Un’altra ferita è stata fatta alle politiche d’innovazione in Italia, la cui credibilità era già, storicamente, claudicante. Alessandra Poggiani si dimetterà oggi dalla guida dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Dopo appena sette mesi di lavoro. Dopo che già il suo predecessore, Agostino Ragosa, aveva dovuto affrettare l’abbandono dell’Agenzia, rispetto ai termini previsti (il mandato durerebbe tre anni, ma si accettano scommesse su chi riuscirà ad andare a fondo). Agenzia che per altro nasce dalle ceneri di un caos multi-ente (ha incorporato le competenze dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, di DigitPA, del Dipartimento per l’innovazione tecnologica).
Ma sembra che in Italia dopo un passo verso la centralizzazione ne debba seguire per forza uno in senso opposto: ricordiamoci quello che ha detto Del Rio, a ottobre: l’Agid ha “una governance da manicomio” e Poggiani che a margine di quell’evento (Between, a Capri) mi confermava che era vero e che era difficile lavorare in quel modo.
Poi adesso sarebbe compito scivoloso fare dietrologia sui veri motivi dell’abbandono di Poggiani (secondo cui non sarebbe vero che a spingerla in questa decisione sia la difficile governabilità dell’Agenzia).
Resta infatti comunque vero che l’Agenzia- e quindi in generale la governance del digitale in Italia- ha un problema di autorità. Si può discutere solo su quanto sia grave questo problema, ma c’è. Lo dimostrano tanti fatti, che gli addetti ai lavori conoscono bene: le lungaggini per l’approvazione dello Statuto dell’Agid e, solo a febbraio, la sua pianta organica; il sotto dimensionamento dell’organico (rispetto ai numeri contenuti nello Statuto). Eccetera eccetera.
Ma solo pochi giorni fa avevamo ricordato che lo switch off verso il digitale- secondo quanto descritto nel piano Crescita e in parte in quello banda ultra larga- ha bisogno di una governance più forte, più centrale. Serve un’Agenzia forte per condurre nel recinto di questo programma tutti i pezzi che rischiano sempre di svicolare fuori, in nome di autonomie locali o di resistenze di vario tipo (quelle di certi giudici verso il Processo civile telematico; quelle di certi professionisti verso la fattura elettronica eccetera).
Fare il digitale in Italia è un terremoto di poteri: da vecchi a nuovi. E’ questo che è difficile.
L’Agenzia ha avuto problemi a imporre questa visione, per un difetto di commitment politico e di governance. Detto in modo chiaro: in molti, tra quelli che dovrebbero accettare le nuove regole, hanno avuto gioco facile a resistervi pensando che “tanto le teste decisionali cambieranno presto”. E’ successo spesso in passato. Le dimissioni di Poggiani rischiano di confermare questa visione, deleteria verso qualsiasi cambiamento in Italia.
Che fare, adesso?
C’è un’urgenza: trovare subito un nuovo dirigente, per proseguire il cammino senza intoppi. Poggiani può restare in carica, per l’ordinaria amministrazione, al massimo fino a metà fine aprile (secondo quanto lei stessa mi ha riferito), quando sarà ufficialmente candidata in Veneto. Per l’interim può nominare un vice, ma è bene che il successore sia fatto presto dal bando pubblico. Che si ritiene sarà piuttosto veloce, secondo la stessa Poggiani e fonti del Comitato d’Indirizzo dell’Agenzia. Addirittura potrebbe durare solo 15 giorni, per una nomina che potrebbe arrivare già a maggio.
Messa questa toppa, bisognerà poi trovare una soluzione a lungo termine per rafforzare le politiche dell’innovazione in Italia. Una maggiore centralizzazione della governance a Palazzo Chigi è secondo molti una buona idea (un dipartimento dedicato al digitale?). Ciò che conta è la famosa “volontà politica”: Renzi adesso dimostri che ci tiene davvero alla rivoluzione digitale, che per sua natura, più di altri ambiti, ha bisogno di “rottamazione“. Cioè di scelte precise di rottura con il passato. “Break the shit, apologize later” è uno dei motti della Silicon Valley. Un giovanile futuristico ardore dei distruttori.
Ecco, un po’ di questo abbiamo bisogno, in un’Italia troppo vecchia. Dalle prossime scelte di Renzi, sul futuro dell’Agenzia, si vedrà quanto ci crede davvero, al cambiamento.