l'analisi

Una nuova era della produttività con IA e cloud, ma all’Italia servono nuove politiche economiche

Tra i motivi di fondo per poter considerare la curva della produttività in una fase di crescita spinta nei prossimi anni, ci sono anche gli effetti delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e il cloud. Ma in Italia c’è da essere ottimisti, dati i nostri ritardi? Sì, se sapremo usare davvero bene il PNRR

Pubblicato il 13 Lug 2021

Giacomo Bandini

Competere

produttività - Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Una buona parte del pensiero economico ha individuato nella crescita della produttività un fattore fondamentale per determinare la salute di un sistema economico e soprattutto della sua produzione di beni e servizi. Da questo punto di vista, l’intelligenza artificiale e nuove tecnologie digitali sono state considerate il perno di una nuova era della produttività dove i processi sarebbero cambiati e con essi le nostre società. Ancora dobbiamo vederne gli effetti e potrebbe crescere il clima di sfiducia verso l’innovazione. Ma non dobbiamo disperare.

Rinunciare all’automazione e all’innovazione delle nostre economie potrebbe rallentare definitivamente quella transizione verso un maggiore benessere diffuso, sia per noi sia per l’ambiente.

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La crisi della produttività

La crisi della produttività non è comunque cosa recente. Diversi indicatori statistici mostrano questo trend negli ultimi due decenni circa. Ad esempio, negli Stati Uniti si è assistito ad una crescita dell’1,3% di media annuo dal 2006 ad oggi. Il trend è piuttosto simile anche per l’Unione Europea (27 paesi), mentre il caso italiano rimane piuttosto peculiare poiché la crescita media annuale dal 2006 a oggi è inferiore all’1% annuo con un crollo evidente nel 2009, più grave rispetto ad altri paesi. Dal 1999 al 2019, il PIL per ora lavorata in Italia è cresciuto di poco più del 4%. In Francia e Germania è aumentato di oltre il 21%. La produttività totale dei fattori, un indicatore fondamentale per capire le dinamiche di tutto il sistema economico e delle sue performance in termini di output, è diminuita del 6,2% tra il 2001 e il 2019. Per capirne la rilevanza rispetto alla crescita economica, basti pensare che durante gli anni del miracolo economico si assisteva a una crescita della TFP che toccava il 4% annuo. Eppure, nel primo trimestre del 2021 si è assistito, perlomeno negli USA, a un’inversione di tendenza piuttosto significativa: la produttività del lavoro è cresciuta del 5,2% rispetto al trimestre precedente.

C’è comunque da essere ottimisti?

La cosiddetta J-curve dell’innovazione potrebbe aver toccato il fondo negli ultimi tre mesi del 2020 e il rimbalzo potrebbe essere di gran lunga superiore rispetto a quanto ci si aspettava. Tale ottimismo è condiviso da Erik Brynjolfsson, professore di Stanford che ha scritto molto di industria 4.0 e digitalizzazione, e Georgios Petropoulos, ricercatore dell’istituto Bruegel. Ma perché questo ottimismo in una situazione ancora incerta a causa della pandemia e di alcuni nodi ancora irrisolti a livello globale e, talvolta, nazionale? Secondo i due esperti ci sarebbero tre motivazioni di fondo per poter considerare la curva della produttività in una fase di crescita spinta nei prossimi anni. La prima riguarda proprio gli effetti delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e il cloud computing. Lo sviluppo di algoritmi di apprendimento automatico combinato con un forte calo dei prezzi per l’archiviazione dei dati e i miglioramenti nella potenza di calcolo hanno permesso alle aziende di accedere a nuove frontiere dell’innovazione. Evidentemente i risultati sui processi produttivi stanno emergendo solamente ora, anche in seguito a una fase di assorbimento in cui gli stessi manager hanno dovuto ripensare all’organizzazione delle proprie aziende.

Pandemia e trasformazione digitale

La pandemia ha avuto un impatto pesante e tragico sulle nostre vite. Eppure, nell’arco di un solo anno molte aziende hanno dovuto apportare cambiamenti significativi nel segno della trasformazione digitale.

La digitalizzazione e la stessa riorganizzazione del lavoro (si pensi al cosiddetto remote working) potrebbero essere dietro la svolta nella J-curve della produttività. E con essa un cambiamento positivo per quanto riguarda la qualificazione professionale della forza lavoro. Infine, la terza motivazione per essere ottimisti sulla produttività include le politiche espansive portate avanti dalle istituzioni globali. L’impatto dei pacchetti di sostegni durante la pandemia potrebbe aver avuto un effetto positivo non solamente sulla domanda bensì anche sul riassorbimento della disoccupazione. Bassi livelli di disoccupazione portano a salari più alti, con la conseguenza che le aziende abbiano maggiori incentivi a implementare nuove soluzioni tecnologiche e quindi migliorare ulteriormente la produttività. Rispetto a quanto concluso da Brynjolfsson e Petropoulos è necessario sottolineare come ogni paese abbia le sue peculiarità per quanto riguarda il sistema economico e il suo inserimento nella catena del valore globale. È evidente che tra USA e Italia, ma anche UE, sussistono differenze fondamentali. Con i primi in uno stato di avanzamento sotto il profilo tecnologico che li rendono leader globali insieme al gigante cinese (che però può contare su un diverso assetto istituzionale e su una popolazione più di 3 volte superiore).

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E in Italia, si può essere ottimisti?

In Italia le cause della stagnazione della produttività sono diverse. Non da ultima, come sottolineato anche nel PNRR, vi è stata una forte resistenza nel cogliere le opportunità legate alla trasformazione digitale. Il ritardo nel digitale è dovuto ad una serie di cause, tra le quali la carenza di infrastrutture adeguate, la struttura del tessuto produttivo che vede una forte prevalenza di piccole e medie imprese restie nell’adottare nuove tecnologie e muoversi verso produzioni a più alto valore aggiunto con conseguente rilevanti per la struttura del mercato del lavoro, ma anche un modello di formazione che non ha seguito le dinamiche globali. Medesima situazione, se non peggiore, per il settore pubblico. Possiamo, dunque, essere ottimisti come Brynjolfsson e Petropoulos? , se guardiamo ai tre fattori che essi indicano per vedere un rimbalzo della produttività. In particolare, al terzo, ossia la presenza condizioni di politica economica espansive e mirate a sostenere la trasformazione ecologica e tecnologica. Ed è per questo che tante speranze vengono riposte nel PNRR e in una versione “accomodante” della BCE rispetto a quanto fatto nel recente passato. Meno ottimisti se guardiamo alle condizioni di partenza che vedono l’Italia svantaggiata rispetto agli USA. Non solo per quanto riguarda la produzione e l’applicazione di nuove tecnologie. Soprattutto per quanto riguarda il sistema economico complessivo e la sua capacità di recupero dopo crisi di tipo esogeno.

In ogni caso, il ruolo delle politiche economiche sarà quanto mai fondamentale. Forse proprio per rafforzare e migliorare quelle basi che ci sono sempre mancate e investire nelle nuove tecnologie come l’AI.

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