Ampliare l’infrastruttura della tessera sanitaria per aiutare poveri e disabili, ecco come

E’ ipotizzabile un data base unificante tramite un documento che il cittadino debba utilizzare per ricevere le prestazioni, come supporto sul quale vengano registrate le erogazioni effettuate. Questo supporto dovrebbe essere della massima semplicità per il cittadino, e potrebbe consistere nella tessera sanitaria/carta dei servizi

Pubblicato il 06 Feb 2017

Maurizio Motta

Università di Torino

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Se si osserva lo stato dei sistemi informativi in uso non solo in sanità, ma anche in altri importanti rami del welfare che operano sulla sofferenza dei cittadini, è facile rilevare quanto sarebbe importante un cambio di passo strategico nelle loro architetture.

Dunque può essere utile chiedersi se l’infrastruttura che si va consolidando per la tessera sanitaria non si potrebbe prestare ad includervi anche altri segmenti di servizi rilevanti per persone in fragilità, pur senza fughe nell’impossibile.

Per essere concreti segnalo alcuni tratti della gestione delle informazioni che caratterizzano questi due ambiti: i servizi sociosanitari dedicati alla disabilità/non autosufficienza, gli interventi pubblici a contrasto della povertà.

1) In favore di disabili e non autosufficienti opera una gamma di servizi che non sono solo esclusivamente sanitari, ma sociosanitari (come previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza), ossia con titolarità delle Aziende Sanitarie ma col forte concorso dei Comuni, diretti non a interventi medico infermieristici, bensì alla tutela della vita quotidiana: valutazione multidimensionale della non autosufficienza, assistenza domiciliare, inserimento in centri diurni, ospitalità in strutture residenziali. I fruitori sono una platea vastissima di cittadini e famiglie, in rapida crescita se non altro per l’incremento degli anziani e l’allungamento della speranza di vita.

Esiste una grande differenza di offerte e di organizzazione di questi servizi tra le diverse Regioni, ma quasi ovunque sono fragili le architetture informative che consentano a diversi servizi ed operatori da un lato di conoscere senza errori il percorso svolto dall’utente, anche in luoghi diversi, e dall’altro di registrare con facilità problemi ed interventi su supporti che siano condivisibili ed interoperabili tra i diversi servizi coinvolti. E va ricordato che specialmente in questi interventi è indispensabile che operino sullo stesso utente (e famiglia) più servizi, dal medico di medicina generale alle unità valutative della non autosufficienza, dalle cure domiciliari ai servizi sociali, dai centri diurni ai luoghi di ospitalità. Si tratta di un’esigenza ben nota nell’ambito strettamente sanitario, e meriterebbe dunque interrogarsi sul “se e come” l’architettura della tessera sanitaria potrebbe essere estesa anche agli interventi sociosanitari, con la funzione di collante informativo che faciliterebbe molto, come in sanità, sia il cittadino sia i servizi. Inoltre è a tutti evidente l’opportunità di connettere le conoscenze relative alla storie e condizioni cliniche del paziente con quelle relative alle sue condizioni di non autosufficienza ed agli interventi ad esse correlati.

Non è difficile trovare dati che documentano la progressiva tumultuosa crescita della domanda di interventi per la non autosufficienza al welfare pubblico, che in Italia è su questo terreno in grave ritardo rispetto ai bisogni. Dunque muovere verso architetture che almeno consolidino gli scambi informativi diventa sempre più urgente, e può essere utile segnalare che questo tema dovrebbe trovare piena dignità anche entro il “Piano nazionale per la non autosufficienza” che un recente decreto, dedicato al riparto del Fondo nazionale sul tema, ha annunciato.

2) Un secondo nodo cruciale nel welfare italiano riguarda il contrasto alla povertà, ed in particolare il riordino delle prestazioni pubbliche a sostegno dei redditi insufficienti. La povertà è estesa e cresce, ma il welfare italiano risponde con una gamma caotica di diversi interventi frammentati, ciascuno dedicato ad una specifica categoria di persone o di povertà, che richiedono ai poveri la paradossale competenza di saper sempre bene cosa chiedere e dove, e che impediscono ai servizi pubblici di presentare con chiarezza tutte le prestazioni che il nucleo potrebbe richiedere. Un tratto rilevante consiste nel fatto che non solo ogni Ente erogatore locale utilizza propri sistemi gestionali, ma anche che ogni prestazione nazionale contro la povertà si appoggia ad un proprio sistema, e che si presenta ciclicamente il rischio di creare un nuovo sistema gestionale (anche con il conseguente proliferare di paralleli flussi di dati richiesti alle periferie dallo stato) ogni volta che viene attivato un nuovo intervento nazionale.

Oltre alla scarsa efficacia di questo coacervi di prestazioni, una delle conseguenze informative critiche è l’impossibilità per qualunque servizio pubblico che riceve poveri di vedere in qualche archivio l’insieme delle prestazioni contro la povertà che quella famiglia già riceve, sia per evitare sovrapposizioni di interventi, sia per informare la famiglia di ciò che potrebbe ancora richiedere.

Nell’agenda politica nazionale sembra crescere l’attenzione alla messa in opera di un reddito minimo nazionale, e sul tema è al Senato un ddl delega presentato dal governo Renzi, già approvato dalla Camera. Ma questo obiettivo, ossia una prestazione organica che riunifichi il caos di quelle esistenti, richiede un parallelo investimento verso un sistema informativo che la gestisca, anch’esso organico e non frantumato.

Ci sono alcune criticità che sono comuni nei sistemi informativi in atto per la non autosufficienza e la povertà:

a) Quasi ogni Ente gestore si è costruito propri sistemi informativi gestionali (e non sono rari sistemi diversi per servizi differenti entro lo stesso Ente), con scarsa interoperabilità nonché con ridotti automatismi di aggiornamento (ad esempio anagrafici).

b) I Ministeri tendono a costruire le proprie informazioni richiedendo agli Enti gestori locali (Aziende Sanitarie e Comuni) di popolare numerosi appositi flussi separati (ad esempio per gli assistiti a domicilio, per quelli in residenza, per le erogazioni monetarie contro la povertà, etc.) immettendovi i dati secondo formati definiti dai Ministeri e/o INPS, con l’effetto che molti Enti gestori non riescono a ricavare i dati richiesti in automatico dai loro sistemi, e devono dedicare tempo e risorse nel compilare ad hoc i diversi flussi nazionali, con grandi rischi di errori e incompletezze. Ad esempio ha questi connotati il “Casellario dell’assistenza” in costruzione presso l’INPS che dovrebbe ricevere da ogni Ente erogatore i suoi interventi contro la povertà, e rischia di non decollare per queste criticità.

c) A causa della diffusa assenza di connessione tra gli archivi anagrafici e gli archivi sugli utenti di specifici interventi, non è di fatto possibile, né a livello locale né a quello nazionale, ricostruire bisogni e interventi diversi compresenti nella stessa persona e nucleo familiare, né garantire che questi dati siano aggiornati rispetto ai decessi, alle scomposizioni dei nuclei, ed ai cambi di residenza delle persone tra comuni differenti.

Quali possibili piste di miglioramento? Sintetizziamo per tratti molto generali due ipotesi, con una buona dose di semplificazione:

A) La messa in opera a livello nazionale di una piattaforma di interoperabilità sovraordinata ai sistemi gestionali locali, con lo scopo di catturare entro ogni sistema gestionale i dati afferenti alla stessa persona e di ricomporli in automatico entro una base dati unificata, che viene poi resa accessibile. Tra i molti nodi di questo disegno vi sono la costruzione dei canali di comunicazione tra piattaforma e singoli archivi gestionali, ovviamente con i necessari criteri di sicurezza, e la fattibilità della cattura dei dati dai singoli archivi gestionali senza che ciò comporti eccessivi costi, anche locali.

B) Oppure (meglio) prevedere di alimentare un data base unificante tramite un documento che il cittadino debba utilizzare per ricevere le prestazioni, come supporto sul quale vengano registrate le erogazioni effettuate. Questo supporto dovrebbe essere della massima semplicità per il cittadino, e potrebbe consistere nella tessera sanitaria/carta dei servizi. In sintesi il processo potrebbe essere questo:

– il cittadino richiede una prestazione ad un servizio, il quale leggendo la carta vede gli interventi dei quali già fruisce la famiglia;

– il servizio attiva l’intervento utilizzando il proprio sistema informativo gestionale, cui la carta dà accesso, e ne scarica copia sulla carta del cittadino;

– contestualmente una copia dei dati relativi alle prestazioni di cui fruisce il cittadino – che sono sulla carta – vengono scaricati sul data base nazionale, dove quindi viene aggiornato il contenuto della carta stessa.

Sarebbe la carta a pilotare l’attivazione dei sistemi informativi gestionali (che pure restano diversi tra loro) ed a promuovere l’interconnessione delle informazioni sullo stesso utente e nucleo familiare, se l’erogazione popolasse anche un archivio nazionale unificato di tutte le prestazioni per quel nucleo.

Naturalmente sono molti gli aspetti da approfondire, oltre a quelli specificamente informatici e tecnologici, ad esempio:

– le connessioni tra questo supporto fisico (la carta) e i sistemi gestionali erogativi che devono popolarlo di dati e utilizzarlo come strumento di accesso;

– come ricondurre la visibilità delle erogazioni all’insieme di quanto riceve l’intero nucleo familiare (esigenza che è cruciale per molti servizi), a partire da supporti materiali (la carta) che sono propri della singola persona;

– quali alternative di accesso prevedere quando il cittadino perde la sua carta, magari perché particolarmente fragile.

Inoltre sulla carta del cittadino il servizio che attiva la prestazione ne registra l’avvio ma non sempre ha poi modo di fare lo stesso con la chiusura dell’intervento, nel caso avvenga ad esempio prima della scadenza prevista, per una revoca attuata dal servizio stesso. Perciò andrebbe valutato se non sia necessario anche un invio delle singole chiusure di interventi dai servizi al data base unificato nazionale, che poi lo ribalta sulla carta al suo primo riuso; oppure alcuni flussi strutturati dai singoli sistemi gestionali .

C’è un’altra opportunità da non perdere: è in via di allestimento la costruzione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr) che raccoglie a livello statale le singole anagrafi comunali, e che potrebbe giocare un ruolo decisivo sia per importare negli archivi gestionali dei servizi in automatico i nuclei familiari (evitando errori di scrittura degli operatori), sia per garantire che le variazioni anagrafiche siano di default sempre connesse con tutte le prestazioni e le aggiornino (basti pensare all’utilità di bloccare in automatico una erogazione, come un assegno di cura per non autosufficienti, quando decede il beneficiario). Tra l’altro il legame tra Anpr e Tessera Sanitaria, entro un utilizzo della tessera anche per interventi non strettamente sanitari, garantirebbe un comune basamento informativo (ossia il nucleo anagrafico sempre aggiornato entro ogni servizio) a diversi importanti i rami del welfare.

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