Dati i benefici generati dal piano industria 4.0 negli ultimi anni, non può che essere letto in chiave positiva l’ulteriore incentivo al cambiamento rappresentato dal decreto attuativo del 22 giugno del ministero dello Sviluppo economico, con il quale vengono messi a disposizione di microimprese e PMI 100 milioni di euro per favorire la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi.
Le tecnologie previste sono quelle che rientrano nell’ambito di Impresa 4.0 e relative a soluzioni tecnologiche digitali di filiera, e oltre a questo la prospettiva è quella di passare dal Piano Industria 4.0 a quello Transizione 4.0.
Questa nuova politica industriale del Paese sarà “più inclusiva e attenta alla sostenibilità”, spiega il Mise. La strategia comporta un’iniezione di risorse per le imprese pari a circa sette miliardi di euro incentivando “i grandi progetti di automazione, intelligenza artificiale, blockchain e per la transizione green dei sistemi produttivi”.
Considerando il cambiamento epocale a cui abbiamo assistito non possiamo che vedere prospetticamente in modo positivo questo ulteriore incentivo al cambiamento, non solo per gli evidenti benefici già generati dal programma I4.0 negli ultimi anni, ma anche e soprattutto per le prospettive di ripartenza – nel metodo e nel merito – che potrà abilitare.
Trasformazione digitale: le tre direttrici del cambiamento
Come sappiamo la strategia dell’industria 4.0 è stata una delle direttrici di crescita più importanti per il manufacturing negli ultimi 5 anni, generando un mercato che ad oggi vale da solo in Italia all’incirca 4 miliardi di euro e dal 2015 ad oggi è cresciuto a ratei maggiori del 20% annuo.
Innovazione sul ciclo di vita del prodotto, fabbrica e supply chain sono state per le imprese manifatturiere le arene di adozione di soluzioni I4.0 nel periodo Pre-Covid; Industrial Analytics, IoT e automazione le principali direttrici di intervento con gli obiettivi di aumentare produttività, e controllo della filiera di fornitura e dei processi di trasformazione.
La crisi Covid-19 dal primo quarter del 2020 ha avuto impatti significativi in tutti i comparti manifatturieri e produttivi: a partire dall’automotive, ma anche altri settori fondamentali per l’industria italiana, come il lusso (sia abbigliamento che design, home furnitures, etc.) o i macchinari ad alta tecnologia, hanno visto le proprie Supply Chain messe in discussione sia come fornitura che come mercato di distribuzione.
Non siamo nuovi negli ultimi decenni alle catastrofi ambientali che minacciano la continuità del sistema economico, basti pensare all’eruzione del vulcano Eyjafjallajokull in Islanda nel 2010 o al terremoto e lo tsunami di Fukushima in Giappone nel 2011, o ancora alle inondazioni della Thailandia e agli uragani Maria e Harvey. Ma la crisi Covid-19 sta minando in modo del tutto nuovo ed inaspettato le nostre sicurezze perché ha rivelato non solo una fragilità transitoria del sistema economico (sapevamo che l’eruzione sarebbe finita, l’urgano passato, etc.), ma anche una più profonda di noi esseri umani con la quale siamo destinati a fare i conti anche nel lungo termine.
In questo senso si inserisce con ancora maggiore forza la trasformazione digitale, soprattutto nei processi produttivi. In Italia gli investimenti in “automazione” si sono limitati principalmente ai processi logistici e ad alcune attività di controllo e fine linea, tuttavia la prospettiva della “nuova normalità” post-Covid rimette l’agenda digitale al centro della strategia aziendale agendo su tre direttrici:
- Safety: La sicurezza dei lavoratori e la business continuity sono cruciali. Gli investimenti per il distanziamento sociale e la salute e sicurezza così come quelli per l’automazione, contribuiscono a rendere l’ambiente di lavoro più “a misura di lavoratore”
- Control: Gli investimenti in industrial analytics permetteranno in futuro di poter simulare con grande affidabilità scenari di supply chain e/o business case di produzione in modo da aumentare la resilienza dell’intera Supply Chain
- Sustainability: La necessità di prenderci cura di noi stessi e del mondo che ci circonda sono una delle eredità della esperienza del lockdown. Investimenti per ridurre il commuting, aumentare e rendere più efficace lo smart-working, ed investimenti per ridurre ulteriormente sprechi energetici ed inquinanti con l’utilizzo di intelligenza artificiale permetteranno di affrontare una nuova e più consapevole stagione della sostenibilità che non sarà più solo relegata a una riduzione di emissioni inquinanti. Per questo pensiamo che la “transizione green dei sistemi produttivi” sia un vero e proprio cambiamento culturale.
Liberare valore con industria 4.0
L’Italia è pronta a ripartire e gli investimenti non spaventano, secondo un’indagine di EY, più di metà delle aziende con investimenti in programma all’interno del programma I4.0 non posporranno gli investimenti anche con cali di fatturato sul 2020 superiori al 20%.
Questo è quanto possiamo osservare riguardo alla pervasività del programma che – andando oltre al puro beneficio relativo agli incentivi – sta iniziando a essere percepito come un vero “abilitatore della competitività”.
Stiamo osservando un’ulteriore possibilità distintiva per il tessuto industriale italiano dal momento che il comparto produttivo nel Paese si fonda su una costellazione di distretti industriali con proprie specificità: dalla “motor valley” in Emilia, alla cantieristica navale in Friuli e nelle Marche, all’industria per i macchinari del vetro in Veneto, la ceramica a Sassuolo, etc.
La vocazione all’export, il contenuto tecnologico e la duttilità dell’offerta costituiscono in DNA della nostra imprenditorialità e ciascuna «filiera» è caratterizzata da uno o più «capi filiera» e da diversi livelli di fornitori di dimensioni più piccole, ma egualmente specializzati e con rapporti generalmente di lunga durata.
In questi ecosistemi industriali c’è la possibilità di liberare valore utilizzando l’Industry 4.0, in particolare lavorando su tre fronti:
- Sostegno ai capi filiera in particolare su: innovazione – per favorire la digitalizzazione e l’I4.0 anche nei fornitori; sicurezza – per supportare i subfornitori nell’adozione di best practices per la prevenzione e la gestione delle emergenze sanitarie
- Sviluppo del «network» mettendo a fattor comune Industrial analytics, business intelligence e infrastrutture cloud di supporto
- Change Management: collaborazione e co-investimento (per esempio in automazione) dove il fornitore non è una risorsa da sfruttare, ma un partner per la crescita e la competizione tra aziende, e non può precludere lo sviluppo – anche tecnologico – del territorio
Quello che è richiesto è un percorso di trasformazione che deve partire subito, e in un certo qual modo deve prescindere dalle considerazioni su quali effetti del Covid-19 rimarranno e quali invece saranno transitori.
Non siamo in grado di fare previsioni su ciò che accadrà a ottobre o nel prossimo inverno, né se lo scenario sanitario sarà talmente migliorato da mitigare in modo significativo gli effetti di un eventuale ritorno della pandemia.
È la lettura strategica del cambiamento che è importante: per usare un’analogia potremmo paragonare il momento attuale per le Supply Chain al giorno in cui negli anni 60 in Svezia è stato cambiato il senso di marcia nella circolazione stradale (cosiddetto “Dagen H”), da guida a destra come in Inghilterra a guida a sinistra come nel resto d’Europa: cambia tutto (abitudini, comportamenti, etc.) e probabilmente non eravamo preparati ad un cambiamento così repentino, quasi “nel corso di una notte”, ma quello che è chiesto alle aziende che vogliono continuare ad eccellere è di accelerare un percorso che già era in atto, con una rinnovata consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.