Geopolitica digitale

5G ovvero il tramonto occidentale: come salvarci dalla supremazia cinese

La rete è sempre più al centro del confronto geopolitico e questo cambierà di molto le prospettive di redditività dei modelli di business affermati e di quelli in gestazione, come il 5G. Vediamo in che modo – di fronte alla supremazia della Cina – la ricerca e le imprese occidentali potranno ritrovare un ruolo chiave

Pubblicato il 13 Feb 2020

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

5g_wireless

La narrazione del 5G come cornucopia sta volgendo all’epilogo. Sempre meno aziende e sempre meno consumatori sono disposti ad ascoltare le sirene che magnificano le infinite potenzialità di business del 5G. Quella narrazione lascia ora il posto ad una storia diversa: il 5G sarà la tecnologia guida del cambiamento futuro. In questo futuro il protagonista sarà la Cina, che parte con vantaggio sia sugli Stati Uniti sia sull’Europa.

Lo scenario che si prospetta davanti ai Governi e alle società che hanno investito nella tecnologia è molto complesso e su vari livelli: in gioco ci sono nuovi assetti mondiali del potere, un mercato cresciuto enormemente ma il cui futuro non è più prevedibile né è più affidato alla capacità di innovazione dei grandi player. Sullo sfondo, nuove minacce che vedono nella rete il teatro sul quale esercitare le strategie di potenza degli Stati: Cina e Stati Uniti in primis, ma non solo.

La guerra cyber ne è un esempio: la rete è il centro del confronto geopolitico e questo cambierà molto significativamente le prospettive di redditività dei modelli di business affermati e di quelli in gestazione, come il 5G.

In questo contesto, solo un baricentro dell’innovazione che si sposti sugli aspetti sociali dell’innovazione, sulle implicazioni complesse tra tecnologia e libertà, può restituire un ruolo centrale alla ricerca e alle imprese occidentali.

5G, le strategie delle telco

Le telco hanno investito nell’acquisizione di spettro addizionale e dovranno sostenere la gran parte del costo aggiuntivo delle nuove reti 5G. Un costo che può essere modulato nel tempo ricorrendo all’upgrading del 4G, che ha avuto il suo punto di avvio nel 2009, e che non ha ancora dato i risultati sperati. Pertanto, i nuovi investimenti nel 5G saranno sostenuti in misura decisa solo nel momento in cui la vecchia rete diviene inadeguata a sostenere il traffico.

In uno studio recente, Mc Kinsey prevedeva che tra il 2020 e il 2025 la gran parte dei paesi si sarebbe trovata in queste condizioni, ossia di fronte alla necessità si scegliere se investire ancora sulla “vecchia rete” 4G e investire sul 5G.

Questa strategia di ottimizzazione dei costi nella fase di passaggio al 5G viene perseguita anche riutilizzando lo spettro attualmente assorbito dal 2G e dal 3G: molti operatori europei stanno pianificando la dismissione delle reti 2G e 3G per disporre di maggiore spazio per il 4G e il 5G.

Ma il grosso dei costi della nuova rete consiste nella densificazione delle celle nelle aree di grande traffico urbano. Quando il traffico raggiunge 0,5 petabyte per chilometro quadrato all’anno, occorre restringere la maglia della rete con celle di raggio inferiori ai 200 metri. Ciò comporta una diffusione parallela della fibra ad alta capacità, altrimenti il volume di traffico sviluppato dalle nuove microcelle rimane bloccato.

Un approccio conservativo ed evolutivo porterà ad un upgrading delle reti esistenti e ad una più graduale accensione delle aree 5G. Comunque, anche in questo caso, gli oneri per la rete aumentano rispetto a quanto preventivato prima dell’avvento del 5G. Dal 2020 al 2025, in Europa la stima è di un aumento degli oneri di rete del 60% (Mc Kinsey, cit.).

A chi andranno i ricavi del 5G

Di qui le strategie di riduzione dei costi che i gestori più attenti stanno portando avanti con determinazione e intelligenza, come sta facendo Luigi Gubitosi da quando è approdato alla guida di TIM: condivisione dei costi della rete, disponibilità ad accordi con il governo per lo sviluppo di infrastrutture pubbliche aperte, rigorosa gestione degli oneri finanziari e del costo del lavoro.

Se gli operatori sono in prima linea, e quindi assorbiranno per primi gli aumenti di costo delle reti di nuova generazione, non è detto che quegli stessi operatori siano i primi o coloro che si trovano nella posizione privilegiata per intercettare i maggiori ricavi a cui il 5G potrà dare accesso. Non esiste una killer application legata in maniera diretta ai servizi dell’operatore: la stessa pletora di possibilità evocata dai cantori del 5G induce a pensare che molte di queste applicazioni si riveleranno di nicchia, ossia destinate ad aziende specializzate nel settore, probabilmente del tutto indipendenti dagli operatori.

Come in tutte le fasi di rivoluzione tecnologica, i primi sono quelli che assumono maggiori rischi. In termini di teoria economica e di storia economica, i primi sono quelli che possono raggiungere i risultati più straordinari e che contemporaneamente rischiano di più poiché più facilmente possono sbagliare le scelte di mercato, quelle di prezzo e comunque debbono affrontare i costi più elevati dello sviluppo iniziale della nuova tecnologia.

La Cina e il 5G

Se ritorniamo a quanto dicevamo a proposito della geopolitica del 5G, la Cina è oggi il paese che ha affrontato il cambiamento di passo tecnologico con l’obiettivo di affermare la sua primazia tecnologica e geopolitica e quindi di spingere per cogliere tutte le opportunità della nuova tecnologia.

Se ci trovassimo di fronte a comportamenti di mercato concorrenziali, la teoria e la storia (fino ad oggi) ci insegnano che a fronte delle opportunità troviamo dei rischi corrispondenti: l’innovatore può vincere molto, ma può fallire facilmente. Il problema è che la Cina non sta nei manuali di teoria economica né nei manuali di storia economica. Troppo recente la sua crescita straordinaria, troppo intrecciato il suo sistema autoritario di mercato dove le pressioni dirigistiche esercitate dal Partito e la pressione competitiva esercitata dai mercati globali si scontrano ma anche collaborano.

Infatti, i campioni cinesi sono eccellenze mondiali che competono nei mercati globali e sono aziende che fanno molta ricerca, copiano in modo efficace, innovano in modo originale. Fin qui non ci sono differenze con i campioni dei paesi occidentali. Ma queste aziende hanno, al loro interno, un secondo potere, oltre a quello finanziario che si confronta con i mercati, ed è il potere del Partito e quindi dello Stato cinese.

Il campione cinese, da questo punto di vista, opera in condizioni diverse: deve sottostare a regole anche politiche, oltre che di mercato. Da noi questo fatto viene giudicato un handicap: il potere politico non dà nessuna garanzia all’investitore privato di apportare capacità innovativa, efficacia, apertura al mercato mondiale. L’unica virtù riconosciuta alla partecipazione pubblica in attività private è l’apporto finanziario: tant’è che da noi lo Stato interviene per portare salvagenti finanziari ad aziende che il mercato avrebbe fatto fallire. Ma in Cina il Partito ha scelto di interferire il meno possibile con i fattori di competitività dell’azienda e di puntare invece ad assicurare un elevato grado di protezione al mercato interno e quindi ad assicurare ai suoi campioni un retroterra “protetto” o addirittura sovvenzionato che aiuta e sospinge anche in modo artificioso la competitività dei suoi campioni sullo scenario globale. In cambio, il Partito chiede di rispettare la sua autorità, ovvero, nel campo delle telecomunicazioni, di sottostare ad una sovranità limitata delle aziende nel mercato e nella società cinese. Libere di fare affari, anzi protette nel fare affari all’estero.

Il boom e la fine del decentramento produttivo in Cina

Negli scorsi decenni, l’innovazione promossa dalla ricerca e dalla progettazione delle grandi aziende occidentali aveva trovato la fabbrica cinese disponibile a fornire prodotti o beni intermedi a basso costo. I salari cinesi erano ordini di grandezza inferiori a quelli occidentali, in particolare americani, la regolamentazione e il controllo sull’ambiente molto inferiori agli standard occidentali ed in particolare europei. In questo contesto l’elettronica ha trovato in Cina l’ambiente ideale per sviluppare una gigantesca filiera di produzione.

Oggi, però, i salari cinesi sono aumentati, il differenziale non è più di ordini di grandezza, ma di percentuali: si potrebbe quindi assistere ad una riduzione significativa del fenomeno del decentramento produttivo in Cina. Ma attenzione: due tendenze ormai consolidate rendono questa prospettiva assai più complessa di quanto appaia in un primo momento. Pechino ha accettato gli investimenti esteri a patto che essi fossero “accompagnati” da una presenza cinese, presenza che ha assicurato alle aziende locali l’acquisizione del know how. Inoltre, l’accompagnamento è stato sempre perseguito con l’obiettivo di consentire uno sviluppo dell’impresa, dell’imprenditorialità, del management e della ricerca cinese. Lo schema è stato: venite, investite, produciamo insieme, vendete sui mercati internazionali e anche da noi e fate un sacco di soldi, noi faremo di tutto affinché il vostro know how venga acquisito dal sistema produttivo cinese. Questo significa che, oggi, il beneficio di competitività derivante dai salari più bassi si è ridotto molto, ma il know how si è, per così dire, diluito in modo tale che in alcuni settori esso sta ormai più in Cina che in occidente.

È il caso del 5G, dei telefoni di nuova generazione, dei router, delle nuove antenne.

Il dilemma occidentale

Per le grandi imprese occidentali questo problema è molto significativo: il loro mercato in Cina, ossia il mercato più dinamico del mondo, sta chiudendosi a fronte della concorrenza e della preferenza cinese per i prodotti domestici. Ma la possibilità di collaborazione con la Cina, per conseguire margini elevati e prezzi bassi si sta esaurendo, rendendo più competitivi i prodotti a marchio cinese anche nei paesi occidentali.

Si deve notare che queste dinamiche erano comunque destinate a verificarsi nel tempo, per effetto stesso della crescita cinese. Il punto è che il governo cinese ha accompagnato questa tendenza con politiche dichiaratamente volte a rafforzarla e piegarla ad una logica di potenza tecnologica e geopolitica, come insegna il progetto della Nuova Via della Seta.

I paesi occidentali, seppure timidamente, hanno combattuto battaglie contro l’affermarsi di posizioni dominanti nel settore del software dei browser, dei motori di ricerca, dell’e-commerce. Altre ne combatteranno sui nuovi terreni in cui il potere di limitare la concorrenza potrà esprimersi in futuro. La Cina non affronterà mai questi temi delle democrazie liberali: ossia la difesa del consumatore e il diritto di libera impresa. A meno che non rientrino nell’orbita del controllo del Partito e del governo sulle aziende private in grado di esercitare un elevato potere di mercato o finanziario o sociale.

Sul 5G, e anche su internet, questo nuovo conflitto è già aperto: i paesi non democratici tendono a circoscrivere il sistema del 5G all’interno di un’internet “nazionale”, chiusa verso l’esterno e controllata dal governo. La dimensione potenziale del mercato dei grandi player della rete si sta riducendo: Apple, Google, Facebook, la stessa Microsoft sono cresciuti nella bambagia di una rete aperta e senza limiti, affermando standard di fatto, o proprietari, o anche standard aperti a seconda del modello di business, senza la preoccupazione che qualche autorità intervenisse per impedirglielo. Ora quei tempi sono passati. Il mercato è enormemente cresciuto, ma il suo sviluppo futuro non è più lineare, prevedibile e affidato semplicemente alla capacità di innovazione dei grandi player.

Nuove preoccupazioni si insinuano nello sviluppo della rete, delle telecomunicazioni, dei motori di ricerca, dei social network.

La risposta di Trump, di mettere in tensione i rapporti con Cina ed Europa per ottenere vantaggi di immagine e concessioni commerciali in cambio, sembra del tutto priva di strategia. Se le cose stanno come abbiamo indicato, è evidente che l’unica via di uscita dall’impasse in cui si trovano e si troveranno tutte le grandi imprese innovative occidentali, da quelle che producono hardware a quelle che producono software a quelle che gestiscono l’accesso alla rete, l’unica strada in grado di contrastare l’avanzata cinese è di rafforzare la coesione occidentale, definire standard non solo tecnologici ma di impatto sociale delle tecnologie (sicurezza, privacy, libertà, competizione, sostenibilità ambientale e sociale).

Questi terreni prospettano una innovazione di sistema e non solo di tecnologia. Sulla tecnologia per l’Europa la battaglia è già compromessa mentre per gli Stati Uniti è molto difficile svincolarsi dalla dipendenza produttiva cinese.

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