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Transizione 5.0, tutto ciò che bisogna sapere: incentivi, green, formazione



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Il piano Transizione 5.0, che è dotato di fondi per 6,3 miliardi di euro ed è in vigore dal 2 marzo 2024, valorizza la transizione ecologica: vediamo aliquote e scaglioni, i beni eleggibili come i software ERP e cosa manca

Pubblicato il 4 mar 2024

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)



Transizione 5.0
Transizione 5.0

Dopo una lunghissima attesa, arriva finalmente il piano Transizione 5.0 con il decreto legge PNRR, approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 febbraio 2024 e in vigore dal 2 marzo con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. A parte la conferma parlamentare entro il termine dei consueti 60 giorni, mancano due decreti attuativi (in particolare il primo da emanare entro 30 giorni, dunque entro il primo aprile) per la piena operatività.

Ma la coltre di incertezza che è caduta sulla misura di sostegno principale rivolta a sostenere l’innovazione delle imprese, ferma a Transizione 4.0, si è in gran parte diradata. Anche se permangono alcuni dubbi.

Transizione 5.0, le differenze con Transizione 4.0

Per capire meglio la portata delle novità introdotte dal piano Transizione 5.0, appare utile riepilogare la situazione antecedente, che continuerà peraltro parallelamente al nuovo programma di incentivi nei casi in cu,i chi vorrà accedervi, non sarà in grado di mettere in campo interventi che producano un risparmio energetico almeno pari al 3% della struttura produttiva o al 5% dei processi interessati dal progetto.

Il piano Transizione 4.0 è stato finanziato nell’ambito della Missione 1 – Componente 2 “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo” del PNRR, con una dotazione finanziaria di 13,381 miliardi di euro (a cui si aggiungono 5,08 miliardi di euro del Fondo complementare) e l’obiettivo di sostenere la trasformazione digitale delle imprese incentivando gli investimenti privati in beni e attività a sostegno della digitalizzazione attraverso il riconoscimento di un credito di imposta a fronte di: acquisto di beni materiali; acquisto di beni immateriali 4.0 (es. software avanzati); acquisto di beni immateriali tradizionali (es. software di base); attività di R&D&I; attività di formazione 4.0. I beni materiali e immateriali 4.0 soggetti al regime di incentivazione sono specificati nei due Allegati (A e B) predisposti dall’allora Ministero dello Sviluppo economico.

Da Industria 4.0 a Transizione 5.0

Nello specifico, le forme di sostegno ricomprese nel piano Transizione 4.0 affondano le loro radici nel 2016, con il lancio del Piano Nazionale Industria 4.0, poi diventato Impresa 4.0 prima di essere ribattezzato con il nome attuale, prima dell’ulteriore evoluzione verso il paradigma 5.0.

Transizione 4.0 aliquote

Dando seguito al décalage previsto dal PNRR, dal primo gennaio 2023 è scaduto tout court sia il regime di favore per l’acquisto di beni materiali e immateriali tradizionali che per le attività di formazione 4.0. Allo stesso tempo, sono stati previsti tagli significativi per l’acquisto di beni strumentali 4.0 (sia materiali che immateriali) così come per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione. Per i beni materiali 4.0, si è stabilito un dimezzamento per tutte le classi di investimento: dal 40% al 20% fino a 2,5 milioni di euro; dal 20% al 10% da 2,5 a 10 milioni di euro e dal 10% al 5% da 10 a 20 milioni di euro (che è il tetto massimo ammissibile). Il taglio è stato ancora maggiore per i beni immateriali 4.0, dal 50 al 20% (fino a un tetto di 1 milione di euro). Mentre è intervenuta ancora la regola del dimezzamento (dal 20 al 10%) per le attività di ricerca di base, industriale e sperimentale. La scure è stata più lieve (ma su aliquote di partenza più ridotte) solo per le attività di innovazione tecnologica “green”, alle quali si applica un credito d’imposta sceso “solo” dal 15% al 10%.

Piano Transizione 5.0 incentivi

Le novità del piano rispetto alle versioni precedenti, in particolare il Piano Transizione 4.0 in vigore fino al 31 dicembre 2022, sono principalmente quattro.

Transizione 5.0 green

In primo luogo, l’incentivo è differenziato in ragione del risparmio energetico previsto. Si passa dunque da un’aliquota compresa:

  • tra il 35% e il 45% fino a 2,5 milioni di euro,
  • dal 15% al 25% da 2,5 a 10 milioni di euro,
  • dal 5% al 15% da 10 a 50 milioni di euro.

Considerato che, a parte l’eccezione per i software 4.0 che per il solo 2022 hanno goduto di un credito del 50% (ma solo fino a un milione di euro), in caso di risparmi energetici di almeno il 10% per l’unità produttiva e di almeno il 15% per il processo, l’aliquota risulta maggiorata del 5% rispetto a quella vigente fino al 2022. Il che rappresenta ben il 50% in più per lo scaglione più elevato di investimenti, quello oltre i 2,5 milioni di euro.

Transizione 5.0 tetto scaglioni

Non solo e qui siamo alla seconda importante novità: questo scaglione più elevato, che gode di incentivi (sia pure più bassi) arriva fino a 50 milioni di euro contro i 20 precedenti. Considerata anche l’inflazione piuttosto elevata di questi ultimi anni, si tratta a tutti gli effetti almeno di un raddoppio.

Transizione 5.0 software

Inoltre, l’elenco dei software eleggibili viene esteso a quelli che monitorano i consumi energetici, l’energia autoprodotta o l’efficienza energetica, nonché se acquistati congiuntamente a questi ultimi quelli per la gestione d’impresa (in pratica, i software di tipo ERP, che sta per Enterprise Resource Planning, usati dalle organizzazioni per gestire le diverse attività di business). Infine, le imprese dovranno presentare una doppia certificazione, una ex ante sulla riduzione dei consumi conseguibili e una ex post sull’effettiva realizzazione degli investimenti.

Transizione 5.0 formazione

Per quanto riguarda la formazione, sulla quale si era perso dal primo gennaio 2023 qualsiasi tipo di incentivo contenuto nel piano Transizione 4.0, il piano Transizione 5.0 prevede spese agevolabili purché non superiori al 10% degli investimenti totali ed entro un tetto massimo di 300.000 euro. La formazione dovrà essere assicurata da soggetti esterni dotati di determinati requisiti (specificati da un decreto attuativo).

L’analisi

Rispetto agli obiettivi della transizione ecologica, e ovviamente sperando che la differenziazione delle aliquote non renda il sistema troppo complicato in fase di certificazione ex ante ed ex post, la struttura di Transizione 5.0 sembra avere assolutamente senso. E l’incentivazione economica è assolutamente robusta, considerato il beneficio economico ulteriore che deriva dal risparmio di energia in termini di minori costi. Che peraltro, oltre a potersi cumulare con i crediti d’imposta nel biennio 2024-25, rimarranno anche successivamente.

Anche rispetto alla formazione, la misura prevista ha un senso rispetto alla transizione ecologica. Dati gli investimenti previsti al fine di conseguire una riduzione dei consumi o una maggiore autoproduzione da energia rinnovabile, gli interventi di formazione saranno con ogni probabilità molto mirati, rivolti al ristretto numero di quanti interagiranno con le tecnologie clean tech. E anche qualora, per alcune applicazioni, verrà tirato in causa un numero superiore di dipendenti l’intervento formativa sarà con ogni probabilità di durata e costo limitato.

Le lacune di Transizione 5.0: digitale e formazione

Tutt’altra prospettiva può essere immaginata se guardiamo alle stesse questioni dal punto di vista della transizione digitale. Intanto, non è affatto detto che l’intervento porti a una riduzione accertabile dei consumi energetici. Peraltro, la confrontabilità rispetto a una situazione esistente di fatto, se non ben congegnata o comunque sterilizzata in maniera efficace, può portare paradossalmente a scoraggiare l’innovazione. E in ogni caso non è affatto detto che dal punto di vista della transizione digitale e dell’innovatività tout court di un progetto uno che porti a una maggiore riduzione dei consumi sia preferibile rispetto a un altro che magari li lascia inalterati o comunque li riduce.

Ma è passando alla formazione che emergono le lacune peggiori del piano, così come possiamo capirne le modalità applicative ad oggi. È vero che nelle prime versioni del Piano veniva indicato un limite del 5% dell’investimento complessivo e inoltre tra le spese ammissibili venivano unicamente considerate quelle per l’acquisizione o il rafforzamento delle skill richieste per la transizione ecologica (con tanti saluti a quella digitale).

Ma le nuove previsioni, per quanto rese meno penalizzanti, continuano a rimanere del tutto inadeguate. Intanto immaginare che gli unici progetti di formazione che possano godere di crediti d’imposta siano quelli collegati a risparmi energetici (o a interventi destinati all’autoconsumo) appare incredibilmente limitativo, anche per i motivi sopra ricordati. Inoltre, limitarli al 10% degli investimenti totali riflette o una sfiducia esagerata o una concezione vecchio stile dell’innovazione, basata su grandi investimenti di capitale. Laddove cloud e intelligenza artificiale generativa ci insegnano che la spesa maggiore per perseguire l’innovazione in azienda come in qualsiasi altra organizzazione (con forse le sole eccezioni della manifattura e dell’agricoltura) è ormai quella in capitale umano.

Transizione 5.0, le risorse

Transizione 5.0 è dotato di risorse pari a 6,3 miliardi di euro, di cui però solo 3,78 miliardi di euro per i beni strumenti e 630 milioni per la formazione. Il resto (1,89 miliardi di euro) va ad autoconsumo e autoproduzione dovrebbero andare ai beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo di energia prodotta da fonti rinnovabili. I 4,4 miliardi di euro effettivamente disponibili per progetti che includono l’innovazione digitale vanno inoltre suddivisi per i due anni di durata del programma.

È vero che nel frattempo si potrà continuare a godere dei benefici del programma Transizione 4.0 ma la riduzione delle aliquote e il venir meno di varie misure (in particolare, i crediti alla R&S e la formazione 4.0) rende quel piano decisamente più spuntato rispetto al passato.

Conclusione

Come abbiamo già scritto pochi mesi fa, transizione ecologica e digitale sono spesso definite gemelle e certamente sono caratterizzate da complementarietà. Se il digitale produce maggiore efficienza dei processi produttivi è giusto e per certi versi naturale, anche per le tasche delle imprese, che tra gli indicatori che valutino il raggiungimento degli obiettivi preposti ci siano quelle di performance energetica. Ma non è detto che ciò accada, specie paradossalmente rispetto all’innovazione radicale (che presuppone di per sé qualcosa che non può essere confrontato con il prima e potrebbe essere anche energy intensive, pensiamo proprio all’intelligenza artificiale). E, in ogni caso, guardando alla formazione, ingrediente essenziale della rivoluzione basata sull’IA, è del tutto evidente che le due transizioni presuppongano competenze solo in piccola parte sovrapponibili.

Non riconoscerlo o peggio non prevedere coscientemente strumenti che accompagnino il reskilling e upskilling dei lavoratori in ambito ICT sarebbe uno sbaglio enorme che ignorerebbe gli ultimi posti in classifica occupati dall’Italia a livello europeo sia sulle competenze digitali di base che in quelle avanzate. Se dunque abbracciare il paradigma di Industria 5.0 significa far finta che la transizione digitale sia già pienamente o in larga parte avvenuta e dunque occorra guardare verso nuovi e più ampi lidi questo vorrebbe dire cristallizzare i punti di debolezza del sistema produttivo nazionale nei confronti dei nostri competitor. Almeno nella dimensione digitale, che è però alla base della reale innovazione e competitività di un Paese moderno.

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