Incertezze diffuse, ma qualche segnale di speranza per un nuovo inizio. L’Italia, nella sua missione di innovazione digitale, è stata colta in questo clima ambivalente, alle soglie della pausa estiva. Ed è un peccato perché su molti fronti c’erano segnali che già prima di settembre saremmo riusciti a porre punti fermi. E invece: rimandati a settembre. Ancora una volta. Stavolta più forti, più preparati, rispetto all’anno scorso. È vero. Ma è passato un altro anno e questo si paga, sul piano della competizione globale in cui il Paese è perennemente immerso.
È un bilancio che ci sentiamo di fare, certo con pesi e misure diverse, per tutti gli ambiti dell’Agenda digitale. Dalla pa digitale, alla banda ultra larga, alle startup, a Industry 4.0. Emerge anche dai tanti, autorevoli contributi del nostro speciale che fa un bilancio sull’Agenda e che invieremo giovedì 4 agosto agli iscritti della newsletter (clic qui per iscriversi).
Startup e Industry 4.0
Per startup e industry 4.0 rinviamo, rispettivamente, ai bilanci scritti per noi da Giovanni Iozzia di EconomyUp e dalla nostra redattrice Barbara Weisz. Sono due ambiti in cui le ombre non sono numerose, del resto, e il quadro è tutto sommato abbastanza chiaro. Per le startup è tempo di passare dalla fase delle policy di Stato a quelle della costruzione del mercato. Per Industry 4.0 gli incentivi per l’acquisto di macchine innovative stanno andando bene, ma su altri fronti ci sono ritardi, soprattutto per l’avvio dei competence center.
Più intricati gli aspetti della banda ultra larga e della PA digitale.
PA digitale
Siamo a una nuova partenza. Con l’arrivo del piano triennale ICT s’è finalmente chiarita la governance a livello centrale: Agid e il Team Digital di Piacentini hanno cominciato a lavorare assieme in modo strutturato, da qualche giorno. C’è stata in questi giorni anche una riorganizzazione in Agid, con la nascita di due nuove super direzioni, già previste tempo (i cui direttori sono in via di definizione). Adesso il lavoro da fare è sistemare la governance territoriale. Abbiamo cominciato: il 19 luglio Antonio Samaritani di Agid e Diego Piacentini hanno incontrato tutte le Regioni per l’avvio dei lavori che mirerà a selezionare gli aggregatori territoriali (Regioni e Città Metropolitane). Lo scopo è duplice: armonizzare i progetti locali con la strategia nazionale e supportare (anche con i fondi del Pon Governance) gli enti locali a digitalizzarsi. Obiettivo di fondo: portare a ogni cittadino e su ogni ente i benefici della trasformazione digitale. Significa avere una Sanità innovativa negli strumenti e nei canali di interfaccia con il paziente, tra l’altro (su questo sarà un momento notevole Salute 2017 a settembre, organizzato da Allea e FPA, azienda del gruppo Digital360, che pubblica questa testata). La Scuola digitale sta andando avanti, forse uno dei punti più brillanti della strategia italiana (come rilevato anche dagli Osservatori del Politecnico di Milano nell’ultimo rapporto eGov qualche giorno fa); tra i pochi nei, la difficoltà di strutturare la formazione su tutto il territorio in modo uniforme.
Tra le prossime scadenze: previsto in autunno il correttivo al Cad (Codice amministrazione digitale), verso fine anno il debutto del domicilio digitale (ossia il diritto a interagire con ogni ente in digitale, iscrivendosi a un registro utilizzabile anche nelle relazioni con le aziende). A cavallo dell’estate sarà fissato il modello di business per Spid e quindi dovrebbe sbloccarsi l’arrivo dei primi fornitori privati di servizi (banche, aziende di trasporto pubblico…). A fine luglio dovrebbe esserci anche la firma tra Sogei e il ministero dell’Interno per il nuovo contratto alla base di Anpr e un ruolo di responsabilità tecnica da parte del Team.
A fine anno PagoPa dovrebbe essere effettivo su tutte o quasi le PA. Purtroppo invece non è ancora all’orizzonte la nascita di un punto unico di accesso a tutti i servizi della PA, quel sogno che un tempo si chiamava Italia Login. Per ora accontentiamoci di avere siti e servizi PA efficienti e standard.
Punto importante nella roadmap è il piano di razionalizzazione datacenter, di cui dovremmo vedere a settembre i primi frutti (inizio del censimento dei datacenter e poi definizione dei poli strategici nazionali). Imboccata la strada giusta, dopo tante incertezze, anche per la cybersecurity ma ora aspettiamo di vederne i frutti.
I tasselli stanno andando al loro posto, fra molte complessità.
Banda ultra larga
Le notizie sono note. Tim, con il cambio di amministratore delegato, rinuncia al piano da un miliardo di euro per ampliare la cablatura banda ultra larga nelle aree bianche. Ora è quindi campo libero per il piano statale con tre bandi (il primo assegnato a Open Fiber, startup di Enel; il secondo da assegnare a giorni, con solo questa società in gara) nelle aree bianche. Non solo: stanno partendo i voucher per incentivare l’acquisto di connessioni nelle aree grigie e si parla di un ulteriore bando da 870 milioni in nuove aree bianche (ma su questo se ne saprà di più a settembre, quando Infratel consoliderà le proprie stime).
A fronte dello scampato pericolo di raddoppio infrastrutturale, ora i rischi sono due. Il primo è che Open Fiber, investita da sola (vista la rinuncia di Tim) di portare la fibra nelle aree bianche, non riesca nell’intento nei tempi giusti, quelli compatibili con la programmazione europea. È in fin dei conti una impresa titanica, mai tentata prima, nelle mani di una società nuova: tenere alta l’attenzione su questo punto è doveroso. Secondo, che con le ultime proiezioni Infratel solo il 45 per cento degli italiani al 2020 avrà copertura fibra ottica nelle case (sommando il piano nazionale a quanto dichiarato dagli operatori, cioè meno del previsto). Il problema sono le aree grigie, dove al momento – per accordi con la Commissione europea – l’intervento pubblico si può limitare ai soli voucher.
La speranza è insomma che i piani degli operatori accelerino, almeno dopo il 2020, e che l’attuazione del piano statale non conosca intoppi, nonostante l’entità della sfida. In gioco c’è, ricordiamo, la possibilità dell’Italia di dotarsi della infrastruttura necessaria per dirsi un Paese moderno.