Se il 2021 è stato un anno, statisticamente parlando, di rilancio dell’Industry 4.0 la Legge di Bilancio 2022 lo ha chiuso con diverse incognite per il futuro. Sicuramente molto apprezzato è stato il rifinanziamento per il periodo 2023-2025 del piano Transizione 4.0 e l’integrazione della Nuova Sabatini con 900 milioni di euro.
Le misure, però, avranno una frenata già a partire dal 2023 per quanto riguarda le aliquote dei crediti di imposta. La prima vittima sacrificale: la formazione 4.0, ma potrebbe non essere l’unico bagaglio scaricato per strada. Nel frattempo l’inflazione è in crescita, l’UE in ritirata e il quadro macro-economico potrebbe cambiare a breve.
Transizione 4.0, quale futuro per il piano italiano: ecco le opportunità 2022
Transizione 4.0, l’impatto della proroga degli incentivi
Tra i più “accontentati” dal prolungamento del piano Transizione 4.0 fino al 2025 ci sono sicuramente i rappresentanti dell’industria italiana che avevano insistentemente chiesto al governo di continuare con le misure di incentivo. Il MISE non è rimasto fermo. Nella Legge di Bilancio si trova molto di quanto era stato richiesto a gran voce. Il 2022 potrebbe essere un anno favorevole agli investimenti del settore privato nei beni materiali e immateriali 4.0. Viene confermato l’impianto basato sul credito d’imposta che sostituisce i vecchi ammortamento e iper-ammortamento e copre diverse aree di interesse per le imprese. Nell’ambito degli investimenti in beni materiali le aliquote confermate sono:
- 40% del costo, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni,
- 20%, per la quota di investimenti oltre i 2,5 milioni e fino a 10 milioni,
- 10%, per la quota oltre i 10 e fino a 20 milioni, nel limite massimo di costi ammissibili.
A partire dal 2023 scatterà invece il dimezzamento e la diminuzione progressiva delle suddette aliquote, che avrà fatto storcere il naso a chi aveva già investito negli anni precedenti e potrebbe considerare di farne ulteriori a medio-lungo termine. Nel 2023, lo schema del credito d’imposta cambia come segue:
- 20% del costo, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni,
- 10%, per la quota di investimenti oltre i 2,5 milioni e fino a 10 milioni,
- 5%, per la quota oltre i 10 e fino a 20 milioni, nel limite massimo di costi ammissibili.
Il taglio progressivo è previsto anche per i beni immateriali quali software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni e servizi di cloud computing. Per il biennio 2022-2023 saranno agevolati al 20% e poi al 15% per il 2024 e al 10% per il 2025. La soglia di investimento entri cui si può richiedere il credito d’imposta è unica e fissata a un milione di euro. Anche gli interventi dedicati alle attività di ricerca, sviluppo, innovazione e design sono confermati nell’anno 2022 fino al 20% per R&S con un tetto massimale pari a 4 milioni. Successivamente è previsto un taglio delle aliquote che però si protrae fino al 2031. La ricerca sarà – salvo ulteriori modifiche – l’ambito di interesse più longevo del piano Transizione 4.0.
L’evoluzione della Sabatini
Per sostenere gli sforzi e i costi produttivi delle PMI viene estesa anche la Nuova (vecchia) Sabatini. Negli anni 2020 e 2021, le richieste erano state talmente elevate da costringere il governo all’aumento del fondo previsto di ulteriori 300 milioni. La soluzione finale, adottata nella Legge di Bilancio, integra i finanziamenti con 900 milioni fino al 2027 e include il limite della fruizione in unica rata solo per finanziamenti sotto i 200.000 euro.
Il nodo della formazione
Qualcosa però non torna e le nuvole tornano ad addensarsi intorno ad un punto cruciale dell’Industria 4.0: le competenze e la formazione. Il credito d’imposta destinato alla formazione del personale dipendente finalizzata all’acquisizione o al consolidamento delle competenze per la trasformazione tecnologica e digitale 4.0 infatti non viene prorogato oltre il 2022. Le aliquote sono più elevate rispetto agli altri due ambiti di applicazione. Si parla del 50% fino a 300mila euro per le piccole imprese, mentre il 40% si applica alle medie imprese e il 30% alle grandi fino a 250mila euro di investimenti. Nonostante gli incentivi siano più che proporzionati, la mancata proroga a favore di altri campi di investimento pone alcuni dubbi sull’efficacia complessiva del piano. Dubbi che erano già sorti in seguito alle prime versioni sia di Transizione 4.0 sia del piano originale del 2016 (Industria 4.0.
Il caso di Inapp e Politecnico di Torino
Non è un caso che recentemente anche l’INAPP (Istituto Nazionale per le Politiche Pubbliche) insieme al Politecnico di Torino abbiano insistito molto sul fronte delle competenze necessarie ad effettuare il passaggio chiave verso un nuovo paradigma produttivo. Entrambi, in un convegno sul tema, hanno sottolineato che “nonostante l’enfasi dei Piani governativi per sostenere gli investimenti nelle tecnologie e nelle competenze di Industria 4.0, le modalità con cui queste tecnologie stanno cambiando i modelli operativi e di gestione delle risorse umane delle imprese sono stati finora studiati in modo parziale e non sistemico”. Implicitamente riconoscendo come le policy portate avanti dal decisore pubblico nell’arco di 7 anni non abbiano attecchito sul fronte delle competenze digitali né abbiano contribuito alla costruzione di un sistema complessivamente in grado di effettuare il cambio di paradigma verso la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale. Della quale non si sono, infatti, visti gli effetti strutturali. Né prima, né durante l’emergenza Covid-19.
E non sembra nemmeno sufficiente l’intervento governativo nell’ambito del decreto legge approvato contestualmente alla Legge di Bilancio relativo all’attuazione del PNRR. All’interno del decreto si trova il fondo “Repubblica Digitale” con uno stanziamento di 250 milioni di euro. Gli obiettivi vanno dalla riduzione del divario digitale alle agevolazioni alle imprese, fino al raggiungimento di una maggiore sicurezza per dati e servizi della Pubblica Amministrazione. Eppure sembra una misura sconnessa e fine a sé stessa, se non affiancata da interventi che riguardano scuola, politiche industriali e volte a potenziare la ricerca pubblica o, perlomeno, a creare le connessioni con quella svolta in ambito privato. Il problema non è solo l’insufficienza di risorse, 250 milioni sono effettivamente una cifra esigua, ma di impostazione.
Conclusione
Ma le competenze digitali non sono l’unico aspetto carente per l’Industria 4.0 che verrà. L’impressione è che il governo abbia voluto giocare d’anticipo rispetto agli scenari che si prospettano nell’anno 2022. A partire dalle perturbazioni politiche cui si va normalmente incontro prima di una tornata elettorale. Soprattutto, i cambiamenti macro-economici dovrebbero portare perlomeno ad un aggiustamento delle politiche pubbliche.
Una Transizione 4.0 basata solo sul credito d’imposta potrebbe non essere sostenibile nel lungo periodo dove l’inflazione è in crescita costante e riguarda più che altro le risorse energetiche e l’approvvigionamento di materie prime. Che cosa se ne fanno le imprese delle agevolazioni se i beni immateriali sono gravati da costi extra legati all’intasamento delle supply-chain? Inoltre va considerata l’ipotesi di rialzo dei tassi da parte delle banche centrali e la riduzione, già in atto, degli acquisti dei titoli che potrebbe incidere sulle aspettative delle aziende per i prossimi anni. Non è forse meglio agire in modo organico e adattarsi ai nuovi scenari invece di proseguire su sentieri già calcati e ricalcati?