L’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge recante “disposizioni e delega al governo in materia di intelligenza artificiale”, avvenuta nei giorni scorsi, riporta alla memoria quanto scrivemmo proprio su Agenda Digitale nel settembre dell’anno scorso, allorché fu ufficializzata l’intenzione da parte dell’esecutivo di mettere mano a una nuova strategia sull’IA, che seguisse il piano licenziato nel novembre del 2021 dal Governo Draghi, a valere sul triennio 2022-2024.
In quella circostanza ci auguravamo che si facesse tesoro delle esperienze (e soprattutto degli errori) del recente passato, che avevano prima impedito il raggiungimento dell’obiettivo e poi avevano depotenziato sul nascere l’unico piano arrivato al traguardo.
Il disegno di legge sulle disposizioni in materia di IA “a costo zero”
L’idea di tradurre la strategia in un disegno di legge, comunicata in corso d’opera, in effetti appariva in chiara controtendenza rispetto al piano di Draghi, rimasto in larga parte nei cassetti alla stregua di un libro dei sogni.
Tuttavia, a una lettura approfondita del testo del disegno di legge, si rimane spaesati. Da un lato si evoca a chiare lettere la capacità trasformativa dell’IA, nel bene e a volte nel male, dall’altra l’ultimo articolo afferma che “dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
È vero che nel disegno di legge entrano molte norme per applicare l’IA in maniera corretta (secondo una visione antropocentrica) o per punirne gli usi scorretti (es. le manipolazioni derivanti da deep fakes) che non producono oneri (quantomeno sulle casse dello stato) ma negli scorsi mesi ci era stato spiegato che il provvedimento del governo avrebbe dovuto soprattutto attuare la strategia nazionale finalizzata all’inizio di marzo da un comitato di esperti nominato dal sottosegretario Butti.
E da che mondo è mondo, per essere tale, una strategia chiamata ad accelerare e al tempo stesso mitigare i costi di una trasformazione guidata da una tecnologia general purpose ha bisogno di due elementi decisivi: un budget e una governance adeguati. Naturalmente, non sono gli unici due fattori che contino.
La strategia deve essere in primo luogo scritta bene, individuando correttamente i problemi di fondo e le rispettive soluzioni di policy. Ma budget e governance sono i requisiti che differenziano una strategia efficace da un libro dei sogni. E al di là di altre critiche erano anche i due elementi mancanti nel piano di Draghi che hanno fatto di quest’ultimo un non-starter, ovvero un fallimento in partenza, nonostante contenesse molte misure condivisibili (ancorché incomplete).
Un budget inadeguato e i fondi persi per strada
Già quasi un anno fa era stato annunciato dal Sottosegretario Butti un fondo pubblico-privato per l’IA che complessivamente, secondo le ultime versioni, avrebbe dovuto cubare 800 milioni di euro.
Nella conferenza organizzata dal Governo lo scorso 12 marzo, era stato lo stesso presidente del consiglio nel suo messaggio videoregistrato a parlare di un fondo di 1 miliardi di euro messo a disposizione da Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e il sottosegretario, nel suo intervento a fine evento, aveva chiarito che si trattava di due fondi che si sarebbero sommati.
In più, visto che una strategia IA non vive solo di investimenti in startup o imprese innovative, si poteva supporre che altri stanziamenti sarebbero stati messi a disposizione dell’istruzione e della formazione oppure delle amministrazioni pubbliche per favorirne l’adeguamento alle nuove esigenze.
Fatto sta, nel disegno di legge, a parte 300 mila euro annui per il biennio 2025-2026 stanziati per progetti sperimentali nell’ambito dei servizi offerti dal Ministero degli Affari Esteri a cittadini e imprese (decurtati dal fondo in capo al MEF spettante allo stesso Ministero), l’unico impegno finanziario che trova posto è il miliardo di CDP Venture Capital, peraltro già confermato qualche settimana prima nel piano industriale di quest’ultima, a valere sul fondo di sostegno al venture capital istituito con legge del 2018.
Al di là del fatto che si sono dunque persi stanziamenti per strada, perfino una parte di quelli già annunciati, ci sono due ulteriori perplessità che saltano subito all’occhio. Innanzitutto, il piano industriale di CDP Venture Capital è quinquennale, coprendo il periodo 2024-2028. Dunque, stiamo parlando di non più di 200 milioni di capitale per anno.
In secondo luogo, se il piano industriale di CDP Venture Capital fa esplicito riferimento all’IA, il testo del governo la prende più larga aggiungendo come possibili settori nei quali convogliare gli investimenti previsti anche la cybersicurezza, il calcolo quantistico, le telecomunicazioni e altre tecnologie abilitanti.
È vero che l’IA può svilupparsi solo in un ecosistema digitale florido e dunque è opportuno finanziare le tecnologie complementari ma è altrettanto evidente che frazionare una somma totale che nella migliore delle ipotesi sarà in media di 200 milioni all’anno su una serie di filoni diversi rischia in termini pratici di essere l’equivalente di un secchio d’acqua rispetto al mare.
Non potrà mai fare alcuna differenza reale se non distribuire a pioggia dei soldi. Il che è il principio opposto del finanziamento alle idee innovative, che deve avvenire in tempi veloci e con round di investimento crescenti ma che siano il prima possibile in grado di mettere le startup più promettenti nella condizione di scalare rapidamente.
Il confronto con le mosse internazionali: l’esempio del Canada e le proposte della Francia
Più o meno nelle stesse settimane in cui la commissione chiamata dal Sottosegretario Butti a rivedere la strategia IA italiana terminava il suo lavoro, lo stesso faceva il comitato istituito dal presidente Macron per rivedere il piano d’azione francese sull’IA. Ebbene, tra i principali takeaways forniti dagli esperti transalpini, in un documento dal titolo evocativo (“La nostra IA: la nostra ambizione per la Francia”) spiccava la proposta di destinare 5 miliardi di euro l’anno per cinque anni all’IA.
Tra le numerose finalità, quello di costituire un fondo di 10 miliardi di euro per favorire la crescita di un ecosistema francese e la trasformazione del tessuto produttivo. Naturalmente vedremo se il governo francese raccoglierà la sfida, che appare piuttosto proibitiva anche per le casse transalpine, meno disastrate delle nostre.
Ma se guardiamo a quanto appena accaduto in Canada ci accorgiamo che altri governi stanno già rispondendo con i fatti all’avanzata impetuosa dell’IA. Lo scorso 7 aprile, il Primo Ministro, Justin Trudeau, ha annunciato un pacchetto di misure per l’IA del valore di 2,4 miliardi di dollari canadesi (dunque equivalente all’attuale cambio a poco più di 1,6 miliardi di euro) sul Bilancio 2024, dunque di una singola annualità.
Tra le misure spicca un investimento di 2 miliardi di dollari canadesi per costruire e fornire accesso a capacità di calcolo e infrastrutture tecnologiche per i ricercatori, le start-up e le scale-up di IA. Tra l’altro secondo questa visione, aperta anche a soggetti non canadesi, garantire l’accesso a infrastrutture informatiche all’avanguardia attirerà maggiori investimenti globali in Canada, nonché i migliori talenti, oltre ad aiutare le imprese canadesi a competere e avere successo sul palcoscenico mondiale
Tra le altre voci di spesa, annunciate da Trudeau, spiccano non tanto per la cifra ma perché rivela la serietà dell’approccio canadese i 5,1 milioni di dollari canadesi per l’Ufficio del Commissario per l’IA e i Dati, al quale spetta applicare la strategia e al contempo proteggere i cittadini canadesi dai potenziali rischi. Questo tema ci porta inevitabilmente alla governance, che nel disegno di legge italiano appare ancora un cantiere in costruzione.
La governance della strategia italiana sull’IA
Il provvedimento del governo riempie innanzitutto un evidente buco del piano strategico attualmente in vigore. Istituzionalizza, infatti, la redazione di una strategia, con cadenza biennale, e un monitoraggio annuale, con tanto di relazione trasmessa alle Camere, affidando entrambi i compiti al Dipartimento per la trasformazione digitale d’intesa o sentite altre componenti del governo.
Il ruolo di ACN, Agid e Garante privacy
Tra le norme già annunciate, confermate dal testo dell’esecutivo, spiccano i compiti attribuiti all’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) e all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) in qualità di organismi pubblici di riferimento per lo sviluppo e il controllo dell’IA in Italia.
Fatte salve le competenze del Garante per la protezione dei dati personali, ribadite dal ddl, anche in ottemperanza alle mansioni esplicitamente previste dall’AI Act, c’è da chiedersi se il ruolo di garanzia che richiede il rispetto di diritti fondamentali, tra i quali rientra certamente la privacy ma che deve intendersi evidentemente in un’accezione ben più larga, avrebbe richiesto un’autorità indipendente dal governo di turno al posto di un’agenzia ad esso afferente.
Questo senza disconoscere l’importante ruolo che è giusto che AGID e ACN svolgano, ciascuna nelle aree di propria competenza. Anche se, al di là di chi faccia cosa, immaginare che un’autorità o un’agenzia possano svolgere con risorse invariate i tanti nuovi compiti, previsti se non altro dall’attuazione dell’AI Act oltre che dal naturale sviluppo delle tecnologie, significa che nessuno possa farlo con la necessaria serietà, salvo miracoli.
Il “congelamento” della Fondazione per l’IA
Infine, a sorpresa non ha trovato posto nell’articolato la Fondazione per l’intelligenza artificiale, che sotto il cappello della Presidenza del Consiglio avrebbe dovuto aprirsi a collaborazioni con il settore privato canalizzando le risorse raccolte nell’attuazione della strategia IA. Si capirà probabilmente durante il dibattito parlamentare se l’idea riprenderà quota, magari insieme ai fondi prima annunciati e poi spariti, in modo tale da completare un quadro di governance che, nonostante i punti di debolezza ricordati, rappresenta certamente un passo avanti importante sul quadro finora vigente.
Le possibili soluzioni alternative alla mancanza di budget
Se noi pensiamo di poter fare una strategia sull’IA senza gravare neppure di un centesimo sul bilancio pubblico, delle due l’una: o siamo convinti di essere molto più furbi degli altri Paesi (dai quali peraltro dobbiamo recuperare uno svantaggio che va aumentando di anno in anno) oppure non abbiamo capito che stiamo parlando della rivoluzione tecnologica più importante dei nostri tempi, che porterà a enormi benefici ma che andrà gestita per mitigarne i costi sociali che pure ci saranno (sia pure ampiamente compensati dai vantaggi). E che per spingere i primi e minimizzare i secondi ci vorranno tanti soldi (privati ma anche pubblici).
Se davvero pensiamo di non poter ritagliare fondi significativi dal nostro bilancio pubblico, il che appare strano di fronte a interventi anche recenti di molti miliardi di euro in altre aree non più strategiche di questa, allora dobbiamo convergere con impegno e tempismo su soluzioni alternative.
Ad esempio, coinvolgendo più direttamente le grandi partecipate statali (CDP a parte), come d’altronde ha proposto la commissione francese che ha redatto il nuovo piano d’azione per l’IA. Oppure provando a spostare la sfida sul piano europeo, quantomeno rispetto allo sviluppo della tecnologia, per creare una massa critica adeguata, promuovendo la costituzione di un fondo, aperto agli Stati membri UE o al sottoinsieme evocato dallo stesso Macron nel recente discorso alla Sorbona ma eventualmente anche a Paesi vicini extra-UE che attraggono investimenti e dispongono di risorse umane e finanziari di ricerca importanti, a partire dal Regno Unito.
Con lo scopo di finanziare startup ma soprattutto far scalare rapidamente innovazioni disruptive, che non mancano di certo da questo lato dell’Atlantico ma che troppo spesso non sono in grado di realizzarsi, almeno secondo le ambizioni iniziali, oppure per farlo sono costrette ad emigrare altrove insieme a chi le sviluppa.
Le regulatory sandbox come strumento di sviluppo tecnologico
In questo senso, uno strumento importante che non costa nulla è quello delle regulatory sandbox, cioè spazi controllati di sviluppo tecnologico sperimentale con oneri amministrativi e regolamentari abbattuti per un periodo di tempo limitato. In questo modo, soprattutto le startup potrebbero sviluppare più facilmente e rapidamente le proprie idee che, qualora la sperimentazione avesse successo, anche dal punto di vista della sicurezza dell’applicazione, potrebbero poi avere un’applicazione massiva. Previste dall’AI Act, trovano spazio nel disegno di legge governativo laddove parla delle competenze attribuite, in questo caso congiuntamente, all’AgID e all’ACN. Tuttavia, non sono contenuti dettagli ulteriori né sugli eventuali settori né sul numero né sulle tempistiche.
Conclusioni
Alla luce di tutto quello che abbiamo detto (e di tanto altro che è contenuto nel testo oppure rinviato alla delega affidata all’esecutivo, per esempio gli interventi nell’ambito dell’istruzione e della formazione), possiamo dire senza timore di essere smentiti che quello appena preso dal governo non possa essere che il primo passo di un lungo sentiero. La notizia positiva è che non sembrano esserci gravi peccati originali in grado di mettere un’ipoteca sulle scelte future. Rimane però da convincere il governo (e il Paese intero) che se non ci diamo una mossa quel percorso vedrà aumentare il ritardo rispetto alle nazioni più avanzate, non solo USA e Cina ma anche diversi Stati europei e non di dimensioni paragonabili o più piccoli del nostro. È dunque arrivato il momento di svegliarsi, evitando possibilmente di prenderci in giro per fare contenta la Ragioneria generale dello Stato.