Non v’è dubbio che oggi la fine del roaming, l’affermazione della tecnologia mobile 5G, l’infrastrutturazione a banda ultra larga sia fissa che mobile, costituiscano per gli operatori di TLC tra i maggiori fattori di spinta per disegnare nuove strategie di business e trovare nuove fonti di ricavi. Ricavi – è bene ricordarlo – che in Italia hanno registrato negli ultimi anni un trend in netta discesa che, stando ai dati dell’ultimo Rapporto Asstel, si è arrestato solo nel 2015. In attesa dei risultati del prossimo Rapporto Asstel (che fornirà i dati del 2016), si può rilevare che l’Agcom nella sua recente relazione annuale conferma anche per il 2016 tale inversione di trend.
La tecnologia 5G, in particolare, è chiamata non solo a soddisfare i futuri requisiti di capacità delle trasmissioni radiomobili, ma anche a raggiungere obiettivi importanti in termini di copertura, affidabilità della rete, efficienza energetica, latenza. Da questo punto di vista il suo ruolo è destinato a diventare strategico nel sostenere e accelerare i processi di trasformazione digitale dell’economia e dello stesso sistema Paese. A partire da Industria 4.0 e dall’Internet delle cose, ma anche per lo sviluppo dei servizi online pubblici e privati, del cloud, della sharing economy, la connettività del 5G avrà un ruolo chiave abilitante consentendo la gestione dei parametri tecnico-qualitativi necessari per la fornitura dei servizi più evoluti secondo livelli di customizzazione oggi non immaginabili. Si tratta di un’incredibile opportunità per risolvere le sfide chiave della trasformazione digitale che in particolare per il nostro Paese riguardano l’industria manifatturiera, la PA, la Sanità e i settori dell’Energia & Utility. Le nuove reti mobili, inoltre, promettono di imprimere un impulso formidabile per l’avanzamento dei servizi di comunicazione di particolare rilevanza sociale come quelli di emergenza e di pubblica sicurezza. Utilizzando il 5G gli operatori di telecomunicazione possono quindi puntare a diventare molto più che realizzatori della nuova rete, ponendosi come veri e propri abilitatori e creatori di nuovi servizi.
Affinché questo scenario si affermi nella realtà italiana con la velocità necessaria a colmare il ritardo rispetto ad altri Paesi, fondamentale è avere un contesto regolatorio e istituzionale favorevole.
Gli ingenti investimenti necessari per lo sviluppo delle nuove reti non sono sostenibili senza ricorrere al mercato dei capitali, i quali vengono attratti da quei territori governati da un quadro normativo stabile, chiaro, snello, in grado di fornire agli investitori certezze sulle condizioni di realizzazione degli interventi e sulla loro efficacia. La concorrenza sul mercato dei capitali riguarda tutti gli operatori europei e le condizioni normative influiscono non solo sullo sviluppo dei piani d’investimento nazionali, ma anche sulla possibilità di attrarre investimenti esteri sulla rete a banda ultra larga nel nostro Paese.
Nel recente passato sono stati emanati significativi provvedimenti normativi a supporto dello sviluppo delle reti mobili. Molto importante è stato il completamento da parte del Ministero dell’Ambiente delle Linee Guida previste dal Decreto “Crescita 2.0” del 2012, con cui la rilevazione delle emissioni elettromagnetiche viene portata dalla media su 6 minuti alla media delle 24 ore. La nuova norma consente di progettare le reti in tempi più rapidi e con modalità più efficienti. Agli inizi dello scorso giugno, inoltre, è stata firmata la Circolare dell’Agenzia delle Entrate attuativa dell’art. 12 del D.Lgs. 33/16, che esclude dall’accatastamento le stazioni radio base a partire dal 1° luglio 2016. Il prezioso lavoro fatto dall’Ufficio del Catasto semplifica l’esercizio delle reti radiomobili e delle torri di trasmissione. Ciò assicura un grado di maggior certezza al quadro regolatorio, rispetto al fatto che alcuni adempimenti amministrativi non si applicano agli operatori.
Sul fronte delle reti fisse, sia l’ultimo Rapporto Asstel (2016) che la relazione di Agcom hanno messo in evidenza la forte accelerazione subita dagli investimenti nell’infrastrutturazione a banda ultra larga, che sta consentendo di diminuire il gap accumulato rispetto ai principali Paesi Ue. Per gli Operatori TLC ciò comporta investimenti dell’ordine di 6,6 miliardi di euro l’anno, con un’incidenza sui ricavi del 21%, il valore più alto raggiunto da otto anni a questa parte.
In questo periodo come si è evoluto il contesto normativo nazionale? Innanzitutto ricordo che a marzo 2016 avevamo accolto con grande entusiasmo l’approvazione del D.Lgs. 33/16 di attuazione della Direttiva 2014/61/UE recante “misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”, su cui il Ministero dello Sviluppo Economico ha svolto un grande lavoro.
In quell’occasione avevamo affermato che si trattava di “un atto legislativo fondamentale con cui l’infrastrutturazione digitale del Paese viene sottratta alla possibilità di essere gravata di oneri e balzelli locali non dovuti, mentre vengono semplificate sostanzialmente le procedure burocratiche per la sua realizzazione”. In realtà, c’è ancora un po’ di strada da fare per conseguire questi obiettivi: la semplificazione e l’omogeneizzazione sul territorio delle prassi burocratiche che accompagnano le opere di infrastrutturazione rimangono un problema, che non potrà essere risolto solo per via normativa, ma richiede una collaborazione e un’assunzione di responsabilità da parte degli Enti Locali. Oggi ogni Ente si sente in diritto di interpretare la normativa, costringendo gli operatori nazionali a confrontarsi con interpretazioni, prassi e comportamenti spesso frammentati sul territorio. Come hanno rilevato la Corte dei Conti e lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico continuiamo ad avere tempi lunghi per il rilascio dei permessi, durata eccessiva dei procedimenti, che causano ritardi di realizzazione, dispersione di risorse e quindi aggravio di costi.
Come Asstel intendiamo avviare, in partnership con Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), un’iniziativa di dialogo con i territori per sensibilizzarli al problema e diffondere una corretta conoscenza delle buone pratiche già esistenti, attivando una concreta collaborazione con gli Operatori per rispondere alle esigenze degli Enti Locali.
Un ruolo importante è detenuto dall’Uni (Ente Italiano di normazione tecnica) che deve trasformare le prassi operative in vere e proprie norme tecniche di standardizzazione, così da poter ottenere in pieno l’effetto atteso dal D.Lgs. 33/16.
Lo stesso Decreto ha previsto la realizzazione del SINFI, il catasto delle infrastrutture presenti sul territorio sopra e sottosuolo. Questo costituisce uno strumento indispensabile per gli operatori per semplificare l’iter dei progetti, la condivisione delle infrastrutture, la loro pianificazione, la gestione dei permessi di scavo, le attività di manutenzione. In questi mesi sul tema abbiamo avviato un costruttivo dialogo con Infratel per cercare di giungere a un risultato positivo prima possibile, auspicando di ottenere uno strumento funzionale a tutti i gestori, che contenga anche i dati relativi alle infrastrutture degli Enti Locali e delle altre Utility. In questo modo riteniamo sia possibile superare i ritardi che sono stati registrati sinora.
Non possiamo, tuttavia, nasconderci che lo scarso utilizzo di Internet da parte di cittadini e soprattutto delle imprese, che nel nostro Paese permane uno fra i più bassi in Ue, continua a fare da sfondo negativo agli sforzi di investimento sulle infrastrutture a banda ultra larga fissa e mobile.
Portare l’Italia ai livelli di uso della rete Internet paragonabili a quelli dei principali Paesi europei continua perciò a essere un obiettivo cruciale. Riteniamo che il Piano Industria 4.0 possa costituire un fattore importante di incremento della domanda digitale da parte del sistema produttivo, a cui però dovranno essere affiancate azioni sistemiche sulla diffusione della cultura digitale e in particolare sulla formazione, qualificazione e riqualificazione dei lavoratori.
Proprio su quest’ultimo tema, nei giorni scorsi Asstel ha siglato un Accordo, il primo del genere in Italia, con Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) per affrontare congiuntamente le problematiche di occupazione e occupabilità derivanti dai processi di trasformazione digitale nella filiera delle TLC.
L’Accordo mira a rafforzare le politiche attive per il lavoro con misure integrate di formazione, riqualificazione e riconversione dei lavoratori. Fra le azioni previste vi sono interventi di formazione specialistica diretti a qualificare sia lavoratori del settore che giovani in uscita dai percorsi di studio, al fine di creare nuove figure professionali oggi di difficile reperimento sul mercato; percorsi di riqualificazione o riconversione delle professionalità a rischio obsolescenza, per agevolare i processi di trasformazione digitale delle imprese; percorsi di inserimento lavorativo attraverso la rete dei servizi per il lavoro pubblici e privati, e di supporto ai servizi di outplacement connessi alla ricollocazione professionale.
Siamo convinti che la formazione sia il motore dei processi d’innovazione.
Per questo riteniamo che vi sia l’esigenza di un progetto nazionale che miri ad aumentare l’occupabilità delle persone nel contesto della trasformazione digitale del Paese. A questo riguardo potrebbe essere utile contemplare l’istituzione anche di figure quali quella del “Tutor Digitale” che possono essere ricoperte da giovani nativi digitali talentuosi al fine di aiutare la digitalizzazione delle imprese italiane.
L’implementazione dei piani d’infrastrutturazione a banda ultra larga fissa e mobile, infatti, sta facendo emergere la necessità di nuove figure professionali e nuove competenze da parte delle aziende di telecomunicazione. L’Accordo con Anpal va proprio nella direzione di consentire ai lavoratori di essere pronti ad accompagnare l’evoluzione già in atto nella filiera. Riteniamo, infatti, che efficaci politiche attive del lavoro siano la chiave per promuovere l’incontro tra domanda e offerta e mettere tutti, lavoratori e imprese, nelle condizioni di cogliere al meglio le opportunità che il digitale offre al Paese. Il nostro auspicio è che quest’accordo possa diventare un riferimento per lo sviluppo di politiche attive anche negli altri Settori dell’economia italiana investiti dall’innovazione digitale.