strategie per il new normal

Verso Industry 5.0: digitale e transizione ecologica per rinnovare le imprese

La pandemia ha contribuito a evidenziare tre aspetti inerenti al ruolo che tecnologie digitali e Industria 4.0 possono avere nelle azioni delle imprese: nuovi processi manifatturieri, processi decisionali data-driven e orientamento verso economia circolare e sostenibilità. Le considerazioni di Federmeccanica

Pubblicato il 10 Giu 2021

Luca Beltrametti

Università di Genova

Eleonora Di Maria

docente di Economia e gestione delle imprese - Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, Università degli studi Padova

Pierpaolo Pontrandolfo

Politecnico di Bari

chief information officer

Il sistema economico italiano è stato messo a dura prova dalla pandemia nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

Il lockdown del primo semestre del 2020 ha richiesto alle imprese di rivedere processi di lavoro, rapporti con i clienti e gestione della domanda, organizzazione e gestione delle catene di fornitura in modo rapido e all’interno di uno scenario competitivo e sociale fortemente incerto. In particolare, è stato posto l’accento sul ruolo delle tecnologie digitali e industria 4.0 nel rispondere in modo efficace ed efficiente a queste sfide.

Il percorso di analisi e confronto sviluppato nell’ambito della Task Force “Liberare l’ingegno” di Federmeccanica ci ha portato a fare alcune considerazioni su questo fronte, poi raccolte in un recente position paper[1], consapevoli che l’investimento nella trasformazione digitale si inserisce in un più ampio cambiamento culturale e di approccio aperto all’innovazione che accompagnerà le imprese verso il  nuovo paradigma Industry 5.0 che pone, appunto, enfasi sul ruolo delle tecnologie e dell’industria al servizio della società, quindi in un’ottica di sostenibilità ambientale e sociale.

Robotica collaborativa, perché è la chiave per l’industria 5.0

In questo contributo ci soffermiamo in particolare su tre aspetti inerenti al ruolo che le tecnologie digitali e Industria 4.0 possono avere nelle azioni delle imprese, che la pandemia ha contribuito ad evidenziare:

  • nuovi processi manifatturieri dentro le imprese e le filiere,
  • processi decisionali data-driven,
  • orientamento verso l’economia circolare e la sostenibilità.

La ridefinizione della nozione di “produzioni strategiche”

A livello congiunturale la crisi ha determinato effetti molto asimmetrici con settori colpiti da un crollo senza recenti precedenti dal lato della domanda e dell’offerta, mentre altri settori hanno al contrario vissuto la crisi in modo relativamente lieve. In ogni caso, molto significativi sono gli effetti destinati a restare permanenti sulla struttura delle imprese, con alcune imprese meglio di altre in grado di rispondere efficacemente, anche grazie a investimenti pregressi sul fronte dell’innovazione e del capitale umano. È peraltro evidente che la pandemia abbia imposto un salto culturale sul fronte della digitalizzazione e della consapevolezza delle opportunità che essa offre.

Una prima implicazione riguarda la ridefinizione della nozione di “produzioni strategiche” da tenere sotto il controllo nazionale: occorre considerare anche gli equipaggiamenti sanitari e dei prodotti e servizi connessi come i presidi per l’ambiente. In molti di questi settori, che nella fase spinta della globalizzazione avevano assistito a una delocalizzazione verso i paesi in via di sviluppo – oggi economie emergenti o in decisa crescita – l’industria italiana dovrà fare catch-up anche tecnologico, facendo leva su capacità certamente presenti nel Paese, sfruttando il potenziale delle tecnologie digitali.

Il rafforzamento delle competenze chiave

Nel quadro di un ripensamento delle catene globali del valore occorre intraprendere un rafforzamento delle competenze chiave in ambito manifatturiero, in grado di sostenere processi di innovazione che, pur riservando attenzione alla Ricerca e Sviluppo, pongano enfasi su una maggiore integrazione tra sviluppo di idee e conoscenze e contesto di produzione ed applicazione (“innovare facendo”), ove le tecnologie digitali possono rappresentare un importante fattore abilitante. Le catene globali del valore resilienti richiedono una maggiore articolazione territoriale della fornitura per diversificare il rischio – non solo puntando al reshoring – ma anche alla costruzione di relazioni più orientate al lungo termine. Allo stesso tempo, anche grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali per i rapporti con fornitori e clienti, la pandemia ha spinto a rivedere i modelli di business, ponendo l’accento sulla servitization (ampliamento del prodotto in chiave di servizio).

Il paradigma 4.0 ha una connotazione sistemica, che si fonda sulla connessione degli oggetti fisici (componenti, macchine, processi, prodotti) attraverso l’Internet of Things, l’esistenza di alias virtuali di tali oggetti (digital twins) e la valorizzazione di tali dati grazie all’intelligenza artificiale (IA). In estrema sintesi, l’Internet of Things connette gli oggetti e quindi abilita la generazione dei dati, l’intelligenza artificiale utilizza tali dati estraendone un senso e quindi informazioni potenzialmente utili per le decisioni. Tale estrazione di valore riguarda tre categorie: processo, prodotto, modello di business.

Innovazione di processo e di prodotto

Con riferimento all’innovazione di processo, la digitalizzazione consente di rendere più efficienti e rapide le modalità per concepire e realizzare il prodotto; con riferimento all’innovazione di prodotto, la digitalizzazione può aggiungere caratteristiche del tutto nuove a prodotti maturi (si pensi ai monopattini elettrici), nonché abilitare modelli di business radicalmente nuovi (si pensi per esempio al car-sharing). In termini più generali, il cambiamento nelle caratteristiche intrinseche dei prodotti reso possibile dalla digitalizzazione rende meno netto il confine tra manifattura e servizi.

La generazione e l’utilizzo digitale di dati può comportare guadagni di efficienza che si traducono in importanti miglioramenti anche in termini di sostenibilità ambientale delle produzioni: si pensi ad esempio alla tempestiva individuazione di sprechi di energia determinati dal malfunzionamento di macchine (mancato spegnimento, errata parametrizzazione, guasti, …).

Digitalizzazione della fabbrica: rivoluzione e evoluzione

Il percorso verso la digitalizzazione della fabbrica ha sia i caratteri di una “rivoluzione”, sia quelli di una graduale evoluzione; in particolare, in questa seconda forma (si pensi al cosiddetto retro-fitting, ovvero applicazioni di tecnologie digitali su vecchi macchinari), essa è particolarmente adatta alle PMI, dal momento che un percorso graduale pone in modo progressivo il tema dell’adozione di tecnologie complementari (per esempio, sistemi di intelligenza artificiale in grado di gestire i dati estratti da macchinari connessi) e dell’attuazione di processi di formazione delle persone e di cambiamenti organizzativi che permettano alle imprese di trarre effettivamente il massimo beneficio dagli investimenti effettuati.

Naturalmente la digitalizzazione impatta non solo sul mondo della manifattura, bensì in forme molto ampie e profonde sulla società intera. La pervasività delle applicazioni di IA e la loro semplicità di utilizzo (si pensi a quella iniettata nei nostri smartphone) ha, da un lato introdotto profondi cambiamenti nei modelli di consumo, dall’altro lato creato enormi schiere di utenti che non hanno piena consapevolezza di come utilizzano la tecnologia (si pensi ai problemi legati alla privacy o alla cybersecurity la cui importanza sfugge ai più). È anche il caso di porre in discussione la proprietà dei dati, che oggi appartengono in prevalenza non già a chi li produce, bensì alle varie piattaforme ove essi risiedono. Probabilmente si pone anche il tema di nuove normative che regolino rapporti di lavoro che hanno luogo in forme del tutto nuove.

Esiste la possibilità di governare lo sviluppo dell’economia digitale privilegiando traiettorie che siano associate a migliori condizioni di lavoro, maggiore produttività del lavoro (e dunque più alti salari) e maggiore rispetto delle forme tradizionali di partecipazione democratica. Il ricorso a nuove forme redistributive per contrastare le crescenti diseguaglianze appare un’arma estrema alla quale ricorrere qualora i tentativi di inclusione delle persone in processi lavorativi con adeguati salari dovessero fallire. Da questo punto di vista, la digitalizzazione da un lato richiede una crescita delle competenze dei lavoratori, dall’altro offre strumenti estremamente efficaci per il potenziamento di tali competenze (si pensi ad es. alla realtà mista/aumentata come modalità per l’addestramento). Inoltre, la possibilità di un più efficace tracciamento della filiera, anche rispetto alle pratiche di lavoro adottate all’interno e all’esterno di una specifica organizzazione, consente di comunicare al mercato caratteristiche di sostenibilità sociale delle produzioni, così aumentando la consapevolezza dei consumatori nelle loro scelte di acquisto. Decisioni di acquisto più consapevoli costituiscono a loro volta una pressione, aggiuntiva rispetto a quelle comunque attese e auspicate sul fronte delle normative, verso l’obiettivo di un maggiore benessere dei lavoratori e, in generale, di una maggiore sostenibilità sociale. Su tali aspetti vi è forte attenzione da parte dell’Unione Europea, che a gennaio scorso ha pubblicato un documento in cui introduce il concetto di Industry 5.0[2].

Digitalizzazione ed economia circolare, le sinergie

In tal senso è utile sviluppare alcune considerazioni finali sulla sinergia fra digitalizzazione ed economia circolare, che certamente costituisce una tessera essenziale che le imprese possono inserire nel “mosaico” dello sviluppo sostenibile. L’economia circolare è un modello di produzione autonomo e, per quanto di recente teorizzazione, pre-esistente al paradigma Industry 4.0. L’idea di estrarre la massima possibile utilità da un prodotto durante il suo ciclo di vita e di porre attenzione alle forme per evitare/limitare la produzione di rifiuti al termine di tale ciclo (riutilizzo, recupero, riciclo) è infatti antica. Tale principio, di buon senso, tuttavia confligge con il cosiddetto modello take-make-use-dispose, che ha ispirato e ispira la produzione industriale di massa, la quale persegue la produzione di valore attraverso la massimizzazione dei volumi prodotti e venduti (ciò che talvolta ha portato persino a progettare prodotti a obsolescenza programmata).

La digitalizzazione consente di sviluppare modelli di business basati sull’accesso a servizi piuttosto che sul possesso di prodotti, aprendo la strada ad una ridefinizione dei percorsi strategici delle imprese e delle relazioni tra gli attori della filiera e verso il mercato. Attraverso le tecnologie digitali e di industria 4.0 le imprese hanno la possibilità di intervenire sulla virtualizzazione dei prodotti (digital twin), consentendo di risparmiare risorse durante la fase di sviluppo, ma anche di accesso al prodotto o suo uso. Inoltre, supportano una gestione avanzata dei dati in grado di permettere un monitoraggio più puntuale dell’uso delle risorse (come input, nel processo e a fine vita del prodotto), in modo integrato con opportunità di tracciabilità (ad esempio attraverso la blockchain). La digitalizzazione invita le imprese a curare la relazione (duratura) con il cliente invece che la transazione (spot) di vendita. Ciò è del tutto coerente con il modello dell’economia circolare e lascia dunque ragionevolmente sperare che transizione digitale e transizione ecologica siano naturalmente fra loro sinergiche.

L’impatto del PNRR

Il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) riconosce nella digitalizzazione un capitolo rilevante per potenziare le imprese e la competitività del sistema produttivo italiano, così come per far evolvere anche il fronte della domanda – di cittadini e pubblica amministrazione.

La misura M1C2 “Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo” riceve €23,89 miliardi (il 13% del totale) e si articola in 5 linee di investimento, la più importante delle quali (“Transizione 4.0”) riceve 13,38 miliardi e rifinanzia le politiche di incentivazione fiscale per Impresa 4.0 introducendo tre elementi di novità:

  • si sostituisce l’iper-ammortamento con un credito di imposta e la possibilità di compensazione con altri debiti fiscali e contributivi;
  • si allunga l’orizzonte per beneficiare della premialità fiscale da uno a due anni;
  • si estende la categoria degli investimenti immateriali agevolabili e si aumentano le percentuali di credito e l’ammontare massimo degli interventi incentivabili.

Il primo ed il secondo elemento colgono un’importante esigenza da più parti evidenziata: estendere la platea delle imprese potenzialmente beneficiarie coinvolgendo anche quelle che non hanno capienza rispetto all’iper-ammortamento. Tale tentativo di allargare la platea delle imprese beneficiarie verso la parte più debole del settore manifatturiero è in linea con quanto più volte richiesto dal gruppo di lavoro di Federmeccanica.

Il piano, inoltre, evidenza interventi inerenti alle infrastrutture per la connettività e l’attenzione verso lo sviluppo di competenze digitali che sono importanti fattori abilitanti per la trasformazione digitale delle imprese, in linea con i percorsi di sviluppo verso la “nuova normalità” che abbiamo descritto e che sono approfonditi nel contributo della Task Force di Federmeccanica.

Note

*i tre autori di questo articolo sono membri della Task Force Federmeccanica “Liberare l’Ingegno”, tra gli autori del Position Paper “ Liberare l’Ingegno. Gestione dell’emergenza e visione del futuro, tra limiti e opportunità”.

  1. Liberare l’Ingegno. Gestione dell’emergenza e visione del futuro, tra limiti e opportunità, a cura di Sabrina De Santis, Eleonora Di Maria, Nicola Intini e Corrado La Forgia – 2021, visionabile, in versione completa, al link: https://www.federmeccanica.it/images/files/position_paper_liberare_ingegno.pdf
  2. https://ec.europa.eu/info/research-and-innovation/research-area/industrial-research-and-innovation/industry-50_en#what-is-industry-50

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