Una infrastrutturazione capillare a banda ultra-larga (BUL) del Paese è un prerequisito essenziale per poter sfruttare le potenzialità dell’internet del futuro, stimolare la creazione di nuova occupazione e la crescita economica. Si parla di +1,5 % PIL per ogni 10 % di copertura aggiuntiva BUL, e una ricerca Agcom del 2009 (ISBUL) sottolineava come una copertura BUL del 50% della popolazione portasse fino a +3 % PIL, con un impatto sull’occupazione di circa 250.000 unità lavorative.
Purtroppo siamo in coda nelle classifiche internazionali di connettività, con una velocità media di 9,18 Mbps. Ben venga quindi il Piano del Governo per centrare gli obiettivi dell’Agenda Digitale, di fatto fissando a 30 Mbps entro il 2020 il ‘servizio universale’ per internet – oggi in vigore solo per la telefonia fissa.
Il Piano privilegia tecnologie ottiche il più vicino possibile alle abitazioni, ma ne finanzierà anche altre. Vengono pertanto incluse nell’infrastruttura BUL le varie tecnologie disponibili (wireline, wireless e satellite per il trasporto e l’accesso; cavidotti, mini-trincee, soprasuolo, aeree ecc per la posa).
Va sottolineato- stime Infratel, in accordo con la citata ricerca ISBUL- come una rete in fibra fino agli armadi (FTTC a 30 Mbps) costerebbe circa 4 miliardi di euro, una fino al palazzo (FTTB a 100 Mbps) circa 19 miliardi di euro, mentre una fino all’abitazione (FTTH a 1 Gbps) circa 23 miliardi di euro. Il piano governativo prevede viceversa un costo complessivo di circa 12,4 miliardi di euro, di cui circa 6,5 miliardi di euro pubblici, auspicando la mobilitazione di altrettante risorse private (circa 4 miliardi aggiuntivi rispetto ai circa 2 miliardi già presenti nei piani degli operatori). I fondi pubblici saranno usati per agevolazioni al passaggio dal rame alla fibra, con sgravi fiscali per gli operatori nelle zone a fallimento di mercato, interventi diretti sulla rete e incentivi agli utenti per la migrazione da 30 a 100 Mbps attraverso un sistema di voucher decrescenti man mano che la fibra si allontana dalle abitazioni.
Al riguardo (budget control) sottolineo l’importanza del “catasto delle infrastrutture”, da noi definito Registro delle Infrastrutture di Nuova Generazione (RING) , cioè una mappatura dettagliata delle infrastrutture disponibili nel Paese, che permetterebbe di ottimizzarle ed evitarne la duplicazione nella scelta delle reti da dispiegare nei vari cluster individuati nel Piano.
Da sottolineare anche la circostanza che non viene fatto riferimento al nodo delicato dell’ipotetico “switch off” della rete in rame entro una data prefissata, spegnimento caro (a ragione) a taluni stakeholder ma che, se imposto per decreto, allarmerebbe Telecom Italia, che potrebbe considerarlo un intervento indebito sulla propria libertà di impresa. Agli operatori verticalmente integrati come Telecom Italia il quadro regolamentare UE pone peraltro alcuni vincoli specifici (impossibilità di controllo sulla rete, meccanismi di “claw back” eccetera) per cui sarà da verificare l’ammontare dello stanziamento privato realmente allocato alla nuova rete, e sarà molto importante la definizione di un quadro regolamentare certo affinché gli operatori decidano gli investimenti desiderati.