L'APPROFONDIMENTO

Umanesimo digitale per il new normal, via al patto ricerca-imprese

Lo shock socio-economico impone nuovi modelli di business in grado di rispondere alla domanda di innovazione antropocentrica. Contaminazione fra aziende e università fattore strategico per una crescita sostenibile. Ma serve che le istituzioni supportino l’ecosistema imprenditoriale con investimenti mirati

Pubblicato il 12 Nov 2020

Andrea Poggi

Innovation Leader di Deloitte Italia e North-South Europe

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La storia ci insegna che le crisi mettono in discussione modelli socio-economici abituali e consolidati, incidendo non soltanto sulle condizioni di contesto, ma anche e soprattutto sui comportamenti degli individui. Basti pensare che nel 2020 i lavoratori in smart working sono aumentati del 770% (Rapporto Coop 2020) rispetto all’anno precedente e che questa importante virata sulle nuove modalità lavorative avrà certamente un impatto sul futuro di tutto il mondo del lavoro. O che il 75% degli italiani creda che sia necessario ripensare l’urbanistica delle città e gli annessi stili di vita (SWG 2020), per assecondare i nascenti modelli di mobilità sostenibile.

Non solo. Il lockdown ci ha tenuti chiusi nelle mura domestiche per mesi interi, costringendo anche i più restii a cambiare il proprio approccio con la tecnologia, divenuta nel corso della pandemia un potente alleato non solo per soddisfare i bisogni primari, come l’acquisto di beni e servizi direttamente da casa (+55% vendite online nel 2020 vs 2019, Netcomm), ma anche per mantenere i contatti con il mondo esterno (l’86% degli italiani ha utilizzato la tecnologia per tenersi in contatto con famiglia e amici durante il lockdown, Ericsson).

Analizziamo il nuovo assetto a partire dall’accelerazione impressa dal lockdown su processi già in atto su temi centrali e imprescindibili come trasformazione digitale, innovazione, transizione green.

La spinta digitale del lockdown

Non è affatto raro che l’innovazione tecnologica rappresenti il driver per rispondere non solo alle nuove e mutate emergenze della società tutta, ma anche alle crisi vere e proprie che ciclicamente si ripropongono con ripercussioni pesanti. Osservando infatti l’evoluzione storica delle molteplici crisi globali che si sono succedute nel corso dei secoli, è possibile notare come da ciascuna di esse sia scaturita una pluralità di innovazioni, scoperte e invenzioni. Ad esempio, durante la bolla dot.com e la crisi finanziaria 2007-2013, le domande di brevetto a livello mondiale sono aumentate quasi del 100%, con tecnologie rivoluzionarie come il Bluetooth e la Blockchain.

La domanda di innovazione “umana”

A differenza delle crisi precedenti, però, la crisi da Covid ha portato con sé un forte shock di natura emotiva e ha amplificato in maniera evidente i bisogni di contatto umano e socialità. È stato scavato un solco netto rispetto al passato e alle vecchie abitudini, senza dimenticare che il fenomeno è ancora in atto e la seconda ondata che stiamo vivendo, con le recenti misure adottate dalle autorità, ci pone ancora di fronte alla necessità di mantenere il distanziamento e parametrare in modo differente una nuova socialità.

In questa fase così complessa, destinata ad accompagnarci per i prossimi mesi, le aziende non possono non tenerne conto: ad oggi, il 62% degli italiani pensa che il progresso digitale e le evoluzioni tecnologiche non considerino sufficientemente l’aspetto umano (Deloitte) ed è necessario che le aziende inizino a ripensare gli approcci strategici e i modelli di business per assecondare e valorizzare questa nascente e sempre più forte necessità. L’ibridazione dei modelli, la compresenza tra fisico e virtuale, era una tendenza in forte crescita già prima dello scoppio dell’epidemia, ma oggi è diventato un imperativo: secondo una ricerca Deloitte infatti, circa il 45% dei consumatori preferirebbe avere una combinazione di canale digitale e fisico piuttosto che soluzioni puramente digitali (preferite solo dal 19% degli intervistati) o puramente fisiche.

Questo nuovo bisogno di innovazione, ma al contempo di antropocentrismo, non impatta però solamente la definizione dei nuovi prodotti e servizi o delle modalità di vendita, ma ha ricadute anche sull’organizzazione interna: le aziende devono incentivare modelli organizzativi orizzontali e partecipativi, promuovendo la creatività, la collaborazione e l’open innovation come driver di una crescita sostenibile nel lungo periodo.

Questo scambio di idee e competenze può essere inoltre abilitato da processi di trasferimento tecnologico, in cui le aziende integrano e concretizzano le idee e gli spunti provenienti da tutto il mondo della ricerca, valorizzando il ruolo dei ricercatori italiani, fiore all’occhiello dell’intero sistema Paese. Lo scambio e la contaminazione tra ricerca e impresa deve però avvenire nel pieno rispetto del contesto socio-economico e culturale del Paese, ponendosi sempre come obiettivo ultimo una crescita sostenibile ed equilibrata.

Imprese-ricerca verso un “ibrido” innovativo

Nella definizione della nuova normalità e quindi di fatto nell’implementazione di un’innovazione antropocentrica, è necessario che ci sia una stretta collaborazione tra i diversi attori del sistema socio-economico del Paese: da un lato, le imprese devono essere pronte a soddisfare in maniera “ibrida” i bisogni emergenti della collettività e a dare sempre più valore alle proprie persone; dall’altro, le istituzioni devono essere reattive nel supportare l’ecosistema imprenditoriale con iniziative concrete e destinare risorse economiche per l’innovazione e il trasferimento tecnologico delle migliori startup, soluzioni ed asset innovativi.

Concludendo, potremmo affermare che il New Normal post-Covid sarà indubbiamente caratterizzato da alcuni elementi essenziali: aziende e governi supporteranno una crescita equilibrata e human-centred, in cui i bisogni di cittadini, lavoratori e consumatori saranno al centro dei nuovi modelli di business; la sostenibilità sarà elemento centrale nelle nuove proposte di valore, divenendo sempre più un imperativo da seguire per rimanere competitivi; infine, i modelli di open collaboration guideranno l’innovazione e saranno in grado di sostenere un processo di knowledge sharing virtuoso non solo per le imprese, ma per l’intero sistema Paese.

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