Secondo molti autorevoli pareri, nel panorama manifatturiero mondiale è in corso una quarta rivoluzione industriale: quella della digitalizzazione pervasiva dei processi produttivi. Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, i processi produttivi hanno subito un sostanziale cambiamento. Meno di cento anni fa il paradigma produttivo si basava su grandi lotti: ricordiamo, ad esempio, la famosa frase di Henry Ford sui colori disponibili per il modello T. Oggi, invece, la produzione si focalizza maggiormente su piccoli lotti ed un livello di personalizzazione sempre più elevato.
Dati i presupposti di un mercato, e non solo quello automobilistico, sempre più globale e sempre più dinamico, negli ultimi anni è maturata la consapevolezza che i modelli produttivi vadano profondamente innovati per raggiungere livelli di efficienza più elevati. Le prime risposte arrivano dal mondo ICT e dall’automazione: maggiore digitalizzazione, dispositivi sempre più intelligenti e sempre più connessi, macchine sempre più evolute e sempre più capaci di interagire con l’uomo. Il risultato? L’inizio della quarta rivoluzione industriale.
Uno degli elementi chiave di questo processo di rinnovazione tecnologica è forse costituito dalla robotica collaborativa. Sebbene il termine “robot collaborativo” sia stato coniato da più di un decennio, è soltanto negli ultimi anni che questa nuova tecnologia si sta facendo motrice di una progressiva automatizzazione della maggior parte dei processi produttivi. Prima di capire quali siano gli effetti ed i benefici di queste nuove “macchine intelligenti”, cerchiamo di concordare su una definizione di massima. Un robot collaborativo, o cobot, è un robot leggero, privo di spigoli, talvolta coperto da imbottiture che attutiscono gli effetti di eventuali impatti. Per questi motivi è facile prevederne l’utilizzo in cooperazione con l’operatore umano, da cui – appunto – l’aggettivo “collaborativo”.
La nuova generazione di robot si propone come una soluzione relativamente a basso costo e ad elevato valore aggiunto per chi fa impresa oggi e vuole, al contempo, rimanere competitivo nel proprio mercato. Negli ultimi anni, infatti, il costo medio del lavoro nei paesi dell’est è andato via via crescendo, rendendo di fatto le operazioni di offshoring molto meno vantaggiose rispetto al passato. La disponibilità di macchine tecnologicamente all’avanguardia costituisce un’ottima alternativa, tanto che alcune aziende – come ad esempio l’Adidas – hanno già intrapreso iniziative di reshoring. Come spesso accade, gli early-adopters di questa nuova tecnologia sono le maggiori case automobilistiche. Alcuni altri settori si stanno però attrezzando accogliendo a braccia aperte le nuove opportunità per tentare di rimanere competitivi in un oceano rosso nel quale è sempre più difficile mantenere la propria posizione.
Non a caso, tutte le principali ricerche di mercato stimano per la robotica collaborativa una crescita a doppia cifra, con una crescita annuale media superiore al 50%, con un mercato che nel giro di dieci anni supererà 12 miliardi di dollari. I robot collaborativi non sostituiranno i tradizionali e pesanti robot industriali, ma, al contrario, apriranno le strade a nuovi settori del manifatturiero in cui, oggi, la soluzione robotizzata “tradizionale” non è competitiva. Come riportato in un recete articolo di McKinsey, le attività produttive più suscettibili ad essere automatizzate sono quelle a basso valore aggiunto, con un elevato tasso di ripetitività come il confezionamento o l’assemblaggio. Date le premesse sono principalmente due gli interrogativi che ha senso porsi. Ci stiamo avviando verso una produzione completamente automatizzata dove verrà progressivamente a mancare la componente umana? Qual è la leva tecnologica che permetterà alla nuova generazione di robot di insediarsi nel panorama produttivo mondiale?
Che i robot andranno in qualche maniera a diminuire la manodopera umana è, in realtà, un dato di fatto. Ma non bisogna fermarsi ad un’analisi così superficiale. I robot collaborativi nascono infatti come aiutanti, alleviando l’essere umano da compiti faticosi e riducendo così il rischio di disturbi muscoloscheletrici legati al lavoro. Sebbene il compito ora eseguito dall’operaio verrà nel prossimo futuro assegnato ad una macchina, serviranno sicuramente tecnici più specializzati per la progettazione, l’installazione, la messa in servizio e la manutenzione di queste nuove macchine. Non è ancora chiaro quale sarà il saldo tra i nuovi posti di lavoro creati e quelli sottratti a causa dell’automatizzazione di alcune funzioni produttive.
Per quanto riguarda l’interrogativo sulle sfide tecnologiche che i robot collaborativi dovranno vincere, la risposta è assai più semplice. A differenza dei robot tradizionali, quelli collaborativi saranno chiamati ad operare in un ambiente più dinamico, e non solo per la presenza dell’operatore umano. Saranno chiamati a percepire l’ambiente, ragionare sui dati percepiti per intraprendere azioni opportune. In breve: i robot del futuro saranno smart. Un esempio di come questi robot possano essere resi “intelligenti” ce lo racconta il recente video di Google, forse la prima volta che il colosso californiano rende pubblica una sua ricerca. A 14 robot è stato “chiesto” di apprendere in autonomia la migliore strategia per afferrare degli oggetti. Dopo 800 mila tentativi, molti dei quali falliti, è emersa la strategia migliore che è stata trasmessa a tutti gli altri. Chissà se Charles Darwin avrebbe mai immaginato un’applicazione “artificiale” della sua teoria dell’evoluzione!
Concludendo, i robot collaborativi sono già presenti sul mercato. Le applicazioni nelle quali possono essere adottati sono rilevanti ed in continua crescita. Sta alle piccole e medie imprese, specie quelle che non si sono mai accostate alla robotica, la scelta di avvalersi di questa tecnologia per rimanere competitive nel proprio mercato.