Il mantenimento degli incentivi su Industria 4.0, orientati in particolare alla trasformazione digitale delle PMI; l’avvio dell’obbligo di fattura elettronica anche tra privati; il sostegno al venture capital e la crescente attenzione al ruolo delle startup quali motore di sviluppo economico. Sono tutti tasselli importanti per l’innovazione del Paese. Siamo di fronte quindi a un processo di trasformazione in cui il ruolo del pubblico diventa fondamentale in termini di orientamento degli investimenti e definizione delle politiche.
Le imprese come motore di crescita
In questo breve contributo voglio allora portare l’attenzione su cosa sta accadendo in Italia nel “mondo” delle imprese, con particolare riferimento alle misure incluse nella manovra economica appena approvata (legge di bilancio).
Le imprese sono il motore di crescita e sviluppo di un qualsiasi paese. Questa ovvietà – che è un dogma economico – è purtroppo tutt’altro che capita veramente nel nostro paese, in cui il focus politico è rivolto a ben altri temi che non a quelli relativi al mondo delle imprese.
In un paese in cui le imprese non trovano le condizioni corrette per nascere, per crescere e per innovarsi – si innesca immediatamente un circolo vizioso strutturale irreversibile: meno occupazione, meno ricchezza, meno soldi allo stato, con tutto quello che ne deriva in termini di implicazioni economiche e sociali.
Quello che non va nella nostra economia
Partiamo dallo stato di salute del tessuto economico-produttivo/tessuto imprenditoriale italiano. Senza dilungarmi troppo, mi limito a riassumere la situazione in questo modo:
- siamo l’economia in area euro che è cresciuta di meno a livello di PIL negli ultimi 18 anni (un decimo circa della media europea);
- in particolare, siamo quella con il più basso livello di produttività del lavoro;
- siamo terz’ultimi per tassi di occupazione.
Due fattori fondamentali alla base di questa situazione sono:
- la scarsa natalità imprenditoriale che il sistema italiano riesce ad esprimere, con particolare riferimento alla nascita di nuove imprese nei settori più innovativi, hi-tech;
- la scarsa capacità di innovazione e di trasformazione digitale delle nostre imprese esistenti, con riferimento soprattutto a quelle di dimensioni medio piccole, che rappresentano però il cuore nel nostro tessuto economico-produttivo.
Non c’è dubbio quindi che la politica debba – partendo da questa situazione – cercare di capire come agire su questi due fattori affinché, da una parte, possano nascere sempre più nuove imprese e, dall’altra, possano rinnovarsi e innovare le imprese esistenti.
Innovazione, le (buone) misure della legge di bilancio
Analizziamo la legge di bilancio appena licenziata da queste due prospettive.
Relativamente alle imprese già esistenti, la manovra – dopo non pochi tentennamenti – mantiene di fatto gli incentivi sull’Industria 4.0 introdotti dal precedente governo. E meno male! Visto che l’Industria 4.0 è uno dei pochissimi ambiti digitali in cui la politica ha saputo giocare negli ultimi anni un ruolo rilevante: le agevolazioni fiscali, introdotte nella scorsa legislatura, hanno infatti spinto le imprese ad investire in innovazione, a rinnovare i macchinari produttivi. L’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa ed una buona parte del saldo commerciale italiano viene proprio dalla nostra manifattura: agevolarne la transizione al paradigma 4.0 è fondamentale per spingerne la competitività a livello mondiale.
Nella nuova manovra le agevolazioni sull’Industria 4.0 sono state mantenute anche se un po’ ridimensionate nei valori, ma meglio orientate verso le PMI. Sono state anche prorogate le misure a favore della formazione in questo ambito (ma si registrano ancora ritardi sull’avvio dei competence center) e sono stati introdotti per la prima volta i voucher per dotarsi di “manager dell’innovazione”. È stato un po’ ridimensionato il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo.
Le opportunità della fatturazione elettronica B2B
Nel mondo delle imprese, sottolineo anche un altro fenomeno che sta accadendo proprio in questo periodo e che reputo molto positivo: l’obbligo della fatturazione elettronica b2b, scattato il primo gennaio di quest’anno. Quattro anni fa l’obbligo era solo per le fatture dirette alla pubblica amministrazione e ha portato a benefici importanti.
Quello che sta accadendo in questo ambito è un altro bell’esempio di innovazione per ben tre motivi:
- perché è uno dei pochi casi in cui quello che accade nella pubblica amministrazione “contagia” positivamente il mondo delle imprese;
- perché la politica ha saputo giocare un ruolo chiave per spingere la digitalizzazione, utilizzando una leva di governance importante in un paese a bassa cultura digitale come il nostro, cioè l’obbligo (e se la parola obbligo irrita, chiamiamolo switchoff);
- perché l’Europa ci considera – una volta tanto – all’avanguardia e un buon esempio da imitare.
È vero che all’inizio molte imprese soddisfaranno questo obbligo con la logica più di rispettare un vincolo che di cogliere un’opportunità. Ma è indubbio che, invece, dopo i primi adempimenti “burocratici”, la digitalizzazione delle fatture schiuderà a molte imprese, anche di piccole dimensioni, le molteplici opportunità della digitalizzazione dei rapporti clienti/fornitori e dei processi della supply chain e, quindi, può rappresentare un “forzato” inizio di un percorso di trasformazione digitale che va a toccare processi e modalità di lavoro. Certo, ci vorrà un po’ di tempo, ma questo accadrà. Vedo quindi anche questo fenomeno, come un catalizzatore, insieme alle misure Industria 4.0, dello sviluppo di una maggiore cultura digitale nelle nostre imprese, in particolare in quelle di piccole e medie dimensioni.
Gli interventi a favore delle startup
Relativamente invece alle nuove imprese, le cosiddette startup, in Italia è oramai da qualche anno che la politica si è accorta della loro rilevanza economica. In un’economia matura come quella italiana – così come quella europea e quella nord americana – sono infatti proprio le nuove imprese a rappresentare il principale motore di crescita del PIL e dell’occupazione (come molte ricerche dimostrano). Senza un flusso importante di startup che nascono e crescono ogni anno, il nostro paese è destinato ad un’inesorabile declino e ad un depauperamento economico/imprenditoriale strutturale.
A livello politico, è iniziata ad emergere questa consapevolezza da circa 6 anni, con il Governo Monti e il decreto Passera, e da allora sono stati attuati diversi interventi che hanno iniziato a portare i primi risultati. Un circolo virtuoso si sta avviando anche nel nostro Paese, con una crescita del numero di startup e dei fondi a loro disposizione. Basti pensare, ad esempio, che quest’anno, gli investimenti complessivi in startup hi-tech supereranno i 700 milioni di euro – più del doppio rispetto al 2017. Anche se sono cifre ancora molto inferiori rispetto a quelle che caratterizzano i paesi europei più avanzati.
Nella legge di bilancio, sono previste diverse misure che vanno nella direzione giusta. Le principali sono: un fondo di sostegno al venture capital, che prevede investimenti per 30 milioni di euro l’anno per il triennio 2019-2021 e altri 20 milioni per il periodo 2022 – 2025; la possibilità per i fondi di previdenza obbligatoria di investire parte dei loro capitali accumulati nei fondi di venture capital; l’obbligo per i Pir, i Piani individuali di risparmio, di investire il 5% delle risorse raccolte in fondi di venture capital; l’obbligo per lo Stato di investire almeno il 15% delle entrate derivanti dalla distribuzione di utili d’esercizio o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal ministero Economia e finanze in fondi di venture capital. Sono state previste anche maggiorazioni interessanti delle agevolazioni fiscali per chi investe in startup: l’aumento dal 30 al 40 per cento delle detrazioni e deduzioni fiscali; l’innalzamento al 50% (dal 30%) della deduzione fiscale per le aziende che decidono di acquisire la totalità di quote di startup innovative e di mantenere tale partecipazione per almeno tre anni.
L’attuazione di queste misure potrebbe portare ad un impatto importante sull’ecosistema delle startup, e più in generale, dell’innovazione in Italia.
Il ruolo del pubblico nell’innovazione
Un’innovazione che non può tuttavia prescindere dal protagonismo del settore pubblico nell’orientare le future direttrici di innovazione, attraverso investimenti mirati e politiche oculate. Un ruolo, quello del “pubblico”, che ha necessariamente bisogno del veicolo dell’amministrazione pubblica, che può e deve essere un fattore imprescindibile di sviluppo del Paese, a patto di assumere la trasformazione digitale come ecosistema abilitante di tutte le riforme.