Il commento

Big Data, il futuro delle agende politiche

Gli ambiti di applicazione possibili, ad oggi, sono molto vicini ad alcune tematiche care all’agenda digitale: Sanità, sicurezza, efficienza energetica di città e comunità, controllo del traffico. Ma i Big Data potrebbero anche fondare un’agenda politica innovativa, basata su reali bisogni e desideri dei cittadini

Pubblicato il 15 Mar 2013

Carlo Maria Medaglia

ProRettore alla Ricerca della Link Campus University

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Ogni giorno, in Internet, viene condivisa una moltitudine di informazioni e dati tale da riempire 160 milioni di Dvd; vengono spediti quasi 300 miliardi di mail, visionate oltre 20 milioni di ore di contenuti video, pubblicate 250 milioni di fotografie e interi giorni sono trascorsi sui Social Network tra post, commenti e update di status, per un totale di traffico difficilmente quantificabile ed in continua crescita.

Numeri impressionanti, soprattutto per un paese ancora televisione-centrico come il nostro, dove si è abituati a trattare con numeri molto più piccoli e, almeno nel campo della comunicazione, poche centinaia di migliaia di telespettatori (o lettori) sono più che sufficienti per giustificare manovre, dichiarazioni e successi di partecipazione.

Inutile dire, guardando il mondo sempre più interconnesso, che il vero valore di queste cifre non si esaurisce in una mera analisi quantitativa. Quello che la Rete ha portato a galla è un universo multidimensionale, dove a contare sono le relazioni tra dati e risorse, il volume dei flussi sociali, le frequenze di aggiornamento di pagine, blog, portali. Sono le informazioni, certo, ma non solo: è un flusso che crea conoscenza, che spiega la storia del nostro tempo e cattura, nascosto tra milioni di Byte, il sentimento della società.

Sono questo i Big Data, e molto altro: un vero e proprio universo di “sapere possibile” che sulla capacità e sulla possibilità di interpretazione trova potenzialità d’utilizzo ancora imprevedibili.

Un universo digitale così complesso è costituito, naturalmente, da diverse tipologie di dati. La maggior parte di questo immenso dinamico patrimonio, tuttavia, non è ancora strutturato secondo logiche e ontologie che ne permettono letture e astrazioni efficaci, se non in minima parte. Ad oggi stimiamo, infatti, che solo il 3% dei dati “potenzialmente utili” (sulla base, sicuramente miope, degli attuali standard di utilizzazione e categorizzazione) è stato etichettato e associato a metadati. Di questa esigua percentuale, inoltre, ancora più piccola è la parte che viene analizzata ed elaborata davvero.

Partendo da questa premessa, occorre rilevare due aspetti fondamentali verso cui deve muoversi l’evoluzione futura (anche se imminente) dell’approccio a questa complessa tematica.

Il primo è un passo concettuale, tutt’altro che banale, legato alla necessaria consapevolezza che non bisogna assolutamente limitarsi alla vecchia nozione di dato concepito come “informazione”. Il valore, come già detto, è da ricercarsi in qualcosa di più profondo e invisibile, che si evince da relazioni di difficile immaginazione e dai molteplici campi d’applicazione. Che sia monitoraggio del presente o analisi del passato, per arrivare fino alle linee di ricerca che dai Big Data cercano addirittura di prevedere trend futuri, l’approccio da diffondere è quella della “conoscenza”. Si tratta di un cambio di passo fondamentale, assolutamente necessario nel guidare la definizione di corrette ontologie e la nascita di adeguati strumenti di indagine, senza i quali si rischia di rimanere vittime di un devastante overflow informativo fatto di indecifrabili categorie e milioni di dati inutilizzabili.

Il secondo aspetto è strettamente legato alla consapevolezza che i Big Data, comunque, vanno riconosciuti come elementi di “processo” necessari all’evoluzione di pratiche innovative che hanno riscontro diretto anche nella nostra vita quotidiana. La necessità di continuare a dare soluzione ai grandi e piccoli problemi della società, deve essere la chiave per l’identificazione di ontologie davvero intelligenti, che riescano a fare emergere configurazioni e pattern comprensibili e, quindi, davvero utilizzabili.

Gli ambiti di applicazione possibili, ad oggi, sono molto vicini ad alcune tematiche care all’agenda digitale europea e nazionale, su cui è importante mantenere alto il livello di attenzione: se guardiamo all’ambito sanitario, ad esempio, l’evoluzione del monitoraggio del flusso di dati che si riferiscono a parametri medici, alimentato dall’impiego sempre più massiccio di sistemi di sensoristica, troverà nei Big Data l’elemento centrale che, insieme all’utilizzo di adeguati strumenti di analisi e previsione, consentirà di analizzare sotto nuove chiavi di lettura i propri parametri personali. Potranno emergere relazioni tra questi e quelle che sono le mode della propria comunità di appartenenza, evidenziando predisposizioni e tendenze, arrivando addirittura alla previsione di eventi di più grande portata come contagi o epidemie.

Nell’ambito della sicurezza e dell’efficientamento energetico delle città e delle comunità, l’incrocio di metadati generici (quali data, ora, luogo) con le informazioni raccolte da dispositivi sul territorio collegati in rete, semplificherà l’analisi dei flussi di traffico e migliorerà le possibilità di pianificazione strategica, facilitando la previsione di eventi futuri.

Inutile sottolineare, infine, come anche l’industria, come spesso accade, è stata una delle prime ad aver compreso il valore dei Big Data, da subito riconosciuti come chiave di comprensione del comportamento dei propri clienti e dei futuri scenari di mercato.

Viene da chiedersi, a questo punto, quanto la classe politica sia consapevole delle potenzialità che si potrebbero nascondere dietro le proprie campagne online e di quanto un uso intelligente e consapevole dei diversi media possa essere decisivo non solo per “fotografare” la società italiana ma anche per cogliere in essa tutti gli elementi per scrivere un’agenda di politica diversa e innovativa, fondata su bisogni e desideri talvolta sconosciuti anche ai cittadini stessi che, tra un “Like” e un commento, stanno disegnando il futuro della società su una tela oggi un po’ più facile da decifrare.

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