Il tema dello sviluppo della banda larga nel nostro paese riemerge periodicamente nel dibattito tra gli opinion makers e i politici. Ciò è in parte causato dagli eventi che coinvolgono le società del settore, come per esempio, l’annuncio di Sawiris di voler acquisire una quota in Telecom Italia. Ma vi è anche una crescente consapevolezza del fatto che lo sviluppo della banda larga e delle reti di nuova generazione (NGN) deve essere considerata una priorità del paese.
In questo contesto, quali sono gli snodi essenziali che devono essere risolti per avviare un convincente percorso di sviluppo della banda larga e delle NGN in Italia? In realtà di questi temi si è discusso a lungo e, senza dubbio, negli ultimi mesi su alcuni di essi si sono compiuti dei passi in avanti, testimoniati per esempio dal dibattito che in queste settimane si è sviluppato sulla questione della separazione della rete. Per altri, invece, esistono ancora incertezze o forti differenze di vedute che andrebbero smarcati una volta per tutte.
Viene prima la domanda o l’offerta?
Molti sostengono che l’investimento in reti sarebbe inutile nel momento in cui mancasse una domanda di imprese, famiglie e pubbliche amministrazioni che fosse in grado di produrre il necessario ritorno degli investimenti. Ovviamente, non ha senso costruire una rete che nessuno utilizza (o che fosse fortemente sottoutilizzata). Ma l’esperienza di questi anni e di altri settori assimilabili alle reti (per esempio, le grandi infrastrutture di trasporto) suggeriscono che 1) in mancanza di infrastrutture la domanda non riesce ad esprimersi ed articolarsi e 2) non esistono “killer applications” che di per se stesse giustifichino la realizzazione di reti, ma è l’insieme degli utilizzi dell’infrastruttura che definisce “la” killer application. Lo sviluppo di infrastrutture è un elemento abilitante che libera energie e idee a priori non sempre prevedibili e quantificabili. Non è quindi possibile aspettare lo sviluppo completo della domanda per promuovere gli investimenti in reti: sarebbe un circolo perverso che ci condannerebbe all’immobilismo.
Competizione infrastrutturale o separazione della rete?
Come si può investire in reti? Lo sviluppo di una moderna rete NGN in fibra ha costi dell’ordine delle decine di miliardi di Euro. È pensabile che gli operatori possano competere a livello infrastrutturale come è accaduto nel caso delle reti mobili? In realtà, visti i livelli di investimento previsti, appare sempre più evidente che in gran parte del territorio del paese le reti di telecomunicazione (specialmente quelle fisse) costituiscono un monopolio naturale simile ad altre grandi infrastrutture come le reti ferroviarie e quelle di distribuzione dell’energie o del gas. Pertanto, ha senso immaginare una separazione strutturale della rete e la sua gestione da parte di una società che la “affitti” con parità di accesso a tutti gli operatori interessati (si veda quanto scrivevo nel 2008 su LaVoce.info: Telecom Italia in un mercato che cambia).
Pubblico o privato?
Chi deve realizzare le reti? Ha senso che ci sia un intervento del pubblico? Se la rete in banda larga e in prospettiva le NGN sono una infrastruttura critica per il paese, credo sia indubbio che il pubblico debba accertarsi che esse vengano sviluppate. Se tale sviluppo non potesse essere portato avanti dal mercato in forma totalmente autonoma, proprio perché le reti sono una infrastruttura vitale per il paese, il pubblico dovrebbe intervenire. In quale modo? Certamente senza distorcere il mercato e senza sostituirsi ad esso. Si possono ipotizzare almeno tre aree di possibile intervento:
1. Un programma di intervento normativo e giuridico che, all’interno delle iniziative europee e internazionali, definisca regole e norme che promuovano lo sviluppo delle reti, la loro diffusione nel paese e un nuovo insieme di tutele e diritti per gli utenti (cittadini, imprese, la società in generale).
2. Interventi mirati per colmare il digital divide nelle zone a fallimento (parziale o totale) di mercato. Questi interventi devono contribuire alla creazione di infrastrutture che non avrebbero di per se stesse una piena sostenibilità economica, garantendone peraltro parità di accesso a tutti gli operatori presenti sul mercato.
3. Una strategia di realizzazione delle NGN che metta insieme risorse pubbliche e private al fine di condividere gli investimenti. Ipotesi come quelle di cui si discute in queste settimane e che vedono l’intervento della CDP per la creazione di una “società per la gestione della rete in fibra” vanno in questa direzione.
Fisso o mobile?
Con lo sviluppo delle nuove reti mobili ad alta velocità (LTE) e dello stesso WiFi, molti sostengono che tutto sommato non ci sia più bisogno della rete in fibra o comunque wireline. Non è così o, per lo meno, non lo è per grandi parti del territorio.
· In primo luogo, le reti mobili hanno bisogno della fibra per l’interconnessione delle stazioni e delle antenne presenti sul territorio con le dorsali.
· In secondo luogo, lo spettro messo a disposizione di ogni antenna di una rete mobile è suddiviso tra tutti i dispositivi che ad essa si collegano. Per cui la banda a disposizione del singolo rimane limitata.
· In terzo luogo, le imprese, le scuole, le università, in generale tutte le strutture minimamente complesse hanno – e, in prospettiva, avranno sempre più bisogno – di una banda che necessariamente può essere offerta solo da connessioni wireline di tipo NGN.
· Peraltro, le reti wireless sono indispensabili per gestire l’utente in mobilità e possono certamente contribuire con soluzioni economicamente conveniente alla risoluzione dei problemi di digital divide in quelle aree del territorio dove lo sviluppo di una rete wireline sarebbe eccessivamente costosa.
Per questi motivi, non ha senso contrapporre reti wireless e wireline. Entrambe le tipologie di reti sono necessarie e entrambe, in funzione delle specifiche caratteristiche e peculiarità, possono e devono contribuire al soddisfacimento dei bisogni dell’utenza.
Fibra o rame?
Un altro elemento di discussione è quello relativo alla contrapposizione fibra-rame: ha senso investire in fibra oppure il rame, come si usa dire, ha ancora una “lunga vita”?
Indubbiamente, il futuro è in fibra, sia perché la fibra garantisce prestazioni e possibilità di evoluzione con le quali il rame non è in grado sul lungo periodo di competere, sia perché i costi operativi di gestione per la fibra sono inferiori e molto competitivi rispetto al rame. Se a questo si aggiunge che tutte le reti di back-hauling e le dorsali devono già necessariamente essere in fibra, ci si rende conto che, al di là di transitori più o meno lunghi, il futuro pare inevitabilmente orientarsi, certamente per le zone a maggiore densità abitativa e per le imprese, verso uno scenario completamente dominato da reti wireline in fibra.
Integrazione verticale o stratificazione orizzontale?
Un ultimo tema largamente dibattuto è quello del rapporto tra fornitori del servizio di trasporto e “over the top” (OTT). Questi ultimi (es., Apple e Google) utilizzano le reti per offrire i loro servizi. Agli albori dello sviluppo delle reti di telecomunicazione, i servizi erano offerti all’interno di walled garden integrati verticalmente dall’operatore telefonico che gestiva in modo completo l’offerta verso il cliente. Internet intrinsecamente realizza un approccio diverso: la rete trasport bit il cui significato è conosciuto da chi li genera (i fornitori di servizi) e da chi li utilizza (gli utenti e i loro terminali). Di fatto quindi si ha un ribaltamento di paradigma, con un stratificazione orizzontale nella quale si possono identificare una nuova classificazione degli attori:
1. Fornitori di apparati, tecnologie e servizi di sviluppo delle infrastrutture (es., Alcatel-Lucent).
2. Gestori delle infrastrutture fisiche (es., Metroweb).
3. Operatori telefonici che offrono servizi di trasporto fisso e mobile (es., Telecom Italia).
4. Fornitori di servizi applicativi (es., Apple, Google, Amazon, o le società italiane che offrono servizi simili come le case editrici).
Certamente, il rapporto tra questi diversi attori deve essere rivisto per far si che che ci sia una corretta distribuzione del valore tra tutti gli attori. Ma ciò non può avvenire negando principi importanti a tutela dell’utente come, per esempio, la neutralità della rete e la libertà di scelta dei fornitori di servizi applicativi da parte del consumatore. È un tema molto complesso sul quale indubbiamente sono necessari molti approfondimenti, a cominciare da una revisione ed un ripensamento dei modelli di peering oggi in uso nel mondo degli operatori.
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