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5G: a cosa serve davvero? Quintarelli: “Ecco quale sarà il vero traino delle nuove reti”

Le “killer application” che vengono proposte oggi per il 5G, con la notevole eccezione del mercato business e dell’IIoT, sono generalmente banali e quasi sicuramente destinate a non avverarsi. Vediamo perché, e quale sarà, ancora una volta, l’elemento preponderante per l’uso delle nuove reti da parte degli utenti

Pubblicato il 09 Set 2020

Stefano Quintarelli

Imprenditore digitale, già parlamentare e ideatore di Spid nel 2012

5g

Il 5G è fondamentale per lo sviluppo economico del paese. Si, ma perché? Per la sua minore latenza? Perché ci permetterà di dialogare col frigo e di sapere se lo yogurt è scaduto? Per abilitare la circolazione delle auto a guida autonoma o per consentire operazioni chirurgiche a distanza?

Proviamo a fare un po’ di chiarezza, per capire – oltre l’hype – perché la vera killer application della nuova generazione mobile, per gli utenti, non sarà, probabilmente, nessuna di quelle finora pubblicizzate.

5G, alcuni elementi tecnici

Ricordiamo che la promessa delle caratteristiche distintive del 5G riguarda un minore dispendio energetico a parità di bit trasmessi (cosa ecologicamente commendevole) accompagnata da maggiore “banda” (throughput) con minore latenza il tutto con una maggiore capillarità e minori emissioni.

Per capire con una semplice analogia, pensiamo ad una manichetta da pompiere ed una cannuccia: il throughput è la quantità di acqua che esce dal tubo per unità di tempo. Dipende da molti fattori quali la sezione del tubo, la pressione dell’acqua e, non ultimo, quanta acqua al secondo l’acquedotto è in grado di consegnare effettivamente al tubo.

La latenza è una misura del tempo di attraversamento, ovvero quanto tempo ci mette la molecola d’acqua che entra nel tubo ad uscire dall’altro lato.

2G3G3G HSPA+4G – LTE-A5G
Picco0.3Mbps7.2Mbps42Mbps150Mbps-1Gbps1-10Gbps
Media (*)0.1Mbps1.5Mbps5Mbps15Mbps-50Mbps50Mbps e oltre

Tabella 1 – Throughput (“banda”) dei vari standard (valori indicativi)

(*) senza congestioni

Standard2G3G4G5G
Latenza300-1000ms100-500ms40-100ms15-25ms

Tabella 2 – Latenza (millisecondi) dei vari standard (valori indicativi)

Si sente dire che il 5G avrà una latenza di 1ms. Questo è un dato limite, in condizioni di laboratorio che non si sperimenterà in pratica. Bisogna anche poi chiedersi “latenza per arrivare dove?”. Il nostro bit infilato nella rete a Frosinone esca a San Paolo del Brasile, pur alla velocità della luce e con pochi apparati di commutazione in mezzo, ci mette oltre 100ms (San Paolo è lontana!). Quindi in realtà si passerà da circa 150ms con il 4G a circa 120 ms con il 5G. Può sembrare poco, ma è un grande guadagno.

Se consideriamo che la maggior parte dei contenuti e servizi cui accediamo non si trova dall’altra parte del mondo ma in datacenter vicino a noi si può intuire che per accedere ai server di agendadigitale.eu la latenza sarà dimezzata. Se poi mettessimo una miriade di server, con contenuti replicati, in ogni città, ecco che la latenza potrebbe scendere anche oltre i valori indicati in tabella.

Bassa latenza, per quale business?

Quale sarebbe il business che necessiti di latenze così spinte, tale da giustificare una infrastruttura di server così capillare e diffusa? Non certo il video in streaming – non è drammatico attendere 30millisecondi in più per l’avvio di un film – ma ad esempio i giochi interattivi che richiedono tempi di reazione veloci (i tempi di reazione degli sportivi variano tra 100ms di un centometrista da record del mondo e 250ms di un “normale” professionista). Ecco che un videogiocatore professionista collegato ad un accesso 5G godrebbe di un vantaggio rispetto ad altri professionisti che lo potrebbero mettere sul primo gradino del podio. (Certo, non tutti siamo gamer professionisti).

Tutto questo, sempre che il resto della rete sia accuratamente dimensionata e non presenti ulteriori colli di bottiglia (congestioni) diversi dal segmento di accesso. E questo raramente è il caso.

Mentre sto scrivendo, un semplice comando ping verso un server collocato al cuore della rete italiana, dal mio PC riporta come latenze (andata e ritorno) un valore minimo di 46ms e massimo di 68ms, con una variabilità di circa il 50%. (viva lo smartworking! Con tante persone normalmente al lavoro in sede a contendersi la banda dell’ufficio, spesso la variabilità è maggiore).

C’è poi un ulteriore elemento da considerare, ovvero dove mettere l’applicazione: pensiamo ad un caschetto di realtà virtuale o realtà aumentata: quando chi lo indossa gira la testa, per non avvertire una chinetosi è importante che lo scorrimento delle immagini viste dall’occhio accompagni la sensazione di scorrimento determinata dall’apparato vestibolare nel nostro orecchio interno. Avere una bassa latenza può essere molto utile quindi per mitigare questa fastidiosissima sensazione.

Più vicino l’applicazione si trova al visore, meglio è.

Portare le applicazioni il più vicino possibile agli utenti è un paradigma che prende il nome di edge computing. Alcuni ipotizzano di realizzare miriadi di piccoli datacentre vicini alle antenne. Ma quale sarebbe l’applicazione che richiede latenza così bassa, che possa stare nel perimetro dell’operatore e giustificare questi investimenti? (ovvero per giustificare un sufficiente numero di utenti che paghino un quid in più per questa riduzione di latenza?).

La domanda non è banale, specie se si considera che il livello più estremo di edge computing è mettere il computer a casa dell’utente. Se l’applicazione fosse erogata da una console a casa collegata al caschetto, sarebbe (con qualche eccezione) ancora meglio che se tale applicazione fosse erogata da un server vicino al confine della rete (vicino all’accesso radio). Meglio ancora se l’applicazione è direttamente nel caschetto.

E quindi, a che serve davvero il 5G?

Alcuni spot televisivi proiettano l’immagine che il 5G abiliti droni che consegnano tazze di “frappuccini” alla nostra porta, bambini che si intrattengono con ologrammi di dinosauri che spuntano in giardino, telemedicina avanzatissima, tanto da poter eseguire una operazione in attesa di un matrimonio, auto che guidano da sole in città e spettatori che guardano i cestisti in campo girandogli attorno.

Ma sono queste le applicazioni del 5G? Cercando online si trovano interessanti spunti di utilizzo meno estremi della pubblicità televisiva. Ne commento alcuni:

  • Il 5G faciliterà soprattutto la vita dei robot, ovvero di quel mondo chiamato l’Internet of Things. Le cose, dai semafori al frigo di casa, sempre connesse alla rete. L’obiettivo del 5G è in sostanza quello di proporre in mobilità tutte quelle caratteristiche essenziali presenti nelle reti fisse, ma con una latenza persino più bassa rispetto alle connessioni via cavo”.
    Semafori e frigoriferi in mobilità. Ma poi siamo sicuri che abbiano bisogno ti tutta questa grande disponibilità di banda e che 20ms in meno siano determinanti per decidere di passare dal verde al giallo o per dirci che lo yogurt sta scadendo?
  • “…consentirà anche di far interagire in un unico spettacolo musicisti, cantanti e artisti che si trovano in luoghi diversi”.

Una ridotta latenza, accompagnata da appositi circuiti di interfacciamento a bassa latenza di strumenti musicali, probabilmente consentirà alle persone di suonare assieme strumenti musicali da remoto. Il compito non è banale e dipende in certa misura anche dal tipo di musica suonata, ma questo è un caso d’uso che mi pare probabile, anche se ancora non è la killer application del 5G.

  • “Questa connessione sarà importante in ambito medico per le nuove ambulanze connesse che riusciranno a dare tante informazioni all’ospedale ancor prima che il paziente arrivi. Previsti utilizzi nella telemedicina e nella robotica riabilitativa con possibilità di usare dispositivi IoT e controllo da remoto”.
    Naturalmente parliamo di tutte quelle ambulanze che hanno a bordo sistemi di diagnostica per immagini (TAC, RMN) che devono trasmettere molti Gigabyte in pochi secondi, perché di certo per dare saturazione ed ECG bastano pochi byte e durante il lockdown ci siamo abituati tutti anche a fare videoconferenze. Altrettanto dicasi per la riabilitazione fisioterapica: evidentemente si ritiene che alle macchine elettromeccaniche (che oggi si trovano solo in centri specializzati), se usate a domicilio, servano ben più dei 50Mbps che un LTE attuale può dare e non si possa prescindere da una latenza da centometrista per controllare come si sta piegando un ginocchio.
  • Nel campo della sicurezza e videosorveglianza verranno sfruttate videocamera ad altissima risoluzione con supporto 5G, installabili in stazioni e luoghi affollati”.
    Il video 4K richiede circa 16Mbps, l’8K (7680 × 4320) realisticamente ne richiederà circa 40-50Mbps. Niente che un accesso di rete fissa decente non possa sostenere. Certo, non lo si può guardare se non si è a casa.
  • “Utilità anche nel settore del turismo e del giornalismo, quest’ultimo grazie al 5G potrà fornire immagini e notizie più tempestive in ogni parte della città”.

Che è il nocciolo del problema del giornalismo oggi…

  • “Il 5G porta benefici anche alle auto a guida autonoma, poiché potranno dialogare in tempo reale con le infrastrutture delle strade e ottenere informazioni importanti per la viabilità e la sicurezza”.
    Viene da chiedersi come facciano oggi le auto autonome. Davvero avremo assolutamente bisogno di quella riduzione di latenza per segnalarsi posizioni e ostacoli? Anche supponendo che effettivamente sia così, che una latenza ridottissima sia indispensabile, allora non avrebbe più senso fare collegamenti diretti tra le auto, senza passare da una rete che comunque, per poca che sia, aggiunge della latenza?

Come noto, sono molto scettico sulle auto a guida autonoma in ambito cittadino per problemi di sicurezza legati ad un ambiente poco omogeneo e soprattutto non sorvegliabile. Il discorso cambia per le autostrade che sono ambienti omogenei e molto ben sorvegliati. La guida autonoma la vedremo probabilmente in autostrada, probabilmente con corsie riservate e più della comunicazione interveicolare potremo avere bisogno di tanta banda mobile per poter lavorare o intrattenerci durante gli spostamenti.

  • “Anche le smart home avranno vantaggi dal 5G, tutti gli oggetti di casa saranno in grado di dialogare tra loro, ricevere informazioni dall’esterno ed essere controllati in remoto da un solo dispositivo”.
    Cosa c’è che non si può fare oggi con un accesso di rete fissa e con il wifi? (sperando che il dispositivo che controlla remotamente la nostra casa sia il nostro…) Siamo sicuri che la complessità di Narrowband-IoT (NB IoT) e la versione 5G potranno prevalere rispetto a wifi e bluetooth? Mi pare che la probabilità che ciò accada nel breve-medio periodo sia abbastanza bassa, a meno di qualche cigno nero che dia l’impulso necessario.
  • “Una rete ultra-performante, sarà fondamentale per il passaggio all’Internet delle cose, ovvero per garantire lo sviluppo di applicazioni e servizi per la Smart City basati su sensori (ad esempio per il controllo del traffico, della raccolta rifiuti, dell’illuminazione urbana, la logistica)”.

In 20 millisecondi ne passano di auto in una via e se ne versano di rifiuti. Se una lampada si brucia, poi, lo sappiamo prima!

  • “Le nuove, velocissime reti mobili 5G contribuiranno anche a migliorare la sicurezza sulle strade. Oltre a permettere di trasferire più dati nella stessa unità di tempo, infatti, hanno una latenza molto minore e un ridotto tasso di errore: se col 4G un pacchetto di dati su mille viene “perso”, col 5G si arriva a uno su un milione. Sono questi due ultimi aspetti che consentiranno di rendere più efficaci i sistemi di sicurezza elettronici delle auto, che “dialogheranno” fra loro in tempo reale e con la certezza che l’informazione arrivi”.

Della latenza ho parlato sopra; circa la perdita di pacchetti, come sanno le persone che si occupano di reti, i protocolli di rete (TCP) hanno dei meccanismi di controllo per assicurare alle applicazioni che i pacchetti trasmessi arrivino tutti. Questo aspetto, quindi, è già assicurabile a tecnologie attuali.

  • Il mondo produttivo sarà rivoluzionato attraverso la digitalizzazione piena degli impianti produttivi – la cosiddetta Industria 4.0 – e lo sviluppo dell’agricoltura di precisione”.

Effettivamente nel mercato business ci potrebbe essere un interesse nel 5G per l’IIoT (Industrial IoT), diversamente dal mercato residenziale. Il 5G permetterà una maggiore densità di comunicazione arrivando fino ad un sensore per metro quadro, cioè un milione di sensori per Kmq. rispetto ai 50mila consentiti dalle migliori tecnologie NB IoT. Teniamo inoltre presente che in ambito industriale le tecnologie di rete cablate sono molto costose (cavi e switch PROFINET costano un ordine di grandezza in più degli equivalenti non industriali) e introducono rigidità negli impianti che potrebbero essere più flessibilmente realizzati e riconfigurati usando collegamenti wireless. (esempi 1, 2, 3, 4)

Attenzione! Non sto dicendo che il 5G non serva, ma che le “killer application” che vengono proposte oggi (che spesso includono argomenti “salva vita”, perché su quelli non si può andare troppo per il sottile e centellinare investimenti), con la notevole eccezione del mercato business e dell’IIoT, sono generalmente banali e quasi sicuramente destinate a non avverarsi.

Figura 1 – Piazza Maggi, Milano

Questo non vuol dire che non debba realizzarsi una nuova infrastruttura di rete, anzi! La prima motivazione per una nuova infrastruttura è che deve precedere la domanda ed abilitarla: la nuova infrastruttura servirà una domanda che oggi non c’è. Einaudi diceva che il mercato esprime domande, non bisogni, intendendo con ciò esigenze immediate e non di lungo periodo.

Anche in questa chiave l’idea di fare pooling di investimenti per coinvestire in una rete 5G non sembrerebbe sbagliata.

Come stanno mutando le reti

Le reti “mobili” (che non sono mobili: sono le persone ad essere mobili, non le reti) funzionano emettendo segnali che si affievoliscono a mano a mano che ci si allontana dall’antenna per cui telefoni e antenne devono trasmettere con potenze sempre maggiori per riuscire a comunicare, come due persone che si parlino allontanandosi tra loro. O, un’altra soluzione, è dislocare molte più antenne che a questo punto saranno molto più vicine all’utente e quindi potranno comunicare con potenze inferiori; tanto più basse quanto più numerose esse saranno. È quello che è successo con la telefonia mobile: a ogni stadio evolutivo dal GSM all’UMTS (o 3G) all’HSDPA (o 3.5G) all’LTE (o 4G) diminuiscono le emissioni e aumenta la densità delle antenne.

Conseguentemente tende a diventare più breve il segmento di accesso wireless (la parte dall’utente all’antenna): dai molti chilometri del GSM (con poca banda) alle poche decine di metri con il Wi-Fi ed il 5G (che fornisce molta banda).

Con il 5G, in Italia avremo centinaia di migliaia di piccole antenne, con emissioni assai ridotte, (anche perché abbiamo i vincoli di emissione più bassi del mondo). In futuro le troveremo alla base di moltissimi edifici e ci forniranno ubiquamente capacità analoghe a quelle del Wi-Fi, ovunque andremo.

Dietro ognuna di queste antennine sarà necessario portare della banda, un collegamento (solitamente fisso) che le alimenti. Per questo è di ovvia importanza la presenza di reti fisse, siano esse via cavo TV come in alcuni paesi europei o telefoniche con le fibre ottiche. Ma è bene superare anche questa differenziazione concettuale. La rete è sempre e solo una rete: serve a trasportare dati, qualunque essi siano. Non importa se sia nata per il telefono (doppino di rame) o per la tivù (reti via cavo) o se sia realizzata in fibra ottica.

Una così elevata densità di antenne implica che ogni antenna sarà usata da meno persone. Se un’antenna copre un raggio di due chilometri, vi si collegano tutti gli utenti di un paese. Se un’antenna copre un raggio di venti metri, solo le poche persone in quell’edificio vi si collegheranno.

La capacità trasmissiva disponibile da un’antenna viene condivisa con le persone che vi si collegano. Nel caso del paese, sarà condivisa tra tante persone; nel secondo caso sarà condivisa tra pochissime persone cosicché ogni individuo del secondo scenario avrà moltissima più banda disponibile rispetto al suo omologo del primo scenario. Aumentare la capillarità delle antenne aiuta a ridurre le emissioni e ad aumentare le performance a disposizione degli utenti.

Minori emissioni grazie al 5G

Sembra una cosa contro intuitiva: minori emissioni elettromagnetiche con più antenne; maggiore capacità con minori emissioni. Un esempio aiuta a chiarire: immaginiamo una stanza con quaranta persone e due di loro che parlino con un megafono. L’inquinamento acustico sarà altissimo e la capacità complessiva della stanza sarà di una sola conversazione. Se invece tutti sussurrano, l’inquinamento acustico sarà minimo e la capacità complessiva sarà di venti conversazioni simultanee.

In definitiva, la rete non è come siamo abituati a pensare che sia: un oggetto unico gestito da un operatore. È invece un mix di tratte di diverso tipo, con diverse tecnologie, come la rete stradale.

Dal punto di vista dell’utente, a tendere non ci sarà una grande distinzione tra rete fissa e rete wireless. La rete fissa avrà una capillarità altissima e al suo estremo ci sarà un’antennina. Se situata all’interno di una casa, potrà ancora essere un Wi-Fi gestito autonomamente dagli utenti più sofisticati, se sarà situata all’esterno dell’abitazione sarà invece una rete 5G gestita da un operatore.

Una immagine mentale delle reti

Immaginiamo dei cerchi che siano il perimetro di azione di un operatore.

Oggi c’è un cerchio che arriva fin nella casa degli utenti, la rete fissa, cui viene collegato un Access point Wifi che può essere appena di qua o appena di là della circonferenza, a seconda che sia fornito e gestito dall’operatore o installato direttamente dall’utente. All’esterno di questo cerchio ci sono i dispositivi dell’utente, dai PC ai frigoriferi intelligenti (!?) alle TV connesse ai dischi per archiviare documenti, foto e filmini (e gestendone la complessità).

Poi c’è un altro cerchio, quello della rete mobile, più piccolo che rappresenta la rete che alimenta le stazioni radio cellulari poste sul bordo del cerchio, all’interno del perimetro dell’operatore, cui gli utenti si collegano con i loro dispositivi mobili.

Nel tempo questo secondo cerchio si è espanso e con il 5G arriva vicino al confine del primo cerchio, tanto vicino che molti utenti troveranno più comodo collegarvi direttamente i propri dispositivi, affidare all’operatore la custodia dei propri documenti, foto e filmini (senza doverne gestire la complessità) riducendo il proprio onere di gestione, spesso aumentando il livello di sicurezza e potendo disporre ovunque di ciò che altrimenti si avrebbe solo in casa/ufficio.

Questi due cerchi, della rete fissa e della rete mobile nel tempo si sono avvicinati e continueranno a farlo con il 5G; vi è una grande sovrapposizione della superficie dei due cerchi. Tanto più diffusa sarà la rete unica in via di definizione, tanto più contribuirà anche alla infrastrutturazione per il 5G.

Il dramma del telefonico

Torniamo ai casi d’uso: molti di quelli raccontati, specie quelli che vengono presentati come utili a salvare vite, soffrono di quello che potremmo chiamare “il dramma del telefonico”. Lo chiamo così perché mi pare di riscontrarlo parlando con numerosi amici, persone assai competenti, che lavorano per operatori che, nascendo come telefonici, conservano nel DNA quell’imprinting e mi paiono (specie i tecnici) ancora un po’ condizionati da quel modo di pensare.

Un esempio di modo di pensare tipico “telefonico” è quello dei servizi a valore aggiunto.

Immaginiamo un sistema di supporto alla sicurezza alla guida basato su una miriade di sensori di temperatura e umidità sparsi lungo una strada di montagna che informino l’auto che sopraggiunge che dietro la curva cieca c’è un alto rischio di ghiaccio.

Questo è un caso d’uso tipico nella narrazione del 5G.

Chiediamoci: quei sensori li ha messi Vodafone o TIM? Se li ha messi Vodafone, saranno accessibili alle auto collegate alla rete TIM? E a quelle collegate a Wind ?

Se fossimo in una situazione di monopolio, il problema non si porrebbe: lo stesso operatore unico mette i sensori e collega le auto.

Ma in una situazione di concorrenza, come si può risolvere? Tutti gli operatori mobili fanno accordi di interscambio di servizi (e di relativo pagamento) per cui un operatore dà all’altro l’accesso alle informazioni dei sensori che lui ha disposto nella strada X, un secondo operatore dà all’uno l’accesso alle informazioni per la strada Y e poi periodicamente fanno un bilancio per vedere chi deve all’altro quanti soldi, post compensazioni.

C’è da scommettere che, mentre loro sono impegnati a negoziare molteplici accordi bilaterali di roaming di servizi, arriverà qualcuno che installerà sensori che comunicheranno via Internet, sfilando questi possibili servizi all’operatore e rendendoli over the top. E remunerandoli con pubblicità, carta di credito o modelli freemium.

Ricorda nulla?

Per evitare uno scenario simile gli operatori probabilmente dovrebbero consorziarsi ed essere loro a fare un operatore comune over the top presentandosi sul mercato come un unico soggetto integrato.

Chissà se anche questo genere di infrastrutture di acquisizione e raccolta dati potranno entrare a fare parte delle negoziazioni sulla rete unica.

Ho qualche dubbio. L’imprinting genetico è duro a morire. Considerate che nel WhitePaper 5G del 2020 emanato dalla NGMN Alliance (Alleanza per le Reti mobili di prossima generazione, associazione di operatori, venditori, produttori e istituti di ricerca operanti nel settore della telefonia mobile) la parola “Internet” appare una sola volta (una sola!), nel glossario, nella definizione di “IIoT: Industrial Internet of things”.

Quale destino per le reti 5G?

Bisogna fare una premessa maggiore: se effettivamente i business case degli operatori supporteranno la realizzazione di reti, ampiamente diffuse, con miriadi di punti di accesso è cosa tutt’altro che ovvia. È probabile che assisteremo ad un roll-out graduale, iniziando laddove il mercato può premiare la tecnologia, ovvero nel mercato business, soprattutto in ambito industriale.

Per quanto riguarda il mercato residenziale, il destino a tendere del 5G, per una crescente base di utenti, potrebbe portare a ridurre la miriade di punti di accesso WiFi, oggi comprati ovunque e da chiunque, installati da chiunque e non sorvegliati nel tempo per quantità e qualità delle loro emissioni. Si potrebbe ridurre di molto la necessità di disporre di una rete fissa fino in casa, sostituendo gli ultimi metri del wifi con ultime decine di metri 5G.

Oggi l’uso che facciamo della rete in casa ed in mobilità è diverso: in casa abbiamo nostri archivi e i nostri dispositivi cui (in linea generale) praticamente non possiamo accedere quando siamo in mobilità. Uno scenario quale quello descritto potrebbe consentire ai membri di una famiglia di beneficiare di tutti i propri dati in mobilità, ovunque, come se fosse a casa. Forse questa potrebbe essere una killer app (di interesse per gli operatori).

C’è però una considerazione fondamentale che va fatta: la storia ci insegna che in casa come nel lavoro, su internet, l’uomo vuole fare sempre più cose in sempre meno tempo. Così il traffico aumenta in modo sensibile ed inesorabile.

È vero che in natura non esistono curve esponenziali che crescono per sempre, che tutte le curve esponenziali prima o poi diventano curve logistiche e si appiattiscono. C’è certamente un asintoto di quanta banda un utente può consumare. La mia impressione è che siamo ancora assai lontano dal raggiungerlo. Ciò pare confermato anche dai recenti dati di tendenza negli utilizzi: la banda utilizzata in Italia e nel mondo cresce ancora del 50% all’anno a parità di utenti.

Come dice Alfonso Fuggetta con una fortunata espressione, una ciliegia tira l’altra, ovvero iniziamo con cose semplici e poi ne facciamo sempre di più, sempre più complesse, sempre con maggiori requisiti e sempre più bandivore. E allo stesso tempo aumenta la nostra aspettativa di tempi di reazione sempre più brevi.

In definitiva, per gli utenti, la killer app è ancora l’impazienza umana.

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Da Istat e RGS gli indicatori per misurare la sostenibilità nel PNRR
STRATEGIE
PNRR – Piano nazionale di Ripresa e Resilienza: cos’è e novità
FONDI
Pnrr, ok della Ue alla seconda rata da 21 miliardi: focus su 5G e banda ultralarga
GREEN ENERGY
Energia pulita: Banca Sella finanzia i progetti green incentivati dal PNRR
TECNOLOGIA SOLIDALE
Due buone notizie digitali: 500 milioni per gli ITS e l’inizio dell’intranet veloce in scuole e ospedali
INNOVAZIONE
Competenze digitali e InPA cruciali per raggiungere gli obiettivi del Pnrr
STRATEGIE
PA digitale 2026, come gestire i fondi PNRR in 5 fasi: ecco la proposta
ANALISI
Value-based healthcare: le esperienze in Italia e il ruolo del PNRR
Strategie
Accordi per l’innovazione, per le imprese altri 250 milioni
Strategie
PNRR, opportunità e sfide per le smart city
Strategie
Brevetti, il Mise mette sul piatto 8,5 milioni
Strategie
PNRR e opere pubbliche, la grande sfida per i Comuni e perché bisogna pensare digitale
Formazione
Trasferimento tecnologico, il Mise mette sul piatto 7,5 milioni
Strategie
PSN e Strategia Cloud Italia: a che punto siamo e come supportare la PA in questo percorso
Dispersione idrica
Siccità: AI e analisi dei dati possono ridurre gli sprechi d’acqua. Ecco gli interventi necessari
PNRR
Cloud, firmato il contratto per l’avvio di lavori del Polo strategico
Formazione
Competenze digitali, stanziati 48 milioni per gli Istituti tecnologici superiori
Iniziative
Digitalizzazione delle reti idriche: oltre 600 milioni per 21 progetti
Competenze e competitività
PNRR, così i fondi UE possono rilanciare la ricerca e l’Università
Finanziamenti
PNRR, si sbloccano i fondi per l’agrisolare
Sanità post-pandemica
PNRR, Missione Salute: a che punto siamo e cosa resta da fare
Strategie
Sovranità e autonomia tecnologica nazionale: come avviare un processo virtuoso e sostenibile
La relazione
Pnrr e PA digitale, l’alert della Corte dei conti su execution e capacità di spesa
L'editoriale
Elezioni 2022, la sfida digitale ai margini del dibattito politico
Strategie
Digitale, il monito di I-Com: “Senza riforme Pnrr inefficace”
Transizione digitale
Pnrr: arrivano 321 milioni per cloud dei Comuni, spazio e mobilità innovativa
L'analisi I-COM
Il PNRR alla prova delle elezioni: come usare bene le risorse e centrare gli obiettivi digitali
Cineca
Quantum computing, una svolta per la ricerca: lo scenario europeo e i progetti in corso
L'indice europeo
Desi, l’Italia scala due posizioni grazie a fibra e 5G. Ma è (ancora) allarme competenze
L'approfondimento
PNRR 2, ecco tutte le misure per cittadini e imprese: portale sommerso, codice crisi d’impresa e sismabonus, cosa cambia
Servizi digitali
PNRR e trasformazione digitale: ecco gli investimenti e le riforme previste per la digitalizzazione della PA
Legal health
Lo spazio europeo dei dati sanitari: come circoleranno le informazioni sulla salute nell’Unione Europea
Servizi digitali
PNRR e PA digitale: non dimentichiamo la dematerializzazione
Digital Healthcare transformation
La trasformazione digitale degli ospedali
Governance digitale
PA digitale, è la volta buona? Così misure e risorse del PNRR possono fare la differenza
Servizi digitali
Comuni e digitale, come usare il PNRR senza sbagliare
La survey
Pnrr e digitale accoppiata vincente per il 70% delle pmi italiane
Missione salute
Fascicolo Sanitario Elettronico alla prova del PNRR: limiti, rischi e opportunità
Servizi pubblici
PNRR: come diventeranno i siti dei comuni italiani grazie alle nuove risorse
Skill gap
PNRR, la banda ultra larga crea 20.000 nuovi posti di lavoro
Il Piano
Spazio, Colao fa il punto sul Pnrr: i progetti verso la milestone 2023
FORUMPA2022
PNRR e trasformazione digitale: rivedi i Talk di FORUM PA 2022 in collaborazione con le aziende partner
I contratti
Avio, 340 milioni dal Pnrr per i nuovi propulsori a metano
Next Generation EU
PNRR, a che punto siamo e cosa possono aspettarsi le aziende private
Fondi
Operativo il nuovo portale del MISE con tutti i finanziamenti per le imprese
Servizi comunali
Il PNRR occasione unica per i Comuni digitali: strumenti e risorse per enti e cittadini
Healthcare data platform
PNRR dalla teoria alla pratica: tecnologie e soluzioni per l’innovazione in Sanità
Skill
Competenze digitali, partono le Reti di facilitazione
Gli obiettivi
Scuola 4.0, PNRR ultima chance: ecco come cambierà il sistema formativo
Sistema Paese
PNRR 2, è il turno della space economy
FORUM PA 2022
FORUM PA 2022: la maturità digitale dei comuni italiani rispetto al PNRR
Analisi
PNRR: dalla Ricerca all’impresa, una sfida da cogliere insieme
Innovazione
Pnrr, il Dipartimento per la Trasformazione digitale si riorganizza
FORUM PA 2022
PA verde e sostenibile: il ruolo di PNRR, PNIEC, energy management e green public procurement
Analisi
PNRR, Comuni e digitalizzazione: tutto su fondi e opportunità, in meno di 3 minuti. Guarda il video!
Rapporti
Competenze digitali e servizi automatizzati pilastri del piano Inps
Analisi
Attuazione del PNRR: il dialogo necessario tra istituzioni e società civile. Rivedi lo Scenario di FORUM PA 2022
Progetti
Pnrr, fondi per il Politecnico di Torino. Fra i progetti anche IS4Aerospace
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PNRR, Colao fa il punto sulla transizione digitale dell’Italia: «In linea con tutte le scadenze»
La Svolta
Ict, Istat “riclassifica” i professionisti. Via anche al catalogo dati sul Pnrr
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FORUM PA 2022
Ecosistema territoriale sostenibile: l’Emilia Romagna tra FESR e PNRR
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Innovazione, il Mise “centra” gli obiettivi Pnrr: attivati 17,5 miliardi
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PNRR: raggiunti gli obiettivi per il primo semestre 2022. Il punto e qualche riflessione
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PNRR: dal dialogo tra PA e società civile passa il corretto monitoraggio dei risultati, tra collaborazione e identità dei luoghi
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Comuni e PNRR: un focus sui bandi attivi o in pubblicazione
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Formazione 4.0: cos’è e come funziona il credito d’imposta
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PA e sicurezza informatica: il ruolo dei territori di fronte alle sfide della digitalizzazione
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PNRR e servizi pubblici digitali: sfide e opportunità per Comuni e Città metropolitane
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Water management in Italia: verso una transizione “smart” e “circular” 
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