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Startup, così l’Italia riparte dopo il via libera Ue sugli incentivi

Continua il percorso di sostegno all’imprenditoria innovativa e al capitale di rischio indispensabile per la crescita del Paese, in linea con il decreto attuativo di maggio che consente alle startup, costituite online, di modificare il proprio atto costitutivo e statuto utilizzando la procedura semplificata

Pubblicato il 10 Ott 2017

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La Commissione Europea ha recentemente approvato la richiesta di modifica agli incentivi – finalizzati ad aumentare gli investimenti in un Paese che ha numeri ancora troppo piccoli, soprattutto rispetto agli altri Stati europei – presentata dall’Italia nel giugno scorso, aumentando le percentuali sulle detrazioni destinate alle startup.

Nel documento SA.47184 sono spiegate le variazioni proposte dall’Italia e le motivazioni che hanno indotto la Commissione Europea ad autorizzare le modifiche al regime esistente di aiuti. Anche perché, come dimostra un paper di Banca d’Italia pubblicato nel quadro della sua attività in ambito economico e finanziario sul venture capital in Italia, dal titolo “Venture capitalists at work: what are the effects on the firms they finance?”, gli investimenti angel e venture aiutano le imprese a crescere più rapidamente. Infatti i tre autori, Raffaello Bronzini, Giampaolo Caramellino e Silvia Magri, con l’aiuto dell’Ufficio Studi AIFI nella raccolta e nell’interpretazione dei dati di mercato, hanno rilevato che le startup italiane finanziate dai venture capital hanno conosciuto una crescita ben più rapida dal punto di vista della dimensione e della capacità innovativa.

Continua, quindi, un percorso di sostegno all’imprenditoria innovativa e al capitale di rischio indispensabile per accelerare ulteriormente la crescita del Paese, in linea con il decreto attuativo dello scorso maggio che consente alle startup innovative costituite online con firma digitale, di modificare il proprio atto costitutivo e statuto utilizzando la stessa procedura semplificata. Il provvedimento, che completa l’attuazione dell’art. 4, comma 10-bis, del decreto-legge 24 gennaio 2015 n. 3, ha come obiettivo quello di garantire una più uniforme applicazione delle disposizioni in materia di startup innovative e di incubatori certificati.

D’altronde non ci si può proprio lamentare del Ministero dello Sviluppo Economico, che anzi, attraverso una nota del 2 Ottobre scorso, ha voluto ribadire che le modifiche previste dalla legge di bilancio 2017 contenenti gli incentivi fiscali per chi investe in startup innovative, sono pienamente operative anche grazie proprio al via libera della Commissione Europea dello scorso 18 Settembre. Gli incentivi, che la legge di bilancio per il 2017 ha reso permanenti, sono destinati sia alle persone fisiche che alle persone giuridiche: per le prime è prevista una detrazione dall’IRPEF lorda pari al 30% della somma investita nel capitale sociale delle startup innovative, fino ad un investimento massimo di un milione di euro annui; mentre per le persone giuridiche si può richiedere una deduzione dall’imponibile IRES pari al 30% dell’investimento, con tetto massimo di investimento annuo pari a 1,8 milioni di euro. Gli incentivi sono usufruibili sia in caso di investimenti diretti, sia in caso di investimenti indiretti per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e di altre società che investono prevalentemente in tali società.

Ormai lo ripetiamo da anni, ma sarebbe veramente indispensabile una maggiore attenzione oltre che degli investitori anche dell’impresa, la media e grande impresa italiana, per aumentare gli investimenti, perché il confronto con gli altri paesi non è mai gratificante per l’Italia dal punto di vista dell’innovazione. Il recente European Innovation Scoreboard, che fornisce un’analisi comparativa delle prestazioni innovative tra i paesi dell’UE e gli altri paesi, relega l’Italia al 23° posto, ben sotto la media europea (Europa a 28). Il Report 2017 rivela infatti  che le prestazioni innovative dell’UE continuano ad aumentare soprattutto grazie ad un miglioramento significativo nella gestione delle risorse umane, un ambiente molto più favorevole all’innovazione e un aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo: la Svezia rimane il leader nel campo dell’innovazione, seguita dalla Danimarca, dalla Finlandia, dai Paesi Bassi, dal Regno Unito e dalla Germania; Lituania, Malta, Regno Unito, Paesi Bassi e Austria sono invece i paesi che crescono più rapidamente.

Certo, un recente report del gruppo Digital360, elaborato in collaborazione con Ibm, disegna uno scenario in movimento, ma resistono sacche di inconsapevolezza delle opportunità, tra gli imprenditori ancora molto diffuse. C’è chi non ha ancora fatto nulla e non ha intenzione di muoversi (54%) e chi invece si è già mosso avviando progetti di trasformazione digitale (46%): sono ancora poche le aziende che hanno fatto i primi passi in questa direzione. E pensare che in Giappone si parla già di Società 5.0. Secondo la Keidanren, la Confindustria giapponese, dopo la società basata sulla caccia, quella agraria, quella industriale e l’information society, si arriverà ad una “super-smart society” fatta di veicoli che si guidano da soli, smart cities, turismo digitalizzato, Fintech, case intelligenti, cybersicurezza, smart agriculture, 5G, data mining e open data, trasformazione digitale dell’healthcare (lo riferisce Stefano Carrer sul Sole 24 Ore).

Ma ci fa ben sperare che tra chi ha avviato una trasformazione, uno su due è partito solo da quest’anno, a testimonianza del ruolo fondamentale svolto dal piano Calenda. Siamo finalmente tornati, con l’avallo della Commissione Europea, ad avere una politica industriale. Perlomeno in ambito startup e innovazione.

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