Nell’attuale realtà di mercato, i colossi di internet hanno bisogno di infrastrutture dedicate al trasporto dei propri contenuti, per rendere sempre più performanti le richieste degli utenti. Che siano risultati sui motori di ricerca, contenuti televisivi, transazioni commerciali, chi fornisce questi servizi si avvale delle CDN.
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Le Cdn: cosa sono e l’uso per il calcio
Acronimo di Content Delivery Network, si tratta di infrastrutture composte da una serie di server interconnessi, che consentono di ottimizzare il traffico dati su internet: un vero e proprio motore dietro le applicazioni Internet che avvicina sempre più i contenuti all’utente finale.
Ci sono diversi modelli di business nel mondo delle CDN.
Asstel: bene intervento Agcom su Cdn
Asstel (associazione dei principali operatori tlc italiani) si dichiara favorevole alla proposta di Agcom di considerare le Cdn come elementi della rete e di includerli nel Codice delle Comunicazioni Elettroniche come gli operatori tlc.
I motivi:
- è una proposta in linea con il Codice delle Comunicazion;
- Una risposta iniziale e coerente per garantire parità regolamentare tra attori del settore digitale;
- In sintonia con gli obiettivi del Libro Bianco della Commissione Europea, volto al rafforzamento delle infrastrutture digitali.
Prospettive future e quadro regolatorio
Asstel sottolinea l’importanza dell’iniziativa nel contesto dell’avvio del Digital Network Act da parte della Commissione Europea. Agcom, in quanto coordinatore dei servizi digitali, ha il compito di vigilare sull’applicazione del Digital Services Act (DSA). L’inclusione dei CDN è vista anche come un requisito utile per una corretta implementazione del DSA a livello nazionale.
Redazione
Cdn private
Il fornitore di contenuti può usare le CDN unicamente per la distribuzione dei propri contenuti: in questo caso, si parla CDN private o Content and Application Provider (CAP). Ciò fa si che il fornitore di contenuti controllando i server, diventa anche un provider che opera all’interno del mercato delle comunicazioni elettroniche. È un modello di business adottato infatti da chi ha bisogno di trasmettere in contemporanea film, serie TV, partite ecc.., sui device di un gran numero di utenti, spesso in contemporanea, e per questo necessita di una infrastruttura dedicata.
Un esempio è la CDN di DAZN usata per la trasmissione delle partite di calcio di Serie A.
Cdn pubbliche
Le CDN pubbliche, cosiddette CDN global, sono invece quelle gestite dal CDN provider, un soggetto diverso dal fornitore di contenuti e che mette a disposizione i suoi servizi a una pluralità di clienti terzi. Akamai e Cloudflare, ad esempio, rientrano in questa seconda categoria.
Cdn ibride
Amazon, Google e Microsoft hanno un modello ibrido, che risponde alla definizione di CDN “mixed-use”: una terza categoria dunque, dove l’infrastruttura è usata sia per contenuti propri, che per soggetti terzi.
Perché sono infrastrutture cruciali
Le CDN sono oramai una tecnologia indispensabile per la migliore fruizione dei contenuti, anche alla luce della sempre crescente domanda di contenuti in real time. Pertanto, per assicurare la migliore performatività possibile, chi ne fornisce in grandi quantità adotta ormai soluzioni multi-CDN, utilizzando contemporaneamente quella proprietaria e una o più CDN pubbliche.
A prescindere dalle modalità di gestione, si tratta in ogni caso di una soluzione tecnologica che, nell’ambito della gigabit society, non serve solo a favorire la user experience di chi fruisce dei contenuti veicolati ma, in generale, ad evitare fenomeni di congestionamento dell’intera rete che potrebbero pregiudicarne il funzionamento, a discapito di tutta l’utenza di internet.
Il concetto è molto semplice: più le CDN sono capillari sul territorio, migliore è il servizio perché le richieste dell’utente viene distribuita su più infrastrutture; contemporaneamente, la rete è più sicura, resiliente e, in generale, più efficiente perché si scongiurano eventuali sovraccarichi.
Perché il modello funzioni, le CDN devono “comunicare” con la rete degli operatori di telco, i cui abbonati chiedono sempre crescente connettività proprio per usufruire dei servizi veicolati sulle CDN.
Tale comunicazione può avvenire tramite accordi commerciali, soprattutto tra i grandi operatori di telco che devono gestire grandi quantità di traffico generato dalle richieste di molti abbonati e i CAP, che hanno necessità di ridurre latenza e bitrate. Si pensi al grande fornitore di contenuti audiovideo che deve evitare il c.d. buffering dell’immagine o alla riduzione della latenza per il gaming online.
Perché Agcom ha cominciato a regolamentare le Cdn
Proprio la necessità di garantire che il rapporto tra operatori e CDN venisse gestito in modo ottimale, AGCOM, già nel 2021, ha iniziato a regolamentare questo tipo di servizi: la delibera n. 206/21/CONS ha infatti fornito a DAZN, primo operatore “full” streaming ad aggiudicarsi dei diritti della Serie A, le indicazioni per il corretto dimensionamento e la dislocazione geografica delle proprie CDN sulla rete dei provider italiani.
Grazie a questi indirizzi e al successivo tavolo tecnico coordinato da AGCOM si è instaurato un dialogo costante tra DAZN e i provider, che ha consentito la progressiva ottimizzazione del servizio streaming e, contemporaneamente, la migliore gestione della rete delle telco.
La consultazione marzo 2025
Sulla scorta di questa esperienza, la consultazione di AGCOM avviata a marzo 2025 con la delibera n. 55/25/CONS si pone l’obiettivo di comprendere se, a prescindere dalla specificità dell’esperienza di DAZN, la generalità delle CDN, per le modalità di funzionamento e di integrazione con la rete degli operatori, possa essere ricondotta nell’ambito di intervento regolamentare delle autorità competenti, MIMIT e AGCOM.
Gli Uffici dell’AGCOM hanno infatti rilevato che nel momento in cui tutte le CDN sono interconnesse alle reti di comunicazione, di fatto operano come fornitori di reti contribuendo alla trasmissione dei dati a livello infrastrutturale.
Agcom fuori da battaglie ideologiche, obiettivo è fair play su Cdn (e non solo)
Negli ultimi giorni abbiamo assistito, come troppo spesso accade quando si cercano di sottoporre a regole i grandi player della rete, a battaglie ideologiche tra chi vede la minima forma di regolamentazione come l’ostacolo al libero di sviluppo della rete e chi invoca stesse identiche regole per tutti a prescindere dal servizio fornito.
AGCOM è estranea a queste logiche business-oriented. È una autorità amministrativa indipendente la cui mission istituzionale è perseguire, tramite la regolamentazione, quelli che sono gli obiettivi previsti dal Codice delle comunicazioni elettroniche: promozione della connettività e della concorrenza, contribuire allo sviluppo del mercato e promuovere gli interessi dei cittadini, garantendo la connettività e l’ampia disponibilità delle reti ad altissima capacità. L’obiettivo è quello di un raggiungimento, in maniera del tutto analoga a quanto già intrapreso negli ultimi anni tra servizi media e piattaforme online, di un concreto e concorrenziale level playing field.
L’approccio fair-playing oriented consiste in questo. Stabilire se nell’attuale contesto tecnologico, categorie di soggetti che parimenti contribuiscono a fornire un determinato servizio, devono essere sottoposti alle medesime regole di trasparenza e interoperabilità, sicurezza e net neutrality.
Big tech: no alla proposta Agcom sulle Cdn
Le principali aziende tecnologiche globali, tra cui Google, Amazon, Meta, Microsoft, Netflix e Cloudflare, hanno espresso preoccupazioni riguardo alla proposta dell’AGCOM di estendere il regime di autorizzazione generale alle Content Delivery Network (CDN) operanti in Italia. Questa iniziativa potrebbe comportare per le Big Tech obblighi simili a quelli delle telecomunicazioni tradizionali, come l’iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC), contributi annuali proporzionali al fatturato italiano e requisiti di trasparenza e sicurezza delle reti.
I timori
Le aziende temono che l’equiparazione delle CDN alle telco possa aumentare i costi operativi e introdurre vincoli normativi che potrebbero ostacolare l’innovazione e la competitività. Inoltre, esprimono preoccupazione per la possibilità che l’AGCOM stia cercando di reperire risorse per le telco attraverso questa regolamentazione, piuttosto che promuovere una reale equità nel mercato digitale.
Le richieste
In risposta, le Big Tech hanno richiesto ulteriori chiarimenti e un’estensione dei tempi per valutare l’impatto della proposta, sottolineando la necessità di un dialogo costruttivo con l’AGCOM per garantire che eventuali nuove regolamentazioni siano proporzionate e non discriminatorie.
La posizione delle Big Tech riflette una crescente tensione tra le autorità regolatorie europee e le grandi piattaforme digitali, in un contesto in cui si cerca di bilanciare la necessità di regolamentare il mercato digitale con l’obiettivo di non soffocare l’innovazione tecnologica.
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