innovazione

5G, Sassano: “Ecco cosa (non) devono fare i Comuni italiani”

Cosa può fare un comune italiano, con tutte le sue difficoltà, per cogliere i vantaggi della rivoluzione tecnologica alle porte? Quali sfide, quali opportunità? Ecco tre cose da non fare e tre da fare

Pubblicato il 21 Gen 2020

Antonio Sassano

Presidente della Fondazione Ugo Bordoni, ordinario di Ricerca Operativa, Dipartimento di Informatica, Automatica e Gestionale "Antonio Ruberti", Università di Roma "La Sapienza"

Connettività 5G: le applicazioni reali che stanno cambiando il mercato e la vita di tutti

Nella generale e complessa rivoluzione del 5G i comuni, in tutto il mondo, si trovano oggi di fronte alla sfida di essere “smart”. Nei paesi più ricchi e avanzati questa sfida si traduce nella ricerca di modi innovativi per fornire servizi già efficienti, per sfruttare al meglio infrastrutture di comunicazione già esistenti, per valorizzare le competenze diffuse dei cittadini, delle istituzioni e delle imprese. Nel nostro Paese, per un sindaco, essere “smart” ha un significato diverso. Vuol dire provare a dare servizi efficienti ai cittadini, rendere vivibile la propria città, prendersi cura dei più deboli e attirare gli investimenti senza stravolgere ambiente e paesaggio. Il tutto con bilanci ridotti all’osso e a volte in profondo rosso.

Questo scenario non va mai dimenticato da chi, come noi, si è dato l’obiettivo di utilizzare la leva dell’innovazione per migliorare le condizioni economiche e sociali del Paese. La domanda è dunque: cosa può fare un comune italiano, con tutte le sue difficoltà, per cogliere i vantaggi della rivoluzione tecnologica alle porte?

Comuni e 5G, tre cose da non fare

Inizierò con tre cose che, a mio avviso, non andrebbero fatte.

Parto dalla prima, la più importante: pensare di tenere il proprio comune al di fuori dello sviluppo tecnologico. Un comune senza banda larga per non scavare o non installare trasmettitori; un comune che non consenta ai suoi cittadini o ai suoi ospiti di collegarsi in rete per paura degli effetti negativi dei social o degli attacchi informatici. Un comune nel quale le “cose” connesse smettono di funzionare appena entrate in città: un’auto che non ci aiuta più a guidare, un “pacemaker” che smette di inviare i propri dati al centro di controllo ospedaliero, un prodotto al supermercato del quale non siamo più capaci di ricostruire la storia.

Tutto questo può essere interessante per l’esperienza di un giorno o per una scelta di vita. Come per gli Hamish della Pennsylvania, che rifiutano la modernità andando in giro in calesse e usando lampade a petrolio. Certamente non può essere la scelta consapevole di una comunità che vuole migliorare costantemente la qualità della vita dei propri concittadini.

Dunque: accettazione della sfida dell’innovazione e estensione a tutti dei suoi vantaggi. Copertura al 100% della popolazione e, per la prima volta, del territorio. Non vogliamo rimanere senza assistenza medica o senza informazioni in qualche luogo non coperto. Non basta quindi un collegamento a banda larga che colleghi le nostre case e i luoghi di lavoro, abbiamo bisogno di una copertura capillare del territorio: l’obiettivo è il 100%. Nessuno, nessun luogo e nessun oggetto deve rimanere isolato.

Questo significa ignorare i pericoli? Assolutamente no! La seconda cosa da non fare è esattamente il contrario della prima. Accettare l’evoluzione tecnologica in modo acritico, senza rendersi conto che le reti, il traffico dati e gli algoritmi che governano ogni nostra scelta e garantiscono in ogni momento il funzionamento efficiente di una società sempre più complessa, debbono essere regolati, monitorati e garantiti da istituzioni delle quali abbiamo fiducia e che, in modo indipendente dagli enormi interessi in gioco, utilizzino regole generali, scientifiche e trasparenti per garantire la nostra salute, la nostra libertà e la nostra sicurezza.

Ed eccoci dunque alla terza cosa da non fare: darsi regole locali per governare lo sviluppo della tecnologia. Limiti dei campi elettromagnetici, regole di realizzazione delle reti fisse o per la localizzazione dei trasmettitori mobili, regole per l’uso e l’”accountability” degli algoritmi definite da ogni istituzione locale. Una babele di regole particolari e a volte poco scientifiche e poco trasparenti e che spesso rendono impossibile la realizzazione di quelle reti e di quegli algoritmi che vorrebbero regolare.

Se decidiamo che non si possono realizzare algoritmi che non siano ”spiegabili”, limitiamo di molto la nostra capacità di risolvere problemi; analogamente, se impediamo di gestire in modo diverso traffici diversi sulle reti, eliminiamo una delle più importanti caratteristiche del 5G: lo “slicing”. Dunque, le regole debbono essere le più generali possibili; semplici ma allo stesso tempo sufficientemente flessibili da contemperare le garanzie di sicurezza e libertà con uno sviluppo efficiente e coerente della tecnologia.

Le tre cose da fare

Dopo le cose da non fare voglio concludere il mio intervento con tre cose da fare. Abbiamo detto che la prima caratteristica di un comune “smart” è quella di non dichiararsi “No 5G”. Voglio aggiungere un’importante considerazione a supporto di questa tesi: il 5G è la prima tecnologia che consente di “chiamarsi fuori” a livello individuale, senza imporre ai propri concittadini una rinuncia collettiva. Le reti 5G, infatti, “illuminano” principalmente gli apparati connessi. Sarà dunque sufficiente non avere telefoni di nuova generazione, guidare una vecchia Maggiolino, non avere apparati di monitoraggio medico indosso per essere ignorati dalle reti 5G, con grande vantaggio per gli utenti connessi.

Secondo punto: le regole. Abbiamo bisogno di regole generali e uniformi e non possiamo immaginare di muoverci per l’Italia come Benigni e Troisi sentendoci chiedere “un fiorino” ad ogni confine comunale. Il ruolo di coordinamento dell’ANCI è fondamentale per ottenere questo importantissimo risultato. Non soltanto standard tecnologici e regole di salvaguardia di salute e sicurezza definiti a livello nazionale (meglio ancora, europeo) ma anche procedure e regole amministrative uniformi per tutte le attività di “roll out” delle reti.

Ma questo non basta. Come detto, alla necessità di coprire efficientemente il territorio seguendo regole generali e flessibili va sempre accoppiata una capacità delle istituzioni di governare e regolare il processo di realizzazione delle reti. In particolare, per i comuni questa capacità si sostanzia in alcune attività che diverranno sempre più complesse e rilevanti nel futuro.

La prima e più importante è la pianificazione dei siti. Da dove consentire la trasmissione degli operatori per garantire la copertura del 100% del territorio rispettando i vincoli a salvaguardia della salute?

Come si vede, l’obiettivo del 100% di copertura e quello della salvaguardia della salute sono entrambi presenti e devono essere entrambi soddisfatti. Raggiungere uno dei due trascurando l’altro sarebbe sbagliato. Le competenze richieste per la pianificazione dei siti sono molto sofisticate. Richiedono, ad esempio, la capacità di simulare (valutare su modelli digitali) le coperture e il rispetto delle soglie delle reti proposte dagli operatori. I comuni non hanno queste competenze, nemmeno i più grandi. Infatti raramente hanno un piano dei siti e quando un piano dei siti esiste non è mai associato ad una dimostrazione che il 100% di copertura è possibile. La Fondazione Bordoni ha invece queste competenze ed è al lavoro per la realizzazione di uno strumento in grado di risolvere questo problema di pianificazione lavorando a fianco dei comuni, anche grazie al suo ruolo di terzietà ed indipendenza.

Terzo punto. La realizzazione delle reti 5G sarà stimolata dalla crescente percezione del valore dei dati. In ogni comune, alberghi, ristoranti, negozi, attività commerciali saranno sempre più consapevoli del valore delle informazioni prodotte dal traffico generato dai propri clienti e, al tempo stesso, dei pericoli insiti da un cattivo uso di queste informazioni. Gli algoritmi delle grandi piattaforme potrebbero decidere di favorire o sfavorire un comune sulla base dei dati raccolti o utilizzare questi dati per affinare la propria attività di raccomandazione senza che il comune o le attività che li hanno prodotti abbiano alcun beneficio.

Una “guerra dei like” contro un albergo, ristorante o attività commerciale di un piccolo comune potrebbe avere conseguenze peggiori di una rapina. Dunque i comuni dovrebbero iniziare a prendere coscienza del grande valore dei dati prodotti nel perimetro cittadino. Ora i grandi comuni acquistano i dati sulla mobilità dalle compagnie telefoniche e dai broker. Ma cosa accadrebbe se il comune “proteggesse” i dati dei propri cittadini (come ne protegge le altre proprietà) e in cambio chiedesse di poterli usare per il bene collettivo? Se è vero che i dati sono il petrolio del nuovo millennio non vale la pena proteggerli e valorizzarli?

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Articolo basato sulla relazione di Antonio Sassano durante il Seminario “Territori Connessi. Banda ultra larga e 5G per lo sviluppo delle comunità”, promosso il 20 novembre 2019 da ANCI, Fondazione Ugo Bordoni e Infratel alla XXXVI Assemblea Nazionale ANCI in Arezzo.

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