cavi sottomarini

Australia e Giappone: nuova alleanza digitale nel Pacifico contro l’influenza cinese



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Australia e Giappone lanciano la Pacific Digital Development Initiative per rafforzare le infrastrutture digitali nelle isole del Pacifico. L’obiettivo è contrastare l’espansione cinese tramite investimenti in cavi sottomarini e cybersecurity, sostenuti anche dagli USA e altre alleanze regionali

Pubblicato il 24 ott 2024

Antonio Deruda

Docente, analista e consulente



alleanza australia giappone (1)

Australia e Giappone hanno recentemente rafforzato la loro collaborazione in ambito digitale lanciando la Pacific Digital Development Initiative (PDDI) con l’obiettivo di migliorare la connettività e la resilienza delle infrastrutture di Rete delle isole del Pacifico. In particolare, l’iniziativa vuole facilitare nuovi investimenti per la realizzazione di cavi sottomarini in fibra ottica, data center e strutture di sicurezza informatica. 

Gli obiettivi della Pacific Digital Development Initiative (PDDI)

L’accordo è stato formalizzato durante una riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa dei due Paesi e rientra tra le diverse mosse prese per rispondere alla crescente influenza della Cina nella regione, confermata da una diffusa dipendenza delle nazioni insulari dalle tecnologie all’avanguardia e a basso costo offerte negli ultimi anni da Pechino. 

La creazione del Cable Connectivity and Resilience Centre

Il governo di Canberra è senza dubbio quello più attivo nell’area e sta intensificando i suoi tentativi di stringere accordi con i Paesi limitrofi. Quest’estate il Ministro degli Esteri Penny Wong ha annunciato la realizzazione del Cable Connectivity and Resilience Centre che, grazie a un investimento iniziale di cica 12 milioni di dollari nei prossimi quattro anni, fornirà assistenza tecnica e formazione in tutto l’Indo-Pacifico, assisterà i governi delle isole nello sviluppo di progetti per nuovi cavi sottomarini e faciliterà un rapporto più stretto tra il settore privato e le amministrazioni pubbliche locali.

La creazione del centro, in cui lavoreranno funzionari e tecnici del governo australiano, si basa su un approccio che vede la fornitura di infrastrutture digitali alle nazioni insulari e il supporto al loro sviluppo tecnologico come azioni fondamentali per impedire alla Cina di stabilire una presenza più capillare nella regione.

La strategia del governo australiano e gli accordi sottotraccia con gli Usa

La strategia del governo guidato dal Premier Anthony Albanese ha come priorità quella di ripristinare il ruolo dell’Australia come “prima scelta” dei Paesi limitrofi alla ricerca di partner tecnologici per assecondare le loro esigenze di connettività. Compito non facile, dopo anni in cui Pechino si è mossa con spregiudicatezza, portando a casa partnership e contratti per la costruzione di importanti infrastrutture.

Ma l’Australia può contare su un alleato di peso: gli Stati Uniti hanno risposto all’intraprendenza cinese con una marcata ingerenza sulla realizzazione di vari progetti. Seppure si tratti spesso di attività sottotraccia, negli ultimi quattro anni sarebbero almeno cinque gli accordi riguardanti la costruzione e posa di cavi sottomarini nella regione Asia-Pacifico in cui il governo degli Stati Uniti è intervenuto per impedire al principale operatore cinese HMN Tech di aggiudicarsi gli appalti oppure ha forzato l’abbandono di progetti che prevedevano collegamenti via cavo diretti tra il territorio americano e quello cinese. Già nel 2020 le pressioni di Washington costrinsero prima Google e Meta a cambiare il percorso del Pacific Light Cable Network (PLCN) per evitare il territorio cinese e successivamente Meta e Amazon ad abbandonare il progetto di un cavo tra San Francisco e Hong Kong a causa della presenza del colosso di telecomunicazioni China Mobile International nel consorzio.

La barriera Usa contro l’avanzata cinese nella fibra sottomarina

Ma c’è un altro episodio rilevante che evidenzia l’intervento americano nel settore delle arterie digitali in quell’area. Nel giugno del 2021 HMN Tech era pronta ad aggiudicarsi la gara per un progetto internazionale lanciato dalla Banca Mondiale per la realizzazione di un cavo in fibra ottica, l’East Micronesia Cable, in grado di garantire connessioni veloci in alcune isole del Pacifico: Nauru, Kiribati e gli Stati Federati di Micronesia. Come spesso accade, HMN Tech era riuscita a presentare un’offerta economica molto più vantaggiosa rispetto ai concorrenti, oltre il 20% in meno di Alcatel Submarine Network (ASN) e di NEC.

L’affidamento della gara sembrava scontato, ma Washington si è messa di traverso, sollevando una serie di questioni di sicurezza, rese ancora più spinose dal fatto che la nuova arteria si sarebbe collegata al cavo sottomarino HANTRU-1, una linea utilizzata principalmente dal governo degli Stati Uniti per le comunicazioni con Guam, isola delle Marianne sotto il controllo americano e sede di una base militare che rappresenta un avamposto strategico nel Pacifico, soprattutto in chiave di risposta a un’eventuale invasione cinese di Taiwan. Non esistendo motivi formali per escludere HMN Tech, tutte le offerte sono state giudicate non conformi e il progetto è stato prima accantonato e poi, nel giugno del 2023, assegnato alla giapponese NEC. I timori americani sui possibili rischi per le comunicazioni della base di Guam si sono rivelati fondati. Nel maggio del 2023 Microsoft ha pubblicato un report nel quale si segnalava un attacco da parte di un gruppo hacker cinese alle strutture di comunicazione di Guam tramite un malware in grado di garantire un accesso esterno ai server locali.

La collaborazione con Giappone e Nuova Zelanda

Oltre a Washington, l’Australia può contare anche sulla collaborazione con Giappone e Nuova Zelanda, formalizzata nel giugno del 2022 con la creazione del PBP (Partners in the Blue Pacific), un consesso regionale che ha tra i suoi scopi quello di rafforzare i rapporti con le isole del Pacifico in numerosi ambiti, dalla sicurezza marittima ai trasporti, dal cambiamento climatico alla connettività. Su quest’ultimo ambito l’obiettivo di tenere lontana la Cina dalle infrastrutture di Internet era già emerso con chiarezza negli anni precedenti. Nel 2018 il governo di Canberra aveva infatti deciso di tagliare fuori l’allora Huawei dalla costruzione e posa di un cavo sottomarino per collegare le isole Salomone e la Papua Nuova Guinea. Per farlo l’Australia aveva accettato di sostenere gran parte dei costi, stanziando un investimento di quasi 100 milioni di dollari, affidando i lavori alla società ASN e facendo saltare l’accordo che Huawei aveva già raggiunto con le isole del Pacifico per realizzare il cavo.

I futuri investimenti nel Pacifico con Google capofila

A fine 2023 il Presidente americano Joe Biden ha ospitato alla Casa Bianca il Premier australiano Anthony Albanese e insieme hanno annunciato un investimento di 65 milioni di dollari per due nuovi cavi nel Pacifico: Honomoana, che collegherà gli Stati Uniti e l’Australia alla Polinesia francese, e Tabua, che unirà i due alleati alle Fiji. La realizzazione di entrambi i cavi è stata affidata a un consorzio guidato da Google, che proprio lo scorso maggio ha annunciato la realizzazione di Umoja, il primo cavo che collegherà l’Africa con l’Australia. Un ingente investimento che conferma la centralità strategica dell’Australia nello sviluppo delle nuove infrastrutture digitali globali.

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