La critica

Agenda, rischio cattedrali nel deserto. Senza cultura digitale

Già dal 2005 la Pa sta facendo di tutto per applicare al contrario quanto previsto dal codice dell’amministrazione digitale. Qui internet è considerato il canale preferenziale per l’erogazione dei servizi, ma se un utente per concludere l’erogazione di un servizio on line si trova a dover pagare costi superiori rispetto al “mondo off-line”. C’è un problema culturale da risolvere. Anche nei consumatori

Pubblicato il 05 Lug 2013

Roberto Scano

già presidente Iwa, presidente commissione UNI e-accessibility

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L’Agenda digitale sarà anche quest’anno la colonna sonora dell’estate. Era marzo 2012 quando tutto iniziò, con la cabina di regia a cui fu assegnato il compito di scrivere una serie di proposte per la “decementificazione analogica” e la valorizzazione del digitale, ponendo quest’ultimo come una soluzione per il miglioramento della qualità dei servizi e della cultura. Ricordo i viaggi su e giù da Venezia a Roma per le riunioni della cabina di regia (facevo parte del gruppo dedicato alle competenze digitali) e l’entusiasmo che c’era all’interno dei tavoli di lavoro, con l’idea di poter veramente innovare. Circa un anno fa in questi giorni il governo si preparava all’emanazione del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 (decreto crescita) in cui con un colpo di mano si è tentato di dare un’accelerata alle attività istituendo l’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID).

Con l’assegnazione di una serie di compiti e la chiusura di due realtà (Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione e DigitPA), l’AGID ha iniziato il suo burrascoso cammino, dovuto a mio avviso ad una serie di errori contenuti nella normativa, tra cui la frammentazione della governance della medesima, le modalità di approvazione dello Statuto, l’assenza di ulteriore capacità finanziaria rispetto ai bilanci delle due realtà soppresse. Attualmente l’Agenzia è formalmente non operativa, in quanto il direttore Ragosa è commissario straordinario (ai sensi di legge) delle due realtà dismesse, questo sino alla pubblicazione dello Statuto. Questo però non significa che le due realtà commissariate siano inattive: basta verificare in particolar modo il sito di DigitPA per vedere che le tematiche riguardanti specifiche tecniche sono iperattive, e vi sono una serie di attività pianificate che fanno comprendere come il direttore Ragosa ha tutto l’interesse di migliorare le attività delle P.A. italiane, in particolar modo con la razionalizzazione delle risorse e con la condivisione delle buone pratiche, eliminando i cosiddetti “feudi digitali”, ovvero le cattive pratiche per cui tra amministrazioni ad oggi non vi è dialogo e interoperabilità tra banche dati (spesso nemmeno all’interno delle stesse amministrazioni).

Questi ritardi sono tutti colpa della mancata attivazione dell’AGID? Ne siamo proprio sicuri? Pensiamo ad esempio a tematiche di cui sentiamo parlare da anni. Sono anni che sentiamo parlare dei problemi relativi alla banda larga, senza la quale sembra impossibile far partire qualsiasi cosa e – purtroppo – senza casi reali di successo a seguito della disponibilità della medesima al punto da far ipotizzare che la banda larga è solo un mezzo che in assenza di prodotti e servizi è sottoutilizzato. Se analizziamo invece il settore dei servizi erogati al cittadino, in particolare delle transazioni, ci rendiamo conto che la P.A. sta facendo di tutto per applicare al contrario quanto previsto dal codice dell’amministrazione digitale (CAD) già dal marzo 2005. Se andiamo a leggere il CAD, si nota come internet è considerato il canale preferenziale per l’erogazione dei servizi, ma se un utente per concludere l’erogazione di un servizio on line si trova a dover pagare costi superiori rispetto al “mondo off-line”, dove sta il vantaggio di usare internet? Eppure le normative ci sono, così come i decreti attuativi che via via stanno arrivando. Si tratta di un problema culturale, di una dirigenza PA che trova logico un aumento del costo del servizio erogato on-line (esempio: pagamento di una multa) ma che se, nel mondo “reale” subisse stesso trattamento da parte di un esercente si scatenerebbe subito contro lo stesso. È un problema culturale quindi, non di normative. Se si desidera effettivamente portare innovazione all’interno di PA e delle aziende ci sono strumenti, ci sono soluzioni e buone pratiche riproducibili se e solo se la dirigenza – pubblica e privata – capisce quali possono essere i benefici derivanti dalla digitalizzazione e dall’integrazione delle nuove tecnologie nelle vecchie forme di mercato, un valore aggiunto che ancora ben poche realtà hanno compreso.

Agenda digitale significa anche cultura digitale, significa diffondere l’alfabetizzazione ad ogni livello: servono, come dice la Kroes, esperti del digitale ma serve anche creare la cultura all’utente del digitale, sia esso consumatore, datore di lavoro, lavoratore dipendente o autonomo. Se non creiamo i “consumatori digitali” corriamo il rischio di progettare senza il coinvolgimento dell’utente, creando nuove cattedrali nel deserto. Ho avuto occasione di parlare pochi mesi fa con un presidente di CCIAA disperato per aver sviluppato servizi digitali di qualità ma verso i quali le aziende preferiscono la soluzione “analogica” (ovvero l’invio della segretaria per consegnare i documenti per attivare i servizi), senza considerare che la gestione analogica aumenta i tempi di gestione e i costi sia per l’utente che per l’amministrazione. Dobbiamo quindi trovare le soluzioni per coinvolgere l’utente alla definizione dell’agenda digitale, per capire cosa desidera dall’amministrazione rispetto ai pilastri definiti dall’unione europea. Cerchiamo di non commettere l’errore frequente per cui le amministrazioni sviluppano dei servizi che presumono essere utili per l’utenza. Non facciamo lo stesso errore anche nel settore delle smart cities e non facciamolo nel settore della cultura digitale e delle infrastrutture. Cerchiamo di capire come migliorare la vita del cittadino grazie alla digitalizzazione senza imposizione ma valorizzando i benefici, ed applichiamo il medesimo modello anche all’interno di aziende ed amministrazioni. E l’AGID? Il suo ruolo deve essere quello previsto dalla legge: definire standard e progettare l’innovazione della macchina pubblica, ovvero ciò che sta già facendo egregiamente secondo la vision di razionalizzazione impostata dal direttore Ragosa. Partiamo dall’anagrafe unica, e pensiamo ad un mondo ideale in cui il cittadino possa agevolmente dialogare e ottenere servizi ed informazioni dalle amministrazioni pubbliche senza ritrovarsi nelle dodici fatiche di Asterix nella prova de “la casa che rende folli” (dove Asterix doveva ottenere un lasciapassare da una amministrazione pubblica), ricordando che il citato film è del 1976 e che la situazione rappresentata è spesso riproducibile ai giorni nostri…

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