Il traffico dati mobile continua a crescere; Ericsson, ha effettuato una analisi deli traffico dati e voce da telefoni cellulari dal Q1 2011 al Q1 2016. Secondo Ericsson, la crescita del traffico dati da telefoni cellulari e’ in incremento esponenziale, ed è causata sia da maggiori abbonamenti di smartphone, sia da un continuo aumento del volume medio di dati per abbonato; alimentato principalmente da un forte incremento delle visualizzazioni di contenuti video. VoIP è inclusa nel traffico dati.
In sintesi, Il traffico dati è cresciuto di circa il 10 per cento trimestre su trimestre e del 60 per cento anno su anno. Va notato che vi sono grandi differenze nei livelli di traffico tra mercati, regioni e operatori.
Il traffico totale di dati mobile è previsto da Ericsson in aumento a un tasso di crescita annuale composito (CAGR) di circa il 45 per cento. Ciò si prevede si tradurrà in un aumento di dieci volte in traffico totale per tutti i dispositivi entro la fine del 2021.
Ce la faranno le reti a reggere ?
Ovviamente non possiamo dirlo con certezza; possiamo però dire che gli stakeholder si stanno dando da fare per fronteggiare le possibili emergenze di sovraccarichi; anche se, come vedremo, in maniera per alcuni discutibile.
Parliamo innanzitutto di frequenze. Definire “accaparramento” quello che sta succedendo è dir poco:
Il comparto della telefonia cellulare ha perseverato negli anni ad insistere nella necessità di ampliare le gamme di frequenze a propria disposizione a causa del previsto enorme aumento del traffico, soprattutto video. E l’azione di pressione ha funzionato bene: oltre alle bande L e C, assegnate di recente al mobile come “bande di rinforzo”, la WRC di ITU ha assegnato al mobile anche la cosiddetta “banda d’oro” , quella di 700 Mhz, togliendola ai broadcasters. I quali potranno usare la banda sotto i 700 Mhz (470-694MHz) ; ma solo per altri 10 anni. In questa azione di sensibilizzazione hanno poi anche avuto l’opportunità di fare leva sulla UE che, a mezzo della Digital Agenda for Europe, stabilisce che tutti i cittadini europei debbano avere accesso a connessioni ad alta velocità entro il 2020. E, poiché le reti cellulari sono sicuramente considerabili infrastrutture ideali per coprire, con collegamenti dati ad alta velocità, dove le reti fisse stentano ad arrivare, la stessa UE ha fortemente raccomandato ai paesi membri di pianificare per dare al mobile la banda 700 Mhz togliendola alla DTT, entro, appunto, il 2020. (Teniamo presente che, la telefonia mobile detiene già, storicamente, le bande 800-900-1800-2600 Mhz per GSM, UMTS, 4G, LTE ecc.).
Già molte nazioni, inclusa Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Portogallo, Svezia e UK, hanno seguito le indicazioni UE, dichiarando di poter pianificare di mettere a disposizione delle reti cellulari la banda dei 700 Mkz entro la fine del 2020. I nostri broadcaster, anche se vedono la tecnologia DVB-T2 (che dovrebbe essere utilizzata qualora abbandonassero i 700 Mhz) molto più indicata per le trasmissioni in HD o Ultra HD, vorrebbero invece temporeggiare, e spostare lo switch-off al 2022. E più appresso ne sono indicati i motivi.
Anche la politica italiana pare d’accordo nel ritardare la data: la Commissione Trasporti della Camera, allineandosi alle decisioni del Senato, ad aprile comunicava “risulta opportuno ritardare per un massimo di due anni il termine previsto dalla Ue per la liberazione delle frequenze 700 Mhz, da destinare agli operatori mobili”. Solo ANITEC spinge per il 2020.
Forse si sta guardando dalla parte sbagliata
In realtà, per alcuni, si sta guardando dalla parte sbagliata: si sta cercando di rafforzare, con l’accaparramento delle frequenze, le reti mobili; mentre questo traffico in esplosione andrà, sempre di più, verso le reti fisse: cioè, anche se generato da terminali mobili, andrà verso Internet usando il WiFi.
Il WiFi è già ora, infatti, per molti, la connessione preferita ad Internet. L’utente, in generale, se deve scaricare dati dal suo cellulare, preferisce il WiFi. Lo preferisce perché la qualità del download è spesso migliore e, soprattutto perché il costo è inferiore. L’incremento di traffico dati su WiFi, proveniente da cellulari, è in forte incremento: nel dicembre 2015, ad esempio, l’Ofcom ha riportato che il traffico medio per hotspot del sistema inglese pubblico di WiFi era di 73 Gb, un incremento del 35% rispetto all’anno precedente. A quel tempo Ofcom dichiarava anche che circa il 50% del traffico dati/mobile già era convogliato su accessi WiFi.
Teniamo presente che, per merito di questo fatto, oltre a tutte metodologie “creative”, e ne vedremo alcune, messe in opera sul tema del WiFi da alcuni MVNO, gli stessi operatori principali, sia fissi che mobili, usano o useranno, sempre di più, il WiFi ; come “estensione” o addirittura come “alternativa” cellulare. Vediamo alcuni esempi:
WiFi come alternativa al cellulare.
Un esempio è un servizio disponibile negli USA da parte di un OTT: esso mette in collegamento il cellulare con le reti WiFi accessibili senza password; e collega alla rete cellulare solo quando il segnale WiFi non è forte abbastanza. Questo servizio contempla lo switch con qualsivoglia rete WiFi (sia a casa che in luoghi pubblici), sfruttando così ogni singola risorsa disponibile per ottimizzare la gestione del traffico sul terminale. La grande novità sta però in uno storico accordo con due tra i principali carrier statunitensi: Sprint e T-Mobile. L’appoggio dei carrier è infatti la chiave di volta del progetto poiché consente all’OTT di mantenere la propria promessa di “always-on” .
Alcuni operatori fissi e mobili, poi, stanno mettendo in campo “community networks” a livello globale; che prevedono che gli utenti sottoscrittori mettano a disposizione il loro accesso WiFi, in cambio dell’accesso a quello degli altri partecipanti, in tutto il mondo. Il risultato è un po’ un uovo di Colombo: utilizzando gli access points WiFi dei suoi clienti, un operatore può mettere in campo, senza particolari investimenti, una rete a larga banda globale. Il servizio in generale è gratuito; chi condivide la propria connessione ha diritto ad usufruire della connessione degli altri iscritti. Il guadagno dell’operatore proviene da pacchetti a pagamento per chi non ha la possibilità di condividere la propria connessione, ma vuole usufruire di quella degli altri. Utopia ? Mica tanto, considerando che, usando questo approccio, alcuni operatori hanno già oggi decine di milioni di hotspot sparsi nel mondo.
WiFi come estensione del cellulare
Gli operatori mobili hanno un approccio diverso: innanzitutto molti forniscono l’accesso WiFi nei loro pacchetti-dati, proponendo anche un router WiFi domestico, per chi non lo avesse. La convenienza economica è interessante: secondo la società di consulenza Senza Fili, il “cost of ownership” del WiFi è solo del 10% rispetto al 3G e del 43% rispetto al 4G.
Non solo: alcuni operatori, non forniscono solo il router per il collegamento domestico, ma già, in alcuni paesi, mettono a disposizione, a livello geografico, i loro hotspot WiFi; con commutazione automatica da cellulare a WiFi. Un esempio è Singtel , di Singapore.
Un altro bell’esempio è quello di Sprint, negli USA, che si è alleata con il provider WiFi Boingo, per scaricare su WiFi il traffico Sprint degli aeroporti. Ebbene, dopo un anno, Sprint ha riportato che 22 milioni di suoi clienti hanno cominciato ad usare regolarmente la rete WiFi di Boingo negli aeroporti; e questo numero è previsto crescere a 40 milioni nell’anno successivo. Sotto il punto di vista dei dati trasmessi, Boingo parla di 300 Mb per sessione/cliente nel 2016, contro i 35 Mb trasmessi prima dell’accordo con Sprint.
E la voce ? Beh, T-Mobile, dall’anno scorso, permette ai suoi utenti di utilizzare servizi voce su WiFi anche senza SIM.
La sintesi di questo discorso, in prospettiva, sicuramente risiede nella qualità di servizio che il WiFi possa garantire nel futuro. La sua convenienza è indiscutibile: usare una rete fissa al posto di una mobile per scaricare dati (e video) è sicuramente meno costoso. Se anche la qualità è la stessa, o addirittura migliore, la partita volge ovviamente a favore del WiFi.
Ma c’è un fatto aggiuntivo rispetto a costi e qualità: l’inserimento dell’opzione WiFi dà la possibilità di commutazione intelligente sulla migliore rete disponibile al momento. La decisione di commutazione si può basare sul tipo di terminale, la località, la tipologia di abbonamento, la disponibilità di vari tipi di reti a velocità (e costi) diversi. Inoltre, con la maggiore disponibilità di “community networks” WiFi, il fornitore del servizio può anche “tappare i buchi” della sua rete cellulare in località remote; e può gestire il carico della sua rete cellulare con un capacity management più efficace e a costi contenuti.
Al cliente non interessa quale rete stia usando, e non vorrebbe neanche preoccuparsi di dover smanettare il proprio smartphone per trovare una rete che, di volta in volta, faccia al caso suo. Se i fornitori di servizi saranno in grado di garantire ciò utilizzando il WiFi al meglio, in maniera seamless; allora c’è una enorme opportunità di abbassare i costi di rete e migliorare la soddisfazione del cliente. Anche a fronte di astronomici aumenti del traffico dati; e senza necessariamente richiedere nuove frequenze.
E quanto detto a questo punto dovrebbe quindi metterci l’animo tranquillo sul fatto che, col WiFi o senza, questo enorme aumento di traffico dati da cellulare, verrà gestito al meglio. Però magari con esborsi altissimi, da parte degli operatori, per l’aggiudicazione delle frequenze e per i costi di investimenti necessari a sviluppare le reti cellulari e WiFi; e, da parte dei broadcasters, per commutare le infrastrutture TV da una frequenza all’altra . (Dovendo magari anche chiedere al proprio cliente di cambiare televisore).
Ma siamo sicuri che questo enorme aumento di traffico non sia sovrastimato ?
I dubbi ci sono; e la prima ad averli sollevati è stata la EBU (European Broadcasting Union), che comprende una novantina di membri di tutte le nazioni europee; più membri associati di USA, Canada, Cina, India. Ebbene, l’anno scorso questa associazione ha pubblicato una ricerca dal titolo illuminante; che suona più o meno così :”Per produrre statistiche sul traffico dati mobile, si deve usare la matematica; non le sfere di cristallo, o le foglie di tè”. Tale ricerca ha contestato completamente i dati di crescita sottoposti al WR-15 dal comparto del mobile; criticandone non solo i presupposti, ma anche la metodologia matematica usata. La conclusione degli autori è stata che i rapporti di traffico sottoposti al WR-15 contenevano madornali errori matematici, che venivano ampiamente descritti, e che portavano a concludere circa una necessità di spettro grandemente sovrastimata. In realtà l’EBU è disposta ad accettare il principio di concedere la banda a 700 Mhz al cellulare; ma chiede che non vi siano ulteriori profonde “intrusioni” da parte del comparto mobile nello spettro UHF.
Più di recente, sempre EBU, per conto di un consorzio di broadcasters, tra cui BBC, Abertis, Arqiva, BNE e TDF, ha commissionato una ricerca alla società di consulenza Athea, che conclude dicendo “anche usando le previsioni di traffico più aggressive, i costi per lo spostamento della DTT dai 700 Mhz non sono giustificati dall’aumento di traffico mobile previsto”. Se è vero, qualcuno ci andrà a perdere.
E le interferenze ?
Oltre ai costi, poi, c’è il fondamentale ostacolo tecnico delle interferenze tra installazioni di paesi confinanti (delle interferenze locali LTE –TV ne sappiamo abbastanza…). Se, ad esempio, un paese usasse LTE , e l’altro, sulla stessa frequenza trasmettesse televisione in DVB-T2, la conclusione di Peter MacAvock, (responsabile delle questioni di spettro in EBU) è che l’area neutra necessaria per non causare interferenze, dovrebbe essere talmente ampia da rendere la programmazione attuale dello spettro UHF inutile per grandi aree attorno al confine. E forse per l’intera nazione. (Forse ha fatto bene la DTT francese, che ha scelto di usare lo standard Mpeg-4).
L’italia, secondo MacAvok, è addirittura un caso particolare, perché la nostra DTT che viaggia a 700 Mhz, è configurata su 19 multiplexer nazionali (piuttosto dei 6-7 delle altre nazioni europee). E questo le rende molto difficile spostarsi di frequenza, a meno di una riduzione del numero di servizi TV o di una completa riorganizzazione delle frequenze.
Ovviamente il discorso totale è complesso e non è facile dare giudizi di merito: da una parte le reti cellulari e i governi che spingono verso il 5G, anche politicamente, visti gli incassi dalle aste per le frequenze; dall’altra i Telco che debbono affrontare ulteriori investimenti, non avendo, spesso, ancora completato, e sicuramente non ammortizzato, quelli sulle NGN; dall’altra ancora i broadcaster, che vengono spinti ad affrontare un nuovo switch-off mentre i ricavi pubblicitari calano a favore di Internet. Ultimi, ma non ultimi, i costruttori, che, come dice ANITEC, sono già pronti: già i nuovi televisori vengono forniti con decoder per DVB-T2.
E l’utente finale? Sicuramente avrà nuovi servizi per il suo smartphone, che lo invoglieranno a spendere di più; ma non sa bene se dovrà cambiare ancora il televisore.