per il dipendente;
  • La stesura di regolamenti aziendali, il cui scopo è quello di rendere il purpose accessibile, ma soprattutto “tangibile” per tutti, attraverso la previsione (prescrizione) di condotte coerenti con lo scopo dell’azienda, quali, banalmente un corretto ed etico utilizzo degli strumenti aziendali e attraverso il coinvolgimento in progetti comuni;
  • Una rivisitazione (ammodernamento) delle relazioni sindacali. È innegabile che ancora oggi parte datoriale e parte sindacale siano contrapposte, per lo più, cristallizzate entrambe in un rapporto di scontro più che di confronto. Ma il coinvolgimento del personale nel perseguimento collettivo del purpose non può prescindere da una rivisitazione dell’approccio reciproco delle parti, in nome di un obiettivo comune. Ce lo dice la storia, che sempre più attesta il fallimento di dinamiche ostruzionistiche, ma ce lo dice anche la normativa. Già la disciplina sulle società benefit (primo esempio di matrimonio formale tra scopo di lucro e utilità sociale), già nel 2015, prevedeva che la relazione annuale di impatto sul perseguimento del beneficio (da allegare al bilancio societario e redatto da organo terzo dipendente), non potesse prescindere da un’analisi, non solo degli stakeholders, ma anche dei rapporti con i dipendenti. Ma ce lo insegna anche il recentissimo decreto del 30 agosto, che ha recepito la direttiva UE  2022/2464, in tema di Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), nel quale viene tratteggiata e incoraggiata l’istituzione di tavoli paritetici, quali strumenti propulsivi e di verifica degli obblighi di informazione e trasparenza.

Ma attenzione. Nel processo discendente di irradiazione del purpose a tutta la platea interna dell’organizzazione, il diritto deve essere anche essere un monito al rispetto di regole, che non sempre si sposano con il progetto di attuazione dello scopo. Un esempio per tutti: spesso il progetto di coinvolgimento del personale nella diffusione o nel perseguimento dell’obiettivo, prevede l’attribuzione di compiti, selezionati e calibrati, in ragione di propensione personale, compatibilità con lo spirito del progetto o anche banalmente empatia dimostrata verso quella specifica iniziativa. Ma l’attribuzione di compiti esclusivamente basate sulla sola condivisione della mission può esporre l’azienda a rischi di rivendicazioni giuridiche, laddove i criteri strategici non siano allineati con il rispetto giuridico dei livelli e delle mansioni dei CCNL.

Corporate purpose, l’impatto sulla governance

Per la realizzazione del processo di identificazione dell’azienda con il purpose individuatonon meno importanza riveste il percorso “verso l’alto”ovvero l’assunzione della consapevolezza e delle decisioni da parte della governance e dei ruoli apicali aziendali.

L’aspirazione del singolo si può trasformare in concreto perseguimento di un obiettivo, solo attraverso l’iniziativa propulsiva degli organi decisionali dell’organizzazione. E anche in questo caso, lungi dal rimanere un’affermazione di principio, la realizzazione del purpose da parte della governance, non potrà giuridicamente prescindere da:

  • Una coerente pianificazione e approvazione di strategie aziendali, rese operative attraverso l’approvazione di adeguate policies;
  • Una attenta profilazione dei soggetti, in seno al Consiglio di amministrazione, deputati all’attuazione del purpose e, conseguentemente, una mirata e puntuale definizione delle deleghe anche ai fini della chiara riconoscibilità da parte dei terzi;
  • Una pianificazione pluriennale ed un monitoraggio periodico degli obiettivi ed investimenti, destinati alla realizzazione del purpose quale forma di prevenzione del rischio di greenwashing o green hushing.

Il coinvolgimento della governance nei processi decisionali e attuativi del purpose

Il coinvolgimento della governance nei processi decisionali e attuativi del purpose è sicuramente una scelta decisiva per cambiare la storia e l’impatto dell’azienda, ma è anche una scelta di grande responsabilità giuridica. Se il purpose è ragione di strategie ed investimenti economici, la valutazione dell’operato dell’amministratore non potrà prescindere dal giudicare – anche in questo ambito – l’adozione di “adeguati assetti” ai sensi dell’articolo 2086 c.c. Se, a prescindere dall’obbligo giuridico, l’azienda decide di sposare obiettivi puntati alla sostenibilità, l’operato (e le responsabilità) del consiglio di amministrazione o del consigliere delegato non potranno prescindere dalla verifica del diligente operato nel perseguimento di questo obiettivo.

In conclusione, il diritto può integrarsi con l’evoluzione organizzativa dell’impresa purpose-driven. Di conseguenza, anche il ruolo del professionista è chiamato ad evolvere e ad individuare un suo nuovo “scopo” nella consulenza alle imprese, alle imprenditrici e agli imprenditori. Il purpose del professionista, oggi, non può che essere una maggior cura nell’accompagnamento del cliente, con le sue ambizioni e i suoi obiettivi, orientati naturalmente alla sostenibilità e all’innovazione nella prospettiva di una nuova cultura aziendale.

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