Con il 5G la tecnologia migliora, evolve in termini di efficienza, prestazioni e sinergie tra le reti, ma per ora gli smartphone avranno più o meno le stesse funzionalità. La vera domanda allora apparirà altrove, nelle industrie e nella PA probabilmente: ma con il tempo e gradualmente.
5G, è davvero rivoluzione?
Teniamo conto che secondo un rapporto della Commissione Europea pubblicato a giugno 2019, denominato Smart Connectivity for Europe’s Digital Transformation, il traffico dati rimane in costante crescita e raddoppia ogni due anni[1], con aumento di servizi e contenuti online sia in termini di disponibilità sia di qualità. Ciò si traduce in maggiore necessità che le infrastrutture digitali siano in grado di sostenere alte prestazioni e alto traffico generato dalle connessioni, ovvero una domanda di connettività quali-quantitativa sempre maggiore.
Per capire il perché di questo fenomeno, e quindi il perché di un’introduzione sul mercato del 5G quasi più come fenomeno di marketing che di discontinuità tecnologica, vanno presi in considerazione diversi fattori.
Il primo è senz’altro quello relativo alla domanda del servizio: non c’è. Studi, come quello già menzionato della CE, parlano di volumi di dati in crescita e di richiesta di maggior velocità, ma in quest’ottica, d’accordo o meno, il 5G non serve, e l’affidabilità del servizio rimane una necessità (e richiesta) di pochi, forse dei soli gamers online.
5G, dov’è nascosta la domanda
A tal proposito, una recente analisi condotta dal The Wall Street Journal[2] ha analizzato come un utente medio, intenzionato ad utilizzare tante connessioni contemporaneamente e con streaming video multiplo (film, serie, etc.) non ha di fatto utilizzato tutta la capacità di banda e non ha raggiunto il massimo delle prestazioni messe a disposizione dalle attuali tecnologie. Le evidenze emerse fanno allora riflettere proprio sulla validità di quei parametri di riferimento (disponibilità di banda e prestazioni) tipici della “corsa alla digitalizzazione” e alle necessità, frenetica, di tecnologie sempre più “evolute”.
Al primo fattore, si aggiunge quello relativo agli obiettivi di connettività per i cittadini che stabilì la Commissione Europea per il 2020: concepiti ottimisticamente più di un decennio prima, in via primaria su rete fissa, sono parsi, presto, poco attuabili ed il 5G è subito assurto a ripiego necessario. La competizione con gli altri player internazionali, soprattutto del far east, non può essere bilanciata da una corsa, tutta politica, della CE senza fare i conti con le capacità dei propri investitori (privati). Tra l’altro all’epoca degli obiettivi 2020, in Europa il 4G non era ancora neanche consolidato.
A tal proposito, il legislatore europeo non aveva (forse) opportunamente pesato altri due aspetti, per così dire, operativi: il 5G non poteva essere sviluppato interamente con apporti “pubblici” diretti e necessitava di frequenze idonee e subito disponibili. Nel primo caso l’intoppo è evidente, ovvero il cambio di passo tecnologico non sostenuto da una forte domanda non avrebbe generato un interesse tale da muovere gli investimenti privati da parte degli operatori di telecomunicazioni, i cui conti erano già ricchi di debito. Nel secondo caso, l’indisponibilità di risorse radio e la frammentazione degli approcci legislativi nazionali in materia di frequenze e limiti elettromagnetici erano un chiaro freno all’iniziativa.
5G, la spinta dell’Europa
Nonostante ciò, occorre spezzare una lancia a favore della stessa CE che ha dei meriti indubbi, in particolare quello di essere l’unica vera abilitatrice nei confronti degli Stati Membri e degli investitori privati per il 5G. Il passaggio dal 4G al 5G, altrimenti, sarebbe arrivato molto più in là nel tempo, sia in termini di progetti, inclusi quelli di finanziamento, sia in termini di liberalizzazione delle frequenze. In assenza della volontà della Commissione europea, la migrazione forzata degli operatori che detenevano i diritti sulle frequenze idonee al 5G difficilmente avrebbe avuto luogo, proprio per le specificità legate ad ogni singolo Stato Membro in materia.
Ciò si è palesato nella lentezza della messa a disposizione delle frequenze, occupate in gran parte – specialmente in Italia – dagli operatori televisivi e libere dal 2022. Eppure gli investimenti da parte degli operatori di telecomunicazione sono già stati effettuati e la “spada di Damocle”, quella degli obblighi di copertura, descritti nella delibera 231/18/CONS dell’Agcom, è evidentemente pronta a calare sugli operatori di TLC: tutti i comuni con più di 30.000 abitanti e tutti i capoluoghi di provincia dovranno essere raggiunti entro il 2025 per l’80% della popolazione dal 5G ad almeno 30 mbps.
E’ corretto affermare che le politiche di sviluppo promosse dalla Commissione erano mosse solo dalla necessità di rendere competitivo il Mercato Unico? Per rispondere alla domanda è necessario prendere in considerazione il ruolo dei vendors. I grandi produttori di apparati e tecnologia sono alla continua ricerca di discontinuità tecnologiche e di innovazioni di prodotto, poiché il settore tecnologico ha ormai fasi di maturità e obsolescenza molto contratte. Perciò sono interessati al mantenimento di un livello di competitività e di politica di crescita ed espansione tecnologica crescente. Tutto ciò si traduce in una richiesta di intervento a livello politico, ma sorge il dubbio che ciò avvenga a prescindere della domanda finale.
Sviluppo 5G, il ruolo dei vendors
Allora si delinea un rapporto Commissione-Vendors che sarebbe interessante approfondire, proprio alla luce dell’acclamata potenzialità (sulla carta) sia in ambito B2B sia B2C del 5G, tale da rendere la questione della domanda finale, per così dire, secondaria. Con il 5G, secondo i più entusiasti, a innovazione incrementale, cioè un miglioramento di performance della tecnologia di prodotto e servizio già esistente, si aggiungerà innovazione radicale, cioè il passaggio a nuove modalità di utilizzo e nuovi sistemi.
Ciò stimolerà, in seconda battuta, proprio la domanda finale, anche grazie alle tante start-up che stanno nascendo nel B2B dei settori di mercato più disparati, dove i parametri “evoluti” del 5G (come la latenza) possono portare a nuovi servizi per i consumatori finali. Ma le risorse non possono arrivare “in seconda battuta”, a meno di finanziamenti pubblici, ed è ciò che la Commissione promuove, proprio grazie ai propri bandi e ai finanziamenti agevolati.
Inoltre, a proposito del mercato del business-to-business, un recente studio JP Morgan[3] ha evidenziato che è in crescita il ruolo, in termini di domanda, del B2B nello sviluppo del 5G. JP Morgan individua nel settore auto, energia, gaming, logistica e domotica, per fare alcuni esempi, i maggiori esponenti di tale domanda, proprio in virtù della necessità di supportare, con tecnologia nuova ed adeguata, l’automazione di automobili, edifici ed infrastrutture.
Per concludere, il 5G rimane una opportunità. La politica della Commissione, sia essa volta a rendere il Mercato unico più competitivo, oppure promossa dai vendors o spinta dalle necessità del mercato B2B rimane importante, nonché unica possibilità per stimolare un intero comparto di mercato, quello tecnologico, per migliorare il servizio del cittadino. Seppure non libera da possibili critiche, la promozione di schemi di investimento pubblici[4] o pubblico-privato[5], anche in assenza di una forte domanda finale da parte dei consumatori non è da condannare. Al contrario, considerando i recenti scenari di contrazione dei mercati, può fare la differenza e creare nuove opportunità per tutti.
- Factsheet_5G – Smart Connectivity for Europe’s Digital Transformation, EC, June 2019: https://ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=60807
- https://www.wsj.com/graphics/faster-internet-not-worth-it/
- https://www.jpmorgan.com/global/research/5g-fact-vs-hype
- https://www.ottopagine.it/av/daicomuni/190957/approvata-la-convenzione-per-la-banda-ultra-larga.shtm
- https://www.themayor.eu/ga/greece-received-300-million-eu-funding-for-ultra-fast-broadband-internet