Banda larga, Italia al palo. Ripartire dall’Agenda

Dopo la forte crescita negli anni compresi tra 2008 e 2010, si registra nel nostro Paese un pesante rallentamento nei tassi di crescita della connessione delle abitazioni alla banda larga, secondo uno studio presentato oggi da I-Com. Già tra il 2013 e il 2014 anche Bulgaria e Romania, oggi le ultime in classifica su questo indicatore, sopravanzeranno l’Italia. Buoni segnali vengono dall’Agenda digitale e dagli investimenti pianificati sulle reti. Ma non bastano

Pubblicato il 11 Dic 2013

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

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Rispetto agli obiettivi dell’Agenda digitale sempre più ravvicinati e quindi sfidanti, non è più il tempo di chiedersi se debba essere la domanda ad attirare l’offerta di banda larga e ultralarga o il viceversa, una delle costanti principali dei dibattiti degli ultimi anni. Lo dimostrano inequivocabilmente i dati contenuti nel Rapporto I-Com 2013 su reti & servizi di nuova generazione, ultimo di una lunga serie di studi che descrivono trend simili.

Dopo la forte crescita negli anni compresi tra 2008 e 2010, si registra infatti nel nostro Paese un pesante rallentamento nei tassi di crescita della connessione delle abitazioni alla banda larga. Se le tendenze degli ultimi anni dovessero essere confermate, è facile prevedere che già tra il 2013 e il 2014 anche Bulgaria e Romania, oggi le ultime in classifica su questo indicatore, sopravanzeranno l’Italia.

Basti pensare che tra le Regioni italiane, inclusa la Provincia di Trento, nessuna fa meglio dell’Europa a 28 (72%). Se fosse una nazione europea, la provincia di Trento si collocherebbe al diciannovesimo posto, dietro Lettonia e Polonia e appena sopra Repubblica Ceca e Cipro mentre la Lombardia, locomotiva economica di un Paese che fa parte del G8, sarebbe ventiduesima, a pari merito con la Lituania ma dietro Cipro.

Il digital divide tra Nord e Sud va letto in questa chiave di mediocrità complessiva.Tutte e 6 le regioni del sud fanno peggio del peggior performer europeo (la Romania). In particolare, preoccupa la quasi completa stagnazione di Calabria, Molise e Campania, che negli ultimi due anni sono cresciute di pochi punti o frazioni di punto, segno che siamo in presenza di una barriera difficile da scalfire in assenza di uno sforzo straordinario di tutti.

Quel che preoccupa e’ anche la velocità delle connessioni broadband. Tranne Cipro, l’Italia e’ il paese con la minore percentuale di connessioni superiori a 10Mbps, che non raggiungono neppure il 15% del totale (contro una media europea del 59,2%).

E anche nel mobile, le performance non sono più rosa e fiori come un tempo, tali da controbilanciare le spine del fisso.

Considerando infatti i device, smartphone e tablet, oltre a SIM Card e connect card, l’Italia si colloca leggermente sotto la media europea (52% contro 54%), appena sopra Cipro e Grecia.

L’Europa mostra forti ed importanti segni di crescita verso gli obiettivi dell’Agenda Digitale, ma in questo percorso l’Italia continua ad accumulare ritardo, come testimonia l’IBI 2013 (I-Com Broadband Index), un indicatore sintetico delle performance in diversi settori dello sviluppo della banda larga, che vede l’Italia attestarsi al terzultimo posto, davanti a Grecia e Cipro, con uno score pari a quasi metà di quello del leader della classifica, la Svezia (vedi la tabella qui sotto).

In questo contesto critico, le indicazioni che vengono dal mercato sono però incoraggianti, sia dal lato dell’offerta che delle domanda di infrastrutture.

Pur in un momento di crisi, gli operatori italiani delle telecomunicazioni hanno ripreso ad investire in maniera importante nelle reti di nuova generazione, sia fisse che mobili e se il 2013 è da considerarsi come un anno di svolta in termini dei piani presentati dai player del mercato, il 2014 si annuncia come un anno decisivo per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi fissati, e potrebbe segnare una svolta nella rincorsa dell’Italia verso gli obbiettivi del 2020.

Anche nei quattro settori individuati nel rapporto I-Com (bancario, assicurativo, trasporti e grande distribuzione), il quadro appare in evoluzione, anche se i dati relativi agli investimenti in tecnologia da parte di questi settori denunciano alcune difficoltà. Secondo le rilevazioni di Assinform, il settore bancario è quello che investe maggiormente in ICT, con 6,4 miliardi nel 2012, davanti a quello della distribuzione (4,3 miliardi), viaggi/trasporti (2,2 miliardi) ed assicurazioni (1,7 miliardi). Tuttavia, solo quest’ultimo risulta in incremento rispetto all’anno precedente, mentre gli altri settori registrano cali, anche di un certo rilievo in alcuni casi.

Tuttavia, lo sviluppo dei servizi prosegue seguendo alcune chiare direttrici. Su tutti, il driver che si pone all’attenzione è quello del mobile in generale e dei mobile payments in particolare, trainati dalla penetrazione sempre maggiore dei device.

Questi dispositivi diventano strumenti fondamentali per compiere operazioni chiave in diversi settori, dal loro utilizzo per effettuare operazioni bancarie, all’acquisto di titoli di trasporto (mobile ticketing) sia per la lunga percorrenza, sia per il trasporto locale, o in generale per effettuare acquisti, anche grazie alle innovative modalità contactless, che permettono una maggiore semplificazione delle transazioni fino all’utilizzo dei cosiddetti mobile wallet.

Anche la diffusione dei social network costituisce una straordinaria opportunità per lo sviluppo di nuovi servizi, soprattutto in chiave di empowerment dei clienti, specie nel settore bancario. In primo luogo, questi servizi consentono una maggiore e migliore comunicazione degli utenti con le imprese, nonché degli stessi utenti tra di loro, permettendo più semplici comparazioni e benchmark. In secondo luogo, consentono di compiere più rapidamente diverse operazioni. In questo senso, l’indagine condotta da ING su Mobile Banking, Social Media e Financial Behaviour ha dimostrato un posizionamento dell’Italia migliore rispetto alla media europea per quanto riguarda l’uso dei social network come canale di contatto con la banca, specialmente per decidere di cambiare banca (39% contro una media del 27%) o mutuo (26% contro una media del 22%).

Quel che è certo è che il matrimonio tra nuove tecnologie e settore privato è solo all’inizio ed ha ancora notevoli margini di crescita. Alcuni ambiti di sviluppo, infatti, non appaiono ancora sfruttati appieno, anche in ragione della necessità di migliorare la qualità delle reti e la loro performance. Si pensi, ad esempio, a quanto avviene nel cloud, che fino a questo momento è rimasto un capitolo di investimento ancora non centrale da parte delle imprese italiane, in diversi settori, ma che ha grandissime potenzialità di sviluppo. Diverse indagini, infatti, illustrano come a livello mondiale gli investimenti a livello mondiale in cloud sono destinati ad un fortissimo aumento. Secondo Gartner, ad esempio, entro il 2015, il 39% delle transazioni sarà supportato dal cloud. Questi studi evidenziano come la crescita dei prossimi anni riguarderà sia la modalità Saas (software as a service) che quella Naas (network as a service), con una importante migrazione di dati ed operazioni verso il cloud e lo sviluppo di piattaforme virtualizzate e sistemi M2M (machine-to-machine). O si pensi, ancora, a quanto avviene per le polizze assicurative che utilizzano le black box, che consentono una migliore gestione del rischio con maggiore efficienza per le compagnie e risparmi per il cliente, sebbene in questo settore le resistenze opposte dagli utenti principalmente per motivi di privacy sembrano sempre più lasciare il posto ad atteggiamenti più favorevoli. In due anni, secondo i dati Assinform, la percentuale dei contrari si è ridotta dal 29 al 17%, mentre quella dei favorevoli, a patto di nuovi sconti, è salita dal 25 al 38%.

Come dimostra il Rapporto, analizzando sia il lato dell’offerta cje quello della domanda (in particolare legata a servizi privati), la rincorsa dell’Italia agli obiettivi dell’Agenda Digitale non è quindi un mero e vacuo esercizio o la necessità di uniformarsi a parametri più o meno imposti dall’Unione. Si tratta di una necessità imprescindibile per cogliere straordinarie opportunità di sviluppo, opportunità di business per le aziende ed opportunità di qualità della vita significativamente migliore per il cittadino/consumatore. Il ritardo che i dati riportati nel Rapporto illustrano non deve essere vissuto come handicap, ma come stimolo per un nuovo slancio. Né la crisi può essere usata come alibi per ripiegare verso atteggiamenti più conservativi, ma può al contrario rappresentare un’occasione affinché siano i nuovi servizi basati sulle reti di nuova generazione a ridare all’economia lo slancio necessario. Occorrono investimenti, ma per questo è indispensabile, specialmente in questa congiuntura, che si creino le condizioni per effettuarli.

Nell’ultimo anno e mezzo, la politica ha cercato di costruire un assetto normativo in grado di migliorare le condizioni per la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale italiana. L’azione del nuovo governo, in continuità con quello precedente, si sta concentrando su alcuni snodi importanti – anagrafe e documento digitale e conseguente interoperabilità e circolazione dei dati, semplificazione burocratica per cittadini e imprese – per i quali ha disegnato un’articolata architettura di governance del digitale.

Tuttavia, in attesa che questi primi importanti passi siano seguiti da un’attuazione quanto più rapida e coerente, occorre anche incoraggiare gli investimenti dei privati nelle reti e nei servizi, attraverso un monitoraggio costante dei risultati e incentivando i cittadini e le imprese a diventare sempre più digitali, al passo con le loro controparti europee. Solo con uno sforzo maggiore di quello attuale o degli ultimi anni, potremo pensare davvero di recuperare il gap con il resto d’Europa. Altrimenti l’inerzia ci condannerà alle posizioni di coda. Dove per la verità già siamo.

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