La settimana dell’Innovazione del G7 e il Digital Summit di Tallinn credo abbiano contribuito a evidenziare come lo sviluppo del digitale sia prima di tutto un tema politico. Un tema che sempre più si sta affermando come precondizione non solo per la crescita economica dei paesi (meglio, per la loro salute economica), ma anche per il mantenimento dell’esercizio dei diritti di cittadinanza e per la stessa tenuta democratica.
Da questi vertici non ci si aspetta piani di azione, ma l’identificazione di impegni e di priorità. E quindi, in questo caso, il dimensionamento del peso che a livello di politica internazionale viene attribuito alle dinamiche dell’ambito digitale, sia nel senso delle direttrici di sviluppo (quali tecnologie, per che uso) sia in quello degli impatti socio-economici (e quindi anche quali lavori, quali competenze). Senza entrare nei dettagli delle singole dichiarazioni che hanno sintetizzato le conclusioni degli incontri, credo si possa convenire che l’aspetto maggiormente rilevante è la necessità, condivisa tra i Paesi, di assumere un ruolo proattivo. Proprio perché è evidente che non si tratta di semplice tecnologia ma di un processo che trasforma profondamente i meccanismi sociali ed economici.
Dalla riunione G7 dei ministri dell’ambito Industria e ICT emerge l’esigenza di far sì che la “Production Revolution” in atto includa in modo efficace il mondo delle PMI. Questo significa porre attenzione non solo sul contesto normativo (che ha un impatto particolarmente rilevante sulle imprese di minore dimensione) ma anche sulla costruzione di ecosistemi di innovazione dove la cooperazione tra imprese, università e ricerca, istituzioni, investitori è l’unica via per creare reti “forti e resilienti” per lo sviluppo delle PMI.
A questo focus specifico si affiancano alcuni significativi punti di attenzione, tra cui mi sembra interessante sottolineare:
l’importanza di definire un sistema educativo che sviluppi le competenze necessarie per i lavori del futuro, in un contesto di cambiamento del modello stesso del lavoro (interessante qui l’iniziativa dei ministri del lavoro per la realizzazione di una piattaforma di condivisione e scambio di strategie ed esperienze sul tema del “Futuro del Lavoro”);
la riaffermazione di un approccio basato sull’Openness, naturalmente ancora in gran parte da declinare in una spinta all’Open Innovation (anche se la presenza di un gruppo di lavoro “Open Scienza” nell’ambito degli incontri dei ministri della Ricerca è un buon segnale);
l’enfasi data allo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche come precondizione e declinata con una spinta all’accelerazione dello sviluppo del 5G, per la sua portata rivoluzionaria su tutto l’ambito della connettività, sia dal punto di vista dei servizi che degli stessi modelli di business.
Dall’altra parte, il Digital Summit di Tallinn, spinto dai documenti preliminari di Germania, Francia, Italia e Spagna oltre che dall’attenzione al digitale particolarmente alta del Paese ospitante, ha evidenziato alcuni ambiti di azione particolarmente rilevanti per l’Unione Europea. Mi sembra se ne possano sottolineare tre, in particolare:
emerge una maggiore consapevolezza sulla necessità di un ruolo proattivo dell’Unione Europea non solo nell’incentivare la crescita digitale e lo sviluppo del mercato digitale unico, ma anche nelle direttrici secondo cui questo sviluppo deve avvenire, privilegiando approcci tecnologici ancora in via di diffusione e trattati spesso soltanto come sperimentali, come Intelligenza Artificiale e Blockchain. Mi sembra un passaggio di fondamentale importanza, che però richiede un coordinamento ancora più forte dell’attuale sulle linee strategiche industriali europee e su una maggiore focalizzazione degli investimenti;
il tema delle competenze digitali e del capitale umano viene riproposto tra i temi chiave, ma qui non sembrano emergere chiare idee di azione efficace, anche se è da sottolineare l’enfasi posta sul “modello sociale” che deve coniugarsi con la crescita digitale. Continua ad essere il punto più debole delle azioni europee;
la cybersecurity viene indicata come la questione essenziale non solo per la sicurezza degli Stati e dell’economia, ma presupposto per lo stesso esercizio democratico. Anche se non nuovo, questo è un passaggio importante, se soprattutto associato a un impegno per un coordinamento europeo (in Italia però stentiamo ancora a metter su un CERT nazionale…) e per una diffusione della consapevolezza a tutti i cittadini (qui molto può fare il framework Digcomp).
Il digitale, negli ambiti europei e internazionali, è decisamente un tema politico, pervasivo, rispetto al quale ci si misura rispetto agli sviluppi socio-economici dei Paesi. Per riuscire a influire sui dibattiti e sulle decisioni prese in quei tavoli occorre però una consapevolezza profonda e diffusa, in tutti i contesti sociali. Non basta, come nel caso del G7, ospitare e promuovere le riunioni al vertice. Ed è questa una delle azioni strategiche di maggiore rilevanza su cui l’Italia deve rapidamente impegnarsi (e che non ci sembra ancora in preparazione).