Italtel ha appena stretto un accordo quadro con il Cnr per la ricerca congiunta. Crediamo che sia un evento importante perché in Italia non abbiamo ancora maturato l’idea che la ricerca sull’innovazione digitale possa portare un vantaggio competitivo al Paese. Pur avendo aree di eccellenza, le punte più alte del nostro made-in-Italy, non siamo del tutto consapevoli di come l’innovazione possa far crescere il business.
Il nostro esempio può dimostrare che c’è una soluzione al problema. E questa passa da un’azione congiunta pubblico-privata: mettendo assieme le competenze sviluppate da un’azienda privata con quelle degli istituti di ricerca pubblici.
L’accordo Italtel-CNR
Il recente accordo nasce dalla collaborazione in bandi di finanziamento della ricerca e sviluppo. Da diverse settimane lavoriamo assieme sulle quantum technologies, che sono la prossima frontiera tecnologica non solo per i computer, ma anche per le telecomunicazioni. In particolare portiamo avanti ricerche con il CNR nell’ambito delle applicazioni per la security delle reti, con la tecnologia Quantum Key Distribution. Questa permette di generare chiavi segrete con la sicurezza garantita dalle leggi della fisica quantistica. Tecnologia che ad oggi risulta inviolabile. In Italia abbiamo quindi il CNR, vari istituti di ricerca sui fotoni, ma anche altri partner come il Politecnico di Milano, tutti interessati a questa tecnologia.
A questo progetto diamo tre contributi.
Primo: sulla struttura topologica delle reti ottiche necessaria per applicare la QKD. Siamo infatti diventati progettisti molto specializzati sulle reti Open Fiber e offriamo di conseguenza le nostre competenze maturate finora sul mercato.
Secondo: dato che le chiavi crittografiche, oltre a essere scambiate sul portante ottico (fibra), devono agire anche sugli strati superiori (IP) dei servizi, diamo un contributo sull’integrazione tra lo strato ottico e quello di networking.
Terzo: un contributo sull’analisi dei dati che derivano dalla ricerca fatta su alcune reti ottiche, in particolare quelle di Napoli, di Prato e quella nazionale che gestisce la sincronizzazione degli orologi marche di tempo in Italia (Inmir). L’ultima è la rete Gaar (la rete italiana a banda ultralarga dedicata alla comunità dell’istruzione, della ricerca e della cultura), mentre le prime due sono gestite dal CNR e dai rispettivi Comuni.
I prossimi sviluppi
In prospettiva vogliamo valorizzare le nostre competenze per altri ambiti: Industria 4.0, telemedicina e città intelligenti. Sono le tre applicazioni che vogliamo portare sulle tecnologie 5G, sviluppate come gruppo Exprivia-Italtel.
Telemedicina per noi vuol dire portare a casa del paziente la corsia dell’ospedale. Grazie soprattutto ai nuovi sensori e alla video comunicazione immersiva abilitata dal 5G, con cui il paziente può avere, a distanza, una interazione completa, quasi un contatto, con il medico. Proprio come se fosse in ospedale.
Un grandissimo ospedale italiano, noto per il reparto di oncologia, mi ha detto: risolveremmo problemi di intasamento e ritardi se – per i follow up che dobbiamo fare ogni sei mesi con i pazienti – riuscissimo a seguire le persone a distanza.
Un’idea è rendere gli ospedali più remoti – quelli che oggi l’Italia vorrebbe cancellare – “punti di raccolta” di dati da inviare poi a ospedali più attrezzati e più specializzati. In periferia possiamo tenere le macchine radiografiche, senza bisogno di avere in loco medici super specializzati. Questi ultimi possono lavorare meglio analizzando i dati, centralizzati, che provengono dai centri di raccolta.
Tutto questo è favorito dal 5G. Per due motivi. La video comunicazione immersiva ha bisogno di una rete gigabit al secondo. Ma non solo. La tecnologia network slicing, possibile con il 5G, permette di profilare la rete assegnando una parte della rete (appunto uno slice) ad un particolare servizio. Quello di telemedicina, per esempio. Con un fattore di affidabilità del 99,999.
In conclusione, sappiamo quanto il nostro Paese sia in ritardo nell’investimento in ricerca e sviluppo (vi spende lo 1,3 per cento del PIL, in particolare appena lo 0,6 per cento in ricerca pubblica di base). Significa che l’Italia non ha più la forza di guardare al futuro. Noi vogliamo così dare un piccolo contributo perché tutti noi – cittadini, aziende e istituzioni – possiamo tornare ad affacciarci con coraggio sul domani.