L'analisi

Reskilling come leva per la ripresa: ecco come le competenze creano occupazione

Secondo il World Economic Forum, entro il 2025, il 50% di tutti i lavoratori avrà bisogno di reskilling, complice l’impatto della digitalizzazione: le imprese si interrogano su come favorire la creazione di occupazione e accompagnare i lavoratori nella formazione

Pubblicato il 10 Feb 2021

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

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Le competenze sono il petrolio delle economie ed è su quelle che bisogna investire per la ripartenza. In Italia, uno strumento utile può essere quello del Fondo nazionale per le nuove competenze, inserito nel PNNR. In generale, il tema della creazione di competenze è caldo: al Forum economico di Davos quest’anno si è parlato molto di come salvare i posti di lavoro in aziende, dove anche quelli più sicuri potrebbero diventare incerti, con occasioni ancora minori per giovani e donne. Ci troviamo in un punto in cui la digital transformation sta ridefinendo il futuro del lavoro. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025, il 50% di tutti i lavoratori avrà bisogno di reskilling[1] e il 40% delle competenze base degli attuali lavoratori cambierà. La conseguenza è scontata: pensare che ciascuno di noi o la nostra impresa non sarà toccata dal cambiamento di competenze è utopico.

Capi di governo ed economisti, consapevoli che il capitale umano e la conoscenza sono i fattori che più di tutti influenzano la crescita di lungo periodo di una economia, si interrogano – specie in un tempo di pandemia – sulle modalità di creare nuovo lavoro e di come accompagnare i lavoratori lungo un percorso di riqualificazione professionale.

La situazione globale

Molte economie, anche quelle meglio gestite, sono indotte a individuare le risposte più efficaci per ridare una prospettiva di crescita. Nascosto dietro il black out economico del 2020 si nasconde infatti un serio pericolo: che arrivi, dopo la recessione invernale, quella che il Centre for Economic Performance di Londra ha definito una “primavera di fallimenti”. Una sequenza di discontinuità aziendali che potrebbe riguardare tante aziende e tanti Paesi, tutti insieme. Ecco perché oggi si parla sempre più spesso di nuovi modi di lavorare e di “job reset”. Ridisegnare ruoli, attività, compiti per capitalizzare l’esperienza di questi mesi.

La maggior parte di queste nuove competenze sono collegate ai mutamenti tecnologici e organizzativi innescati dal digitale. La connessione tra investimenti in innovazione, cultura digitale e frequentazione delle scuole tecniche, sono argomenti collegati al mondo del lavoro e alle opportunità che le imprese dimostrano di saper leggere nel digitale. Ma l’upgrade di quello che ciascuno di noi è in grado di fare non passa solo dalle nuove tecnologie; sono determinanti capacità quali creatività, pensiero critico e autocontrollo, che rappresentano, in mix con le competenze digitali, le chiavi di volta per affrontare le sfide future. Competenze di mestiere + competenze digitali + competenze “umane”: questo sarà il mix indispensabile per il lavoro del futuro.

Digitalizzazione, occupazione e disoccupazione

Nonostante ci siano previsioni che fanno pensare che la tecnologia rimpiazzerà le persone, molti studiosi ed economisti sono convinti che il lavoro umano sarà ancora determinante, perché caratterizzato da molta forza, elasticità e straordinaria capacità da parte delle persone di innovare, collaborare e realizzare i propri obiettivi. È vero che la digitalizzazione si traduce in alcuni casi in perdita di lavoro, ma il digitale è in grado di generarne anche di nuovi. È necessario però che le persone si preparino per il nuovo mondo digitale e che le aziende giochino un ruolo importante nel preparare le persone e accompagnarle in modo creativo nella nuova economia digitale.

Il modo in cui i Governi e le altre parti interessate affronteranno il cambiamento tecnologico giocherà un ruolo importante nel “ripristinare” la società, l’economia e l’ambiente imprenditoriale. Misurare la portata dell’economia digitale non è semplice, ma un parametro per misurare il grado di digitalizzazione nei paesi dell’UE è la misura in cui l’occupazione è correlata alle attività digitali. Il report della Banca Centrale Europea “L’economia digitale e l’area dell’euro”  ha messo in luce come i settori con maggiore intensità digitale, nel decennio 2006-2016, hanno contribuito in modo sostanziale alla crescita dell’occupazione nelle economie avanzate.

Osservando la relazione tra la crescita dell’occupazione totale e il contributo dei settori ad alta intensità digitale per alcune economie europee, la BCE arriva alla conclusione che “le economie con una quota più elevata dell’economia digitale sul valore aggiunto totale tendono a essere quelle con tassi di disoccupazione più bassi. I dati analizzati nei Paesi più fortemente dipendenti dal digitale, ad esempio Svezia ed Estonia, suggeriscono un forte contributo dei settori ad alta intensità digitale alla crescita dell’occupazione totale”. Estonia e Svezia, infatti, sono costantemente in cima alle classifiche dell’occupazione digitale, superando molte altre economie dell’UE.

L’analisi sembra contrastare l’idea che un più elevato livello di digitalizzazione porti a una maggiore disoccupazione aggregata. Ciò non vuol dire che la digitalizzazione non si traduca in spostamenti e interruzioni del lavoro, per cui alcuni lavoratori perdono il lavoro e hanno difficoltà a riprendere un lavoro per periodi prolungati, ma la digitalizzazione genera anche nuovi opportunità e posti di lavoro.

Lavoro 4.0, come accrescere la produttività

Una recente indagine del World Economic Forum-Ipsos rileva che la maggior parte degli adulti è incredibilmente ottimista sull’accesso alla tecnologia, agli strumenti digitali e alla formazione nei prossimi mesi. Quando si tratta di innovazione tecnologica, anche i leader d’azienda sono ottimisti: vedono la tecnologia e la digitalizzazione come un mezzo per avere successo. Eppure, la disoccupazione è aumentata vertiginosamente durante la pandemia. Secondo il Future of Jobs Report 2020 del World Economic Forum[2], “per la prima volta negli ultimi anni, la creazione di posti di lavoro sta iniziando a rimanere indietro rispetto alla distruzione di posti di lavoro – e questo fattore è destinato a colpire maggiormente i lavoratori più fragili e svantaggiati”.

La partita del lavoro si gioca sul fronte delle competenze necessarie per affrontare la sfida della quarta rivoluzione industriale. Circa l’85% di tutti i posti di lavoro dell’UE oggi necessita di almeno un livello di competenze digitali di base. È quanto riporta il report “Upskilling for Shared Prosperity” realizzato dal World Economic Forum in collaborazione con Pwc, che ha analizzato la correlazione tra miglioramento delle competenze e crescita economica. Le stime si riferiscono al Pil (un extra Pil da 6,5 trilioni di dollari e 5,3 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030), sebbene l’analisi faccia riferimento alla necessità di un nuovo pensiero economico basato sullo sviluppo di “buoni” posti di lavoro; quei lavori cioè che abbiano quelle determinate caratteristiche – retribuito in modo equo, motivante e svolto ragionevolmente in sicurezza – in grado di incidere maggiormente sulle capacità e sulle motivazioni intrinseche dei lavoratori, ponendo le basi così per livelli di produttività più elevati.

Secondo il documento, dall’adozione di tecnologie di nuova generazione conseguiranno nuovi posti di lavoro; quelli legati a Industria 4.0 porteranno a un aumento della produttività globale del 3%, in media, entro il 2030. Il 38% del Pil aggiuntivo, che potrebbe essere acquisito attraverso l’upskilling, sarà creato nel settore dei servizi alle imprese ad alto valore aggiunto e in alcuni settori manifatturieri.

Riqualificare e investire in competenze, le indicazioni di policy

Entro il 2025, circa la metà di tutte le opportunità di lavoro in Europa dovrà essere colmata da persone con qualifiche ad hoc. “L’80% dei nuovi posti di lavoro – afferma il report del WEF – sarà altamente qualificato. Ciò richiederà o una massiccia sostituzione o il miglioramento delle competenze della forza lavoro esistente per ottenere l’aumento del 2,2-2,5% del Pil”.

“La pandemia fornisce un’opportunità di riformare i sistemi di istruzione e ripensare formazione professionale a vantaggio di più persone. Per fare questo, tuttavia, governi, industrie, sindacati e gli istituti di istruzione dovranno lavorare insieme”, si legge nel report, che fornisce alcune indicazioni di policy per colmare la discrepanza tra le attuali competenze e quelle necessarie per il lavoro legato a Industria 4.0.

Le quattro aree strategiche prioritarie

Sono quattro le aree strategiche prioritarie su cui Governi, imprese e altri stakeholder, dovrebbero concentrare gli sforzi:

  1. Costruire un ecosistema forte e interconnesso, impegnato a costruire un’agenda di riqualificazione (determinare una serie di indicatori che misurino la qualità dell’occupazione a livello nazionale e regionale; stabilire un quadro di ricerca per comprendere le dinamiche dei futuri mercati del lavoro, da cui ricavare le proiezioni in termini di abilità da colmare; identificare le leve delle politiche in grado di traghettare il mercato del lavoro verso la costruzione di buoni posti di lavoro).
  2. L’adozione da parte dei Governi di iniziative per aumentare il livello di competenze, favorendo la collaborazione con le imprese, le organizzazioni non profit e il terzo settore. Vengono suggeriti azioni di promozione di progetti di investimento industriale con un approccio “dal basso verso l’alto”, insieme a incentivi per investimenti industriali “verdi” e di innovazione tecnologica.
  3. Sviluppare piani di sviluppo delle persone, ancorando il miglioramento delle competenze e l’investimento nella forza lavoro come principio aziendale fondamentale.
  4. Aumentare l’offerta di apprendimento e le connessioni tra imprese e luoghi dell’apprendimento, dando priorità ai curricula dell’istruzione superiore e professionale, con una preferenza per quelli “just in time” piuttosto che “just in case”.

Il report rientra tra le iniziative della piattaforma Reskilling Revolution, lanciata ufficialmente nel gennaio 2020, con attivo tra l’altro il contesto “Education 4.0”. Si tratta di un framework che propone otto trasformazioni all’interno dei contenuti di apprendimento e dei meccanismi di erogazione nei sistemi di istruzione primaria e secondaria per preparare meglio la prossima generazione ai futuri lavori[3]. Per questo è stato sviluppato il playbook “Closing the Education Gap”, una guida per Governi e imprese per avviare collaborazioni pubblico-privato a livello nazionale per implementare il framework Education 4.0 attraverso quattro interventi di sistema chiave: empowerment degli insegnanti, nuove competenze e meccanismi di misurazione, nuovi standard educativi, integrazione dell’istruzione potenziata dalla tecnologia.

L’agenda della riqualificazione nel Recovery Plan dell’Italia

I numeri odierni della crisi allarmano, la pressione delle crisi aziendali si è molto scaricata sui soggetti più deboli. La perdita reddituale media dei dipendenti finiti in cassa integrazione è stata intorno al 27% (fonte Banca d’Italia e Inps). I posti di lavoro a tempo indeterminato già persi tra febbraio e novembre 2020 ammontano a 300 mila. Un’esplosione di crisi aziendali è alle porte, con una previsione che colloca la disoccupazione nascosta tra 250 mila e 500 mila unità. Criticità a cui si aggiunge anche quella sul tasso di occupazione femminile (in Italia del 48,5% mentre in Europa è del 62,5%), tant’è che la Banca d’Italia ha stimato una crescita del Pil di 7 punti, se si aumentasse l’occupazione delle donne[4].

Numeri che fanno riflettere sulla necessità di attivare quelle politiche attive rimaste per lo più in sospeso, puntando sulla riqualificazione, aiutando quei lavoratori che, con disponibilità e impegno personale, sono alla ricerca di nuove opportunità.

Un passo avanti importante è stato fatto con il Fondo nazionale per le nuove competenze. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) vi dedica uno spazio non secondario[5]. Gli obiettivi di formazione e riqualificazione sono presenti particolarmente nelle missioni “Istruzione e ricerca” e “Inclusione e coesione”, oltre che nella riforma della pubblica amministrazione. Per la componente “Politiche per il lavoro” il PNRR impiega risorse per un totale di 12,62 mld di euro. Per il perseguimento di tali obiettivi il Piano predispone determinate linee di intervento, suddivise come indicato nella tabella seguente:

Le risorse per gli interventi della componente Politiche per il lavoroTotale NGEU

(risorse in mld €)

Politiche attive del lavoro e sostegno all’occupazione7,50
Politiche attive del lavoro e formazione3,50
Sostegno all’imprenditoria femminile0,40
Apprendistato duale0,60
Piano nuove competenze3,00
Fiscalità di vantaggio per il lavoro al sud e nuove assunzioni di giovani e donne4,47
Servizio civile universale0,65
TOTALE12,62

In primo luogo, si provvede ad una revisione strutturale delle politiche attive del lavoro – per la quale sono assegnati 7,5 miliardi di euro – in particolare attraverso le seguenti azioni:

  • l’istituzione di un Programma nazionale denominato GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) che prevede un sistema di presa in carico unico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale che associ la profilazione dei servizi al lavoro alla formazione[6];
  • il rafforzamento dei centri per l’impiego e della loro integrazione con i servizi sociali e con la rete degli operatori privati;
  • lo sviluppo di un Piano nazionale nuove competenze, un sistema permanente di formazione, anche attraverso la valorizzazione degli strumenti esistenti e l’istituzione di partenariati pubblico – privati. Per i lavoratori occupati è stato istituito il Fondo nuove competenze[7] per permettere alle aziende di rimodulare l’orario di lavoro dei lavoratori al fine di favorire attività di formazione sulla base di specifici accordi collettivi con le organizzazioni sindacali;
  • il potenziamento del sistema duale con l’obiettivo di rendere sempre più sinergici i sistemi d’istruzione e formazione con il mercato del lavoro, nell’ottica di favorire l’occupabilità dei giovani tramite l’acquisizione di nuove competenze;
  • il sostegno all’imprenditoria femminile[8], attraverso la sistematizzazione degli attuali strumenti di sostegno all’avvio e alla realizzazione di progetti aziendali innovativi per imprese a conduzione femminile o prevalente partecipazione femminile già costituite e operanti, nonché l’affiancamento di misure di accompagnamento allo strumento del “Fondo a sostegno dell’imprenditoria femminile” già previsto nella legge di bilancio 2021.

Dopo il “Ristori 5”: lo scenario del lavoro in Italia

Se il Governo ha fatto sapere che il decreto “Ristori 5” sarà l’ultimo (l’ammortizzatore straordinario della cassa, Covid e in deroga, dovrebbe essere prorogato e operativo per tutto il 2021), allora va disegnata una strategia di uscita dagli interventi straordinari. I numeri della crisi allarmano e c’è necessità di salvaguardare il maggior numero di lavoratori e di creare nuovi posti di lavoro, soprattutto quelli legati all’innovazione tecnologica e all’economia digitale. Non c’è tempo da perdere per mettere in atto politiche per evitare di tenere ai margini lavoratori più maturi, a cui oggi risulta difficoltoso il pieno accesso all’apprendimento, e di creare una generazione perduta.

Occorre essere trasparenti soprattutto verso le nuove generazioni, spiegando loro l’importanza di investire il proprio tempo nello studio, per avere un curriculum formativo adeguato ai tempi, e che questi sforzi saranno adeguatamente ricompensati e ripagati. Se una persona che aggiunge competenze alla sua figura professionale venisse, per esempio, remunerata anche per il suo impatto sociale e territoriale, lo studio e la formazione diventerebbero lo scopo di molte più persone. Oggi e più o meno l’inverso; formarsi e studiare non dà risultati immediati, non è perciò “attraente”, soprattutto per i giovani.

Lo skill gap

Avere chiaro e rendere trasparente quali tipi di competenze avrà bisogno l’economia digitale nel medio e lungo termine potrebbe fare la differenza per il futuro delle nuove generazioni. Se è vero che molti imprenditori fanno ancora fatica ad assumere, vuol dire che c’è una crescente discrepanza tra le attuali competenze e quelle necessarie per il lavoro legato a Industria 4.0. La metà degli attuali occupati ha bisogno di reskilling, eppure identificare le competenze necessarie per il futuro è ancora la difficoltà più grande per molte aziende.

Confindustria, che ha posto al centro della sua strategia la riduzione dello skill mismatch, nel corso della sua audizione alle Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Lavoro della Camera, ha proposto di arricchire il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con tre linee progettuali: creare “Steam Space” in tutte le scuole medie italiane; rafforzare la filiera alternanza-apprendistato; sviluppare gli ITS e la filiera terziaria professionalizzante. Può essere una buona soluzione, ma perché questo si realizzi è necessaria la collaborazione e l’impegno tra tutti le parti interessate.

__

Note

  1. Il reskilling prevede lo sviluppo di abilità che possano permettere al dipendente di ricoprire un ruolo diverso. Si tratta di un percorso di riqualificazione della persona e delle competenze. I programmi di upskilling invece hanno l’obiettivo di far sviluppare al lavoratore nuove competenze nello stesso campo di lavoro (una sorta di upgrade di ciò che già in grado di fare).
  2. Cfr. World Economic Forum (2020), The Future of Jobs Report, ottobre 2020 
  3. Il Framework, codificato in Schools of the Future: Defining New Models of Education for the Fourth Industrial Revolution, mette in mostra anche esempi di scuole, sistemi scolastici e programmi educativi che stanno aprendo la strada verso competenze ed esperienze di apprendimento di Education 4.0.
  4. Cfr. Idee per una ripartenza alla pari  
  5. Nell’ambito delle Raccomandazioni del Consiglio sul programma nazionale di riforma dell’Italia 2019, del 5 giugno 2019, la Raccomandazione n. 2 invitava l’Italia ad adottare provvedimenti nel 2019 e nel 2020 al fine, tra l’altro, di migliorare i risultati scolastici, anche mediante adeguati investimenti mirati, e promuovere il miglioramento delle competenze, in particolare rafforzando le competenze digitali.
  6. Si ricorda che la legge di bilancio 2021 ha destinato a tale Programma parte delle risorse del Fondo per l’attuazione di misure relative alle politiche attive rientranti tra quelle ammissibili dalla Commissione europea nell’ambito del programma React EU, istituito dalla medesima legge di bilancio, nella misura di 233 mln di euro per il 2021.
  7. Il Fondo nuove competenze è stato istituito, presso l’ANPAL, dal Decreto Rilancio (art. 88 del D.L. 34/2020). L’operatività del Fondo per le suddette finalità, inizialmente limitata al 2020, è stata successivamente estesa anche al 2021 dal Decreto Agosto (art. 4 del D.L. 104/2020).
  8. Si ricorda che l’articolo 1, commi da 97 a 106, della legge di bilancio 2021 disciplina il “Fondo a sostegno dell’impresa femminile”, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, istituito al fine di promuovere e sostenere anche con contributi a fondo perduto l’avvio e il rafforzamento dell’imprenditoria femminile, nonché di effettuare attività di promozione dei valori dell’imprenditoria tra la popolazione femminile. È stato poi istituito, presso il MISE, il Comitato Impresa Donna, con il compito, tra gli altri, di formulare raccomandazioni sui temi della presenza femminile nell’impresa e nell’economia. Il medesimo articolo, ai commi 107 e 108, contiene misure per la promozione dell’attività di venture capital in favore di progetti di imprenditoria femminile a elevata innovazione, con uno stanziamento dedicato pari a 3 milioni di euro per l’anno 2021

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