nuova via della seta

5G e golden power, ecco gli errori dell’approccio italiano alla Cina

Il rischio alla sicurezza nazionale è basso mentre la rinuncia alla tecnologia di Huawei potrebbe creare un gap tecnologico difficilmente colmabile. Ecco perché non è giustificabile l’esercizio del golden power sul 5G. Vediamo, piuttosto, su quali aspetti dovrebbe concentrarsi il dibattito

Pubblicato il 12 Apr 2019

Domenico Marino

Università Degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

Pietro Stilo

Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

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Anche alla luce di quella che lo studioso di geopolitca Parag Khanna definisce una prossima e probabile “asiatizzazione del mondo” e di fronte ai dubbi e ai timori legati alla cosiddetta “Nuova via della seta”, l’istituzione di un sistema golden power in relazione alla posizione di supremazia del colosso cinese Huawei nel 5G non sembra giustificabile almeno per due motivi (basso rischio di sicurezza e rischio di gap tecnologico).

Servirebbero invece regole e strumenti in grado di rendere neutrale l’infrastruttura di comunicazione rispetto al contenuto.

Prima di approfondire l’aspetto prettamente tecnologico della questione, proviamo a delineare il contesto geopolitico.

5G e la Cina, quali regole per proteggere le nostre infrastrutture critiche

Nuova via della seta: capire e governare il cambiamento

Stiamo attraversando una fase della storia dell’umanità molto complessa, lo spartiacque è senza tema di smentita la caduta del Muro di Berlino che ha innescato tutta una serie di fenomeni a catena che hanno modificato profondamente il mondo. Se inseriamo in questo contesto il progetto della Nuova Via della Seta del governo cinese, ci rendiamo conto di più cose contemporaneamente:

  • la prima è che la globalizzazione e i suoi drivers hanno cambiato radicalmente il mondo,
  • la seconda è che le innovazioni dettano i tempi della vita in maniera sempre più forte e celere (e noi facciamo fatica ad inseguirle),
  • la terza è che l’occidente pian piano sta perdendo il primato durato secoli, quello di essere il centro culturale, politico ed economico del mondo, per cedere il passo al continente asiatico, sempre più forte dal punto di vista dell’economia, dell’innovazione, della ricerca scientifica, della crescita demografica (con una età media molto più bassa rispetto all’occidente).

Stiamo attraversando una fase nella quale il cambio di paradigma determina incertezza e disorientamento, cosa che si verifica in tutte le fasi di cambiamento radicale nella storia dell’umanità e la difficoltà sta, a nostro avviso, nel capire tali cambiamenti e nel governarli.

Nuova via della seta: gli obiettivi del Piano

La Belt and Road Initiative, è un importante progetto che mira al rafforzamento delle infrastrutture e della cooperazione tra i paesi dell’Eurasia (un concetto che sembrava desueto, ma che oggi torna in maniera preponderante).

La Nuova Via della Seta è un progetto che coinvolge circa 60 paesi, che ha un percorso terrestre con 3 rotte che mettono in connessione Cina, Europa, Medio-Oriente e Sud-Est asiatico, e uno marittimo con 2 rotte, dalla Cina verso l’Oceano Indiano ed il Mar Rosso e l’Europa, e l’altra che mette in connessione Cina e Pacifico. Viene ideata e lanciata nel 2013 dal nuovo presidente cinese Xi Jinping, come strumento per stringere legami economico-commerciali più forti nel quadrante euroasiatico. Il progetto conosciuto anche come One Belt One Road punta allo sviluppo di rapporti economici internazionali atti ad aiutare lo smaltimento della sovraproduzione cinese e all’approvvigionamento di materie prime, ma anche ad avere delle connessioni dirette sempre più forti a livello globale, in particolare nel tracciato terra-mare, connessioni anche culturali e, forse, anche politiche.

È questo, forse, il primo passo mosso dalla Cina per affermare il proprio status di potenza globale? Come è noto già le viene riconosciuta la seconda posizione dopo gli USA quale nuova potenza mondiale. Parag Khanna un influente studioso di geopolitica, nel suo nuovo libro “Il Secolo Asiatico?” sostiene che il XIX secolo è stato il secolo europeo, il XX il secolo americano, il XXI sarà̀ il secolo asiatico. Infatti nella sua visione del mondo l’Asia si sta affermando come un nuovo sistema multipolare che va dall’Arabia Saudita al Giappone (nel quale si parla già di società 5.0), dalla Russia all’India, estendendosi ben oltre il cosiddetto Estremo Oriente.

Il mondo alle soglie della quinta Rivoluzione industriale

Secondo lo studioso indiano naturalizzato statunitense, stiamo attraversando una fase della storia del mondo nella quale si stanno ridefinendo i pilastri di un nuovo ordine globale, un cambio di paradigma che pone la Cina come driver di tale processo, e gli Stati Uniti e l’Europa che cambiano le loro strategie militari ed energetiche, con una forte impronta di conservazione socio-culturale ed economica, quali anticorpi a tali cambiamenti.

Tali cambiamenti stanno mettendo in discussione la leadership statunitense, determinando una fase di transizione del potere mondiale, ma che non necessariamente porterà ad uno scontro diretto tra Stati Uniti e Cina. Khanna arriva addirittura a parlare di “asiatizzazione del mondo”, in particolare dal punto di vista geopolitico e culturale (aggiungeremmo da nostro punto di vista anche economico) come una nuova forma di multipolarità globale. Il tutto si inquadra all’interno di nuove antinomie in cui alla caduta delle barriere e dei muri che avevano caratterizzato il XX secolo, si oppongono negli ultimi tempi nuove barriere e nuovi muri che stanno nascendo o potrebbero nascere (ma che a nostro avviso troveranno difficile applicazione) non solo fisici ma legati anche all’innovazione tecnologica, all’information technology ed alla diffusione delle conoscenze.

Stiamo perdendo i punti di riferimento sui quali abbiamo poggiato le nostre certezze, siamo alla soglia della quinta Rivoluzione industriale, mentre stiamo vivendo e conoscendo la quarta, le innovazioni ci spingono già in tempi brevissimi verso una nuova, determinata dalle innovazioni in ambito tecnologico in particolare dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie delle comunicazioni 5G (il 5G della casa produttrice cinese Huawei ne è l’esempio più importante in tal senso). Tutto ciò può determinare incertezza e disorientamento se si rimane ancorati ai vecchi paradigmi, ma se si guarda al futuro e ci si accetta di investire per specializzarsi laddove si è più competitivi si può vincere la sfida/opportunità del nuovo scenario competitivo globale.

Un sistema di golden power per il 5G

Il recente dibattito e l’emanazione del decreto legge n. 22 del 25 marzo 2019, che segue e ribadisce i contenuti del decreto legge 21 del 15 marzo 2012 che istituisce un sistema di golden power e il decreto legge n. 148 del 16 ottobre 2017 che lo estende ai settori ad alta intensità tecnologica, ha riproposto in maniera forte il tema di un sistema di golden power con particolare riferimento agli sviluppi del 5G. Va necessariamente fatta una premessa generale. Il principio di introdurre un sistema di golden power è un tema delicato e complesso. È sicuramente vero che è corretto dal punto di vista economico che ogni governo si lasci un margine di sovranità per impedire che la sicurezza nazionale venga messa a rischio da eventuali acquisizioni da parte di società straniere di società che gestiscono servizi in settori strategici. Tuttavia l’esercizio dei poteri all’interno di un sistema di golden power non può mai essere ridotto a semplice misura protezionistica e, soprattutto, deve essere commisurato al rischio effettivo per la sicurezza nazionale anche in relazione alla mancanza di diversi strumenti di tutela dello stesso interesse.

Nel caso del 5G l’esercizio del golden power in relazione alla posizione di Huawei è difficilmente giustificabile per due ordini di motivi. Il rischio reale alla sicurezza nazionale è basso e, nello stesso tempo, la rinuncia alla tecnologia di Huawei potrebbe creare un gap tecnologico difficilmente colmabile. Lo sviluppo veloce delle tecnologie porterà sempre di più a concentrare le grandi infrastrutture di comunicazione in pochissime mani. Il problema, quindi, non sta tanto nell’illusione sovranista di poter impedire l’ingresso delle imprese straniere nei mercati strategici che appare tanto antistorica quanto inutile, quanto piuttosto nella mancanza di un insieme di regole e di un insieme di strumenti che possano rendere neutrale l’infrastruttura di comunicazione rispetto al contenuto.

Su questi aspetti manca ancora un dibattito serio, ma è su questo tema che si confronteranno le moderne politiche della sicurezza e le moderne politiche antitrust degli anni a venire perché il semplice esercizio dei poteri all’interno di un sistema di golden power condannerà il paese a una inferiorità tecnologica che in un mercato competitivo può essere pericoloso per l’economia.

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