La previsione

Robot e lavoro futuro, la ricetta per non restare disoccupati

Il futuro del rapporto tra intelligenza artificiale e lavoro umano non sembra essere uno scenario distopico dove i robot sostituiscono gli uomini, quanto piuttosto un’evoluzione delle competenze richieste a questi. Non si può prevedere quali saranno le professioni più ambite, ma si può lavorare su una formazione completa

Pubblicato il 08 Mar 2019

Sabrina De Santis

Education and Training Director, Federmeccanica

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Il pensiero comune è che l’Intelligenza artificiale possa subentrare agli uomini nelle attività lavorative, rendendoli non più necessari: invece è molto più probabile che l’Intelligenza artificiale non sostituirà direttamente i lavoratori, ma piuttosto chiederà loro di acquisire nuove competenze. Ma quali saranno le nuove professioni richieste? Cosa sarà necessario al mondo produttivo? Queste sono le domande alle quali tutti, tra imprese, scuola, lavoratori, studenti, vorrebbero risposte più che certe. Una soluzione, è la formazione interdisciplinare.

Premesso che qualche risposta proveremo a darla, va considerato che non esiste un elenco perfetto e inconfutabile che ci dica quali professioni e competenze saranno necessarie in futuro: se è sempre stato arduo azzardare previsioni in materia, ancor di più lo è in una società come quella di oggi in cui i sistemi produttivi sono sempre più complessi, sempre più diversi tra imprese e in continua evoluzione. Non essendoci la ricetta perfetta per confezionare un “pacchetto di competenze” che renda sicuri lavoratori e imprese, è dunque fondamentale investire su quelle condizioni necessarie affinché si possano acquisire competenze che ci rendono occupabili nel tempo.

La ricetta sempre valida per l’occupabilità

La prima condizione per creare solide “fondamenta occupazionali” è rappresentata dall’alternanza scuola lavoro e dallo stage curriculare. Il Report Almadiploma e Almalaurea evidenzia come chi, tra gli studenti, ha avuto l’opportunità di fare alternanza scuola lavoro o stage curriculari, ha il 40% in più di probabilità di lavorare. Questa è una conferma dell’importanza di dar vita a una vera e propria alleanza tra diversi soggetti presenti sul territorio perché si dia corpo ad una comunità educante. Bisogna rendere consapevoli tutti i soggetti presenti sul territorio che questa alleanza è una via prioritaria per offrire ai giovani occasioni per crescere e per prepararsi a dare il proprio contributo nella società che vivono. A tale scopo, il mondo produttivo e quello delle organizzazioni possono offrire un contributo importante nel percorso educativo e formativo dei giovani, che non va svilito e mortificato riducendo ore di alternanza e tagliando fondi per le scuole, ma che va, invece, incentivato e valorizzato.

La seconda condizione per acquisire competenze abilitanti è l’investimento in formazione continua. A tal fine deve esserci innanzitutto un impegno della scuola a fornire una competenza di base che consiste nell’apprendere come ri-apprendere in maniera continua nel tempo e, ovviamente, un impegno delle imprese nell’investire in una formazione per le persone sufficientemente flessibile per trasmettere nuove competenze in modo rapido ed efficiente.

In quest’ottica dovrà essere posta maggiore enfasi sulla formazione on-the-job e dovrà esserci un maggiore ricorso a strumenti online per l’apprendimento e la simulazione. La stessa IA può contribuire a tutto ciò, aiutando a personalizzare l’apprendimento online e ad individuare lacune nelle competenze e opportunità per la riqualificazione professionale dei lavoratori.

IA e lavoro: quali competenze?

Volendo provare a dare qualche indicazione in merito alle competenze, è doveroso innanzitutto distinguere tra quelle necessarie per i produttori di IA e quelle per gli utilizzatori (ovvero chi, nel nostro caso, deve utilizzarle in azienda come strumento di lavoro). Per i primi (i produttori), entrano in gioco competenze informatiche specialistiche funzionali a realizzare applicazioni in diverse aree dell’intelligenza artificiale, dalla comprensione del linguaggio naturale alla ricerca di soluzioni ed alla pianificazione, ad altre specifiche (ad esempio, utilizzare una piattaforma per lo sviluppo di sistemi composti da più agenti intelligenti e un linguaggio di programmazione orientato agli stessi; identificare e configurare le modalità di connessione di sensori, device intelligenti; sviluppare le componenti software per l’acquisizione e l’integrazione di dati e la comunicazione tra sensori e dispositivi con l’utilizzo di diverse tecnologie di comunicazione).

È bene ricordare che alle competenze tecniche si aggiungono competenze per tenere sotto controllo eventuali esiti distorti, tra le quali una raffinata conoscenza della lingua naturale, che spesso esprime (magari inconsapevolmente) i nostri pregiudizi. A dirlo sono i tanti casi passati ormai in rassegna. È stato denunciato, ad esempio, come molti programmi di IA usati negli Stati Uniti dalle forze dell’ordine per la prevenzione del crimine, tendano a sovrastimare la probabilità di reati commessi da minoranze etniche. Ancora, è recente la notizia di un algoritmo utilizzato per la selezione del personale che privilegia donne se deve selezionare una posizione da infermiere e uomini per una da ingegnere. Questo solo perché, basandosi su dati e serie storiche, ha imparato che la posizione di infermiere è ricoperta per la maggior parte dei casi da donne, mentre quella di ingegnere da uomini.

Questi esempi mostrano come disuguaglianze o pregiudizi ben radicati nella nostra società rischiano di essere trasmessi anche alle macchine intelligenti in assenza di una necessaria e adeguata correzione da parte di chi le programma. Inoltre, aprono una riflessione su un ulteriore aspetto centrale nello scenario evolutivo delle professioni: la necessità di un approccio (e dunque di una formazione) multidisciplinare all’attività lavorativa. Nei casi riportati emerge l’importanza della complementarietà tra competenze informatiche di programmazione e umanistiche, come padronanza linguistica, spirito critico, contributi di tipo etico e antropologico e si evince quanto, nei nuovi paradigmi del lavoro, gli studi interdisciplinari siano fondamentali per preparare le giovani generazioni ad affrontare un mondo sempre più complesso, a vedere i problemi da più punti di vista e ad inventare nuovi modi di pensare. Non a caso, in questa direzione si muovono da anni le migliori università a livello internazionale (ad esempio, Stanford incentiva gli studenti a seguire corsi interdisciplinari, Harvard ha strutturato la scuola di Ingegneria su corsi interdisciplinare).

Macchine ed etica

Altrettanto importante, sempre per chi programma le macchine intelligenti, è l’etica su cui si deve basare la programmazione. Pensiamo, ad esempio, ad un software per l’autoguida nello sfortunato caso in cui si dovesse trovare a scegliere tra salvare il passeggero o la persona che ha attraversato all’improvviso la strada: che tipo di decisione prenderebbe? Va sempre tenuto presente che la tecnologia di per sé non è né buona, né cattiva, dipende solo dall’uso che l’uomo ne fa.

Relativamente alle competenze tecniche richieste ai lavoratori (ovvero, gli utilizzatori), considerato che la tecnologia è normalmente user friendly e che le applicazioni variano da azienda ad azienda, questi dovranno essere oggetto di formazione continua on the job organizzata dalla singola azienda. Saranno, inoltre, sempre più importanti le soft skill e le competenze di carattere sociale: quando le attività lavorative sempre più rapidamente diventano obsolete e le tecnologie cambiano continuamente, le competenze sociali possono fare la differenza, sostenendo quelle capacità di empatia e di interazione che mancano alle macchine. Di fronte ad ambienti che saranno sempre più automatizzati, le aziende hanno cioè necessità di potenziare funzioni cognitive ed etiche, hanno bisogno di lavoratori che non solo rispondano a bisogni pratici, ma che abbiano capacità di giudizio e valutazione, propensione al rinnovamento, una forma mentis orientata all’apprendimento costante, oltre a flessibilità mentale, capacità di reazione e sintesi.

Queste considerazioni mostrano come il cambiamento che devono affrontare le aziende sarà in primo luogo di natura culturale: la sfida (per istituzioni, imprese e lavoratori, scuole) è quella di maturare una diversa consapevolezza del proprio ruolo e della propria funzione.  Il ricorso a tecnologie e soluzioni innovative (come IA, IoT, cloud computing, big data, realtà aumentata, digital manufacturing, robotica, ecc.) rende possibile immaginare nuove soluzioni organizzative per i processi aziendali e nuovi modelli di business, ma per farlo è indispensabile avviare una trasformazione culturale, che riguardi i processi aziendali, il modo di lavorare delle persone e le loro competenze. Non solo cosa fare, dunque, ma come farlo. Non semplicemente adottare IA e nuova tecnologia, ma sposare una nuova cultura d’impresa.

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