Le telecomunicazioni sono un settore sempre più strategico per il nostro Paese: WindTre e The European House – Ambrosetti hanno appena pubblicato uno studio sul loro valore con uno sguardo alla dinamica degli ultimi dieci anni.
Tre i punti all’attenzione: gli impatti economici e occupazionali; il contributo alla competitività del tessuto produttivo; l’individuazione delle possibili priorità di politica industriale.
Bando per il 5G: perché interviene lo Stato e quali sono i nodi da sciogliere
Telecomunicazioni in Italia: cosa è successo negli ultimi dieci anni
Dai dati 2010-2020 emerge chiaramente la rapidità del processo di innovazione nelle reti e nei servizi, caratterizzato dal passaggio dalla tradizionale comunicazione vocale alla definitiva affermazione dei servizi di connettività Internet.
Di fatto, si è ridotto in modo significativo il divario dell’Italia rispetto ai principali Paesi europei, in particolare per quanto riguarda le infrastrutture di rete fissa e in generale l’utilizzo di Internet da parte dei cittadini, mentre il comparto mobile si è allineato rispetto ai Paesi europei più virtuosi, come dimostra anche l’avvio dei servizi 5G.
Lo studio mostra come il divario dell’Italia nelle connessioni Internet rispetto alla media UE si sia sostanzialmente dimezzato, anche se rimane tuttora significativo. Parallelamente, la crescita del traffico dati è stata esponenziale e pari a un fattore 12 per la rete fissa e di ben 50 volte per quella mobile, sviluppatasi a partire dalla metà dell’ultimo decennio.
Studio Luiss-Wind3: i soldi che perdiamo per una rete poco diffusa
“Le nostre stime quantitative forniscono ulteriore conferma – si legge. In Italia, ogni miliardo di euro di investimento in infrastrutture a banda larga genera effetti moltiplicativi sul valore della produzione (aumenta di oltre 2,5 miliardi di euro), su occupazione (aumenta di oltre 15.000 unità) e sul valore aggiunto (aumenta di un miliardo di euro). Estendendo l’analisi per includere gli effetti di spillover, l’aumento della penetrazione della banda larga ha impatti positivi sul PIL (un incremento di dieci punti percentuali della penetrazione della banda larga è associato ad un aumento medio del PIL dell’un per cento) e sulla sostenibilità ambientale (in termini di riduzione della CO2 prodotta nel sistema economico)”.
Così si legge nello studio Luiss-Wind3 uscito qualche giorno fa.
Secondo cui l’Italia perde circa 3 per cento di Pil per il nostro ritardo del 20% sulla media europea per diffusione banda larga. Il danno è del 3,2 per cento sul pil procapite invece per lo scostamento tra i (ridottissimi) limiti elettromagnetici italiani e quelli europei.
Lo studio suggerisce politiche di semplificazione, revisioni limiti elettromagnetici, diffusione della cultura digitale e maggiore offerta di servizi pubblici online. Una ricetta già nota da molti anni, ma ancora non appieno attuata.
In particolare sembra un tabù per il Governo, qualsiasi Governo e persino quegli “tecnici” come il Draghi, toccare i limiti elettromagnetici. Un caso eccellente in cui la scienza cede il posto al populismo, con danni per tutto il Paese, in un momento – dopo il covid-19, con la guerra alle porte e lo spettro di una crisi economica devastante – in cui non ce lo possiamo proprio permettere.
Alessandro Longo
Alla base di questo sviluppo, la centralità dei contenuti video, in realtà la migliore sintesi di una rete che ha continuamente ampliato i servizi abilitati e gli ambiti di utilizzo. Come ricorda l’Agcom, a fronte di oltre 18,5 milioni di connessioni broadband di rete fissa e più di 56 milioni Sim dati (Human) il traffico mensile di rete fissa è ormai dell’ordine di quasi 500 GigaByte (GB) per accesso, mentre quello di rete mobile supera i 10 GB per Sim dati.
Il cambiamento nell’utilizzo degli strumenti di comunicazione si riassume anche nel consumo degli SMS, che sono passati da circa 100 miliardi all’anno dell’inizio del decennio ai meno di 5 miliardi attuali.
Questa dinamica è stata abilitata da un decennio di investimenti legati ad uno sviluppo parallelo delle reti di nuova generazione di rete fissa e mobile. Gli investimenti complessivi sono stati (senza considerare gli acquisti delle frequenze) di oltre 70 miliardi di euro, con una significativa accelerazione nell’ultimo quinquennio.
In sintesi, la capacità delle reti è cresciuta in modo esponenziale, passando dalla banda larga di prima generazione, con prestazioni dell’ordine dei Megabit al secondo fino all’attuale superamento della soglia del Gigabit al secondo (un fattore 1000). Anche le reti mobili consentono ormai di raggiungere valori di picco per cella confrontabili e velocità di oltre 100 Megabit al secondo per singolo cliente. Siamo definitivamente entrati nell’era delle reti ad altissima capacità (VHCN – Very High Capacity Network).
Telecomunicazioni: il contributo al sistema economico
Attraverso l’analisi delle interdipendenze settoriali e una serie di analisi econometriche originali, lo studio presenta anche una situazione aggiornata del peso del settore delle telecomunicazioni e esamina gli effetti virtuosi che il suo sviluppo può generare sull’intero sistema economico nazionale.
Considerando il contributo diretto, indiretto e indotto, il settore delle telecomunicazioni ha generato nel 2020 un giro d’affari di 71 miliardi di euro, contribuendo al 2,3% del PIL, un valore superiore ad alcuni dei tradizionali settori del made in Italy. Allo stesso tempo, l’apporto in termini occupazionali è stato di 218.600 posti di lavoro.
L’aspetto però più interessante è legato al moltiplicatore economico: a fronte di ogni euro di valore aggiunto generato direttamente dal settore delle telecomunicazioni, ne vengono generati ulteriori 1,3 nel sistema economico.
In termini invece prospettici, le analisi quantificano l’impatto di un’accelerazione del processo di infrastrutturazione nelle reti di telecomunicazioni e della diffusione dell’utilizzo della connettività, per allinearsi con la media UE.
In sintesi, l’allineamento rispetto alla media UE porterebbe a benefici rilevanti per il Paese: un incremento potenziale di 40,9 miliardi di euro di PIL (+2,2%); 65,2 miliardi di euro di valore della data economy; 1,2 miliardi di euro di Investimenti Diretti Esteri.
Al di là di queste valutazioni, non bisogna poi dimenticare l’effetto deflazionistico svolto dal settore, visto che nell’ultimo decennio, a fronte della dinamica degli investimenti e delle prestazioni sopra ricordati, l’indice dei prezzi è sceso di oltre 30 punti percentuali, con condizioni economiche che sono tra le più basse in Europa. Del resto, anche sulla rete mobile oggi è possibile disporre di pacchetti di oltre 100 GB/mese a meno di 10 euro.
More for less, si potrebbe riassumere, ma nella sostanza si sta concretizzando la promessa di ubiquità nelle applicazioni in rete che si riassume nel paradigma delle “3A” (Anytime, Anywhere, Anything).
Fig. 1 – Gli impatti e potenziali effetti per il Sistema Paese
Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti, 2021
L’impatto delle telecomunicazioni sulla competitività delle imprese
Lo studio WindTre e The European House – Ambrosetti riporta anche l’esito di un’indagine rivolta ai vertici delle principali aziende che operano in Italia.
Il primo dato che emerge è la diffusa consapevolezza della rilevanza delle telecomunicazioni durante la crisi pandemica (l’80% dei rispondenti considera il settore particolarmente rilevante).
Allo stesso tempo, sono altrettanti coloro che ritengono la prosecuzione degli investimenti in infrastrutture e servizi molto importante per lo sviluppo del proprio business.
La conseguenza è che le telecomunicazioni vengono sempre meno considerate come un costo da ottimizzare e sempre di più come una risorsa che può contribuire ad abilitare nuove opportunità di business.
Per questo motivo, oltre la metà dei rispondenti riconosce negli operatori di telecomunicazioni anche un potenziale partner per sostenere lo sviluppo di nuovi servizi a valore aggiunto.
Inoltre, l’utilizzo più diffuso di servizi di telecomunicazioni ad altissima capacità, unitamente ad una maggiore digitalizzazione delle imprese, può contribuire in modo rilevante a indirizzare la cronica debolezza nella produttività del nostro tessuto produttivo e, in particolare, la componente multifattoriale, legata alle componenti più immateriali e complementare rispetto al lavoro e al capitale. Nell’ultimo decennio, per gli altri Paesi esaminati questa componente ha fornito un contributo variabile, ma nel caso dell’Italia l’apporto è stato addirittura negativo.
L’analisi svolta nell’ambito dello studio mostra come, anche in questo caso, l’allineamento della diffusione della penetrazione della banda ultralarga (superiore a 100 Mbit/s) rispetto ai quattro maggiori Paesi europei, porterebbe un incremento di produttività capace di generare benefici per oltre 100 miliardi di euro.
La sintesi dei potenziali effetti positivi della pervasività dei servizi di telecomunicazioni è, infine, efficacemente riassunta esaminando le possibili ricadute della tecnologia mobile di quinta generazione (5G), che consente un salto di qualità rilevante rispetto al passato in termini di velocità e capacità delle reti, dei tempi di latenza, ma anche del numero di dispositivi connessi alla rete, fino alla sostenibilità energetica.
Sono ormai numerosi i casi di utilizzo, che vanno dal settore delle utilities (smart grid), all’industria manifatturiera (Industry of Things), fino ai trasporti e alla logistica (automatic vehicle monitoring), nonché il settore sanitario (eHealth).
Al di là delle opportunità che si creano per offrire nuove tipologie di servizi, il contributo in termini di efficienza nell’utilizzo delle risorse e riduzione dei costi è dell’ordine di diversi punti percentuali e consente un significativo recupero di produttività, liberando risorse per nuovi investimenti strategici.
Telecomunicazioni: le proposte di politica industriale
Nell’ultima parte dello studio vengono presentate alcune proposte per favorire il rilancio e lo sviluppo del settore. Sfortunatamente, si tratta di temi che non sono nuovi e trovano origine nelle debolezze strutturali del nostro Paese.
La definizione delle priorità e delle modalità di intervento non può, inoltre, prescindere dal fatto che a fronte degli investimenti e della dinamica dei prezzi, i ricavi del settore sono scesi nell’ultimo decennio a un ritmo del 4% all’anno, compromettendo la redditività stessa degli operatori.
In aggiunta, il settore è stato chiamato a sostenere importanti oneri per l’acquisizione di risorse frequenziali (basta ricordare i circa 6,5 miliardi di euro per il 5G).
La prima proposta riguarda appunto gli investimenti, indispensabili se si vogliono ottenere i benefici sopra citati. Favorire gli investimenti significa innanzitutto semplificare la normativa e gli eccessi di burocrazia che rallentano la realizzazione delle infrastrutture, come scopre chiunque debba interagire con la Pubblica Amministrazione per ottenere le necessarie autorizzazioni.
Gli interventi normativi che hanno portato all’ultimo Decreto Semplificazioni del 2020 vanno sicuramente nella giusta direzione, ma sono largamente insufficienti se si pensa al funzionamento degli aspetti operativi che si devono affrontare ad esempio nell’ambito delle conferenze dei servizi, ma anche nell’interazione con i singoli Enti.
In aggiunta a quanto richiamato nello studio, va ricordato come rimanga tuttora disattesa la richiesta di allentare i limiti elettromagnetici, che rimangono largamente superiori agli altri Paesi europei (anche cento volte più stringenti). L’esperienza del finanziamento delle reti a banda ultralarga ha poi dimostrato l’importanza della definizione delle modalità di intervento (diretto o indiretto) per garantire rapidità ed efficienza degli interventi pubblici.
Una seconda proposta è invece incentrata su un’altra debolezza strutturale, che riguarda la diffusione della cultura digitale in Italia, con le sue ripercussioni sia sull’utilizzo di Internet che sulla capacità di generazione dell’innovazione digitale.
La tematica rimane di grande attualità e ci sono modelli esteri di sicuro successo (ad esempio quello tedesco), ma richiede, oltre alla volontà politica, i tempi associati alle riforme del sistema educativo e formativo. Nel frattempo, la collaborazione pubblico-privato attorno a progetti di sostegno alla digitalizzazione delle imprese e alla creazione di nuovi ecosistemi digitali rimane una possibile strada da percorrere.
In Italia, gli incentivi fiscali si sono spesso dimostrati efficaci nello stimolo all’innovazione e non stupisce, quindi, la proposta di considerare a pieno titolo gli investimenti nelle tecnologie di comunicazione nel novero degli investimenti che possono accedere al credito di imposta. Paradossalmente, questo aspetto rimane una lacuna anche nelle recenti misure del PNRR (Transizione 4.0).
Una maggiore attenzione agli aspetti immateriali degli investimenti appare di particolare importanza, specie se si considera come i servizi di cloud computing, dalle soluzioni di piattaforma a quelle applicative, si prestino in particolar modo all’utilizzo da parte delle piccole e medie imprese che non possono (per competenze e/o risorse) permettersi investimenti rilevanti. In questo ambito anche i voucher possono fornire un contributo, ma richiedono probabilmente una maggiore attenzione alla natura delle soluzioni e servizi finanziabili.
Non meno importante è il richiamo finale alla dimensione europea, condizione necessaria per lo sviluppo di un ecosistema in grado di competere su scala globale.
Da un lato, l’eccessiva frammentazione dei mercati nazionali richiede un ripensamento della politica della concorrenza UE a favore di un processo di consolidamento. Dall’altro, l’obiettivo di garantire lo sviluppo delle più avanzate reti di comunicazione rende necessario un maggiore coinvolgimento delle grandi piattaforme digitali nel finanziamento delle nuove infrastrutture di rete. In entrambi i casi, è urgente un chiaro indirizzo comunitario: una strada ancora lunga e non necessariamente in discesa.