L’obiettivo del Governo sulle infrastrutture di comunicazioni è molto ambizioso e può essere raggiunto solo compiendo un grande sforzo di coordinamento, impiegando quindi un mix tecnologie e di risorse provenienti da finanziamenti diversi. Questa collaborazione virtuosa l’avevamo già sperimentata con il Piano nazionale banda larga, il cui completamento è stato reso possibile grazie all’impegno congiunto del Ministero dello sviluppo economico assieme al Ministero delle politiche alimentari agricole e forestali, alle Regioni italiane, alle Province autonome, alle Comunità montane.
Una collaborazione che deve essere ancora più forte nel Piano banda ultralarga, visto che le risorse pubbliche e private da mettere in campo sono ingenti perché il gap da recuperare nei confronti degli altri Stati membri è ancora più evidente. Ecco perché nasce l’esigenza di istituire un polo di attrazione dei fondi che coordini le diverse fonti di finanziamento, massimizzando l’effetto leva che gli stanziamenti pubblici sono in grado di esercitare attraendo, per l’appunto, investimenti privati.
La certezza delle regole, dei tempi e dell’ammontare delle risorse pubbliche è ciò che chiedono gli investitori privati, che siano gli operatori di telecomunicazione o investitori di altra natura, dotati di capitali pazienti per i quali può essere interessante finanziare la realizzazione di un’infrastruttura a prova di futuro. Per quanto concerne le regole, la strategia banda ultralarga, che venerdì dovrebbe essere discussa dal Consiglio dei Ministri ed essere inviata in Europa per l’esame delle condizionalità ex ante, rappresenta la bussola in termini di azioni, metodi, organizzazione e strumenti attuati. Per i tempi, le variabili sono tante, ma in linea teorica il Piano dovrebbe completarsi entro il 2020 come descritto nella strategia, con inevitabili strascichi sino al 2022, tempo massimo per la spesa delle risorse strutturali 2014-2020.
E sulle risorse? I fondi europei per lo sviluppo rurale, 556 milioni di euro, sono quelli da cui la nostra analisi deve partire perché, più di altri, sono vincolati a specifiche aree di intervento (i cosiddetti comuni C e D). Per un’ipotesi di scuola, che certamente non vuole essere una proposta di pianificazione, poiché non tiene conto delle scelte e delle peculiarità regionali, abbiamo mappato una possibile ripartizione nel territorio dei fondi rurali a disposizione, al fine di capire come questa fonte di finanziamento possa rispondere al fabbisogno di connettività ad almeno 30 mbps nelle aree rurali. Le aree verde chiaro sono quelle finanziabili con il FEASR, quelle verde scuro sono quei comuni rurali che sono già inseriti nei piani di infrastrutturazione in corso, mentre le aree rosa sono quei comuni rurali che dovranno utilizzare anche altre fonti di finanziamento per l’upgrade da 2 ad almeno 30 Mbps.
E’ evidente quindi che, anche in questo caso, sono le regioni del Nord ad aver maggior bisogno di risorse pubbliche, anche nazionali, da dedicarvi.
Sono circa 2200 i Comuni rurali che potrebbero rimanere scoperti dal FEASR e che quindi dovranno attingere a fondi nazionali o ai Fondi Europei per lo sviluppo regionale.
I FESR, però, non sono sfruttati a sufficienza proprio nel Nord Italia, a quanto risulta nei piani operativi oggi pubblicati, sebbene l’accordo di partenariato definisca un ammontare aggregato a cui è d’obbligo attenersi: 722 milioni di euro per le 4 regioni convergenza; 26 milioni di euro per le regioni in transizione e 196 milioni di euro per le regioni competitività a cui va aggiunto il cofinanziamento nazionale.
Le regioni del Centro, invece, sono quelle che contano di più sui FESR 2014-20, per esempio il Lazio è la regione più virtuosa fra quelle Competitività stanziando sul FESR 120 milioni di euro, i quali assieme ai 40 milioni di FEASR permetteranno a tutto il Lazio di raggiungere gli obiettivi Comunitari. Il Lazio e il Ministero dello sviluppo economico, sono infatti già impegnati a colmare questo gap, con il supporto tecnico di Infratel Italia, con grande anticipo rispetto alla deadline comunitaria, prevista peraltro dalla stessa strategia governativa.
Il Mezzogiorno, invece, ha già utilizzato la vecchia programmazione 2007-13 per portare la banda ultralarga ad almeno 30 Mbps ai propri cittadini e a 100 mbps a tutte le sedi strategiche della PA e alle aree industriali più strategiche. Con la nuova dotazione 2014-2020 di FEASR e FESR, potrà dunque completare gli interventi in corso e vantare le reti più veloci d’Europa se da subito stanzierà le risorse di cui dispone per massimizzare la copertura a 100 mbps.