È andata molto bene alla finanziaria 2012 quando l’asta per le frequenze, prevalentemente per la banda 800, ha dato alle casse dello Stato introiti da 4 miliardi di euro. Un incasso stellare, al di sopra delle aspettative, il più alto di tutti gli Stati membri. Un primato che non ha fatto del bene al settore delle telecomunicazioni, che ancora oggi sta risentendo di quell’investimento tanto imprescindibile quanto esagerato. 4 miliardi di euro sborsati da 4 operatori, tutti i principali attori del mercato TLC italiano. Un dato importante: nessun nuovo operatore ha pensato di investire in questo mercato già troppo affollato.
A oltre due anni di distanza, gli investimenti dei quattro operatori sono concentrati in alcune aree del Paese ad alta densità o non sono partiti affatto. Fatta eccezione per quelli dovuti come copertura obbligatoria richiesta dal bando di gara, dei quali però non si vedono pienamente gli effetti.
Le aste delle frequenze hanno spesso aiutato le finanze dei Governi. Nel 2000 la gara per le frequenze UMTS è andata bene per il Governo – 26.750 miliardi di lire – ma un po’ meno bene per il mercato che ha impiegato anni prima di sfruttare l’investimento. La gara per il wimax è stata, invece, un’operazione a sorpresa: buon incasso per il Governo, 136 milioni di euro, bagno di sangue per gli operatori lasciando solo pochi sopravvissuti che, però, oggi possono utilizzare le frequenze 3.5 anche per il servizio LTE, un’inaspettata evoluzione tecnologica che sta cambiando il futuro della banda ultralarga mobile. Il dilemma è antico: privilegiare la politica finanziaria o quella industriale? Glli Stati che vogliono passare all’incasso si dimenticano di fare una seria politica industriale penalizzando lo sviluppo del paese.
Questa potrebbe essere però la prima volta che lo spettrofrequenziale delude il ministero dell’Economia e delle Finanze: la stima di 0,6 miliardi di euro di incasso sembra davvero troppo ottimistica. Il rischio di saturazione della rete mobile è ancora lontano perché gli operatori si scatenino, con la stessa risolutezza e determinazione del passato, per accaparrarsi le frequenze in banda L – 1452-1492 MHz – che un anno fa il CEPT con la decisione “ECC/DEC/(13)03 on the harmonised use of the frequency band ha destinato al Mobile/Fixed Communications Networks Supplemental Downlink. Per invogliare nuovi investimenti quindi serve qualcosa che stimoli l’appetito perché il mercato non ha ancora fame… ma cosa può attirare nuovi investimenti per 600 milioni di euro?
L’asta è un gioco a informazione incompleta, ma quest’asta ha per ogni ipotesi un numero dei possibili partecipanti sempre inferiore al numero dei lotti a disposizione: difficile quindi che si scateni un meccanismo a rialzo, dettato da un gioco a carte coperte. Considerando che la banda L sono solo 40 MHz e che è la contiguità di frequenza a dare potenza, non è pensabile suddividere questa banda a blocchi di 5 o 10 mhz, perché le prestazioni offerte non sarebbero appetibili. O lo sarebbero per operatori disposti a spendere poco. A blocchi di 20 MHz, invece, la banda L potrebbe essere sufficientemente interessante, ma in questo modo sarebbero solo due gli operatori beneficiari. E sul mercato non sarebbero più di due nemmeno gli operatori interessati a partecipare, considerando che due arrancano a implementare la rete LTE e che quindi non saranno interessati a investire nuovamente per potenziarne gli effetti. Dunque, nessuna asta al rialzo anche in questo caso.
Con solo due operatori in gara non funzionerebbe nemmeno il meccanismo inverso, ovvero porre, al contrario, una base d’asta molto alta – 0,6 miliardi di euro per esempio – perché ciò condurrebbe facilmente a un’asta deserta per far scendere il valore di base.
Un investitore straniero sarebbe una bella novità, ma chi potrebbe essere interessato ad affrontare un costo così alto per entrare nel mercato italiano, considerando che non è con la banda L che si può partire a costruire una nuova rete e che comunque l’investimento sarebbe ingente per entrare in un mercato già saturo, perché oltre ai 600 milioni di euro di base d’asta, dovrebbe anche affrontare i costi di implementazione della rete?
Insomma, è forte il rischio di vedere irraggiungibile una delle fonti di finanziamento della legge di stabilità 2014: i 600 milioni di euro dichiarati a valere sulla banda L sembrano un azzardo. Spero di sbagliarmi: in ogni caso le frequenze si potevano utilizzare per fare un po’ di politica industriale “scambiandole” con gli operatori Telco a fronte di investimenti certi nelle zone di digital divide sulla banda ultralarga.
@rlehnus