È ormai evidente a tutti che l’unica prospettiva realistica per uscire dalla crisi attuale è offerta dallo sviluppo dell’economia e della società digitale. La Commissione europea ha calcolato che la piena attuazione dell’Agenda digitale potrebbe generare un aumento del PIL europeo del 5% nei prossimi anni.
Si tratta, dunque, di scegliere con determinazione la strada dell’aumento degli investimenti nelle nuove tecnologie (si pensi soltanto alla diffusione della “banda larga”), nella formazione digitale della forza lavoro, nell’innovazione tecnologica della pubblica amministrazione. È in questo contesto che, evidentemente, dobbiamo collocare la questione strategica della formazione digitale.
La rivoluzione informatica e digitale impone oggi la messa in campo di una politica formativa globale, che passa certamente attraverso le agenzie tradizionali come la scuola e l’università, ma investe complessivamente lo stesso modo di organizzarsi di una società. Davanti a noi c’è, quindi, la sfida dell’individuazione di una nuova frontiera della formazione, non solo perché un approccio puramente istruttivo (o addestrativo) al digitale è assolutamente impensabile per la velocità dell’obsolescenza degli strumenti, ma soprattutto perché il problema che la rivoluzione informatica pone è essenzialmente culturale.
Una formazione destinata a lavoratori che devono fare i conti con aziende sempre più tecnologicamente avanzate, in cui il lavoro manuale, anche quello della catena di montaggio, tende progressivamente a sparire per essere sostituito da quello di macchine sempre più evolute e duttili. Si tratta anche di insistere sulla cosiddetta “alfabetizzazione digitale” sviluppando e diffondendo le competenze digitali di base.
Oggi nessuna organizzazione può semplicemente sopravvivere se non è in grado di governare l’innovazione digitale, senza sapere quali attori deve coinvolgere, quali obiettivi e quali benefici ci si attende nell’uso “delle reti, dei social network, dei temi della sicurezza e dei cicli di vita, delle basi dati, della privacy”. Competenze trasversali e valide per tutti i contesti. In questo quadro le aziende (ma anche la pubblica amministrazione) dovranno ad esempio dotarsi di figure dotate di competenze di e-leadership (e-business).
L’infrastruttura non può prescindere da chi poi la sappia usare per scopi personali, di lavoro, di impresa. Le linee guida del Programma Nazionale per la cultura digitale sono un passo avanti importante nella strategia italiana, ma occorre spingere con forza perché queste indicazioni vedano piena attuazione. Le competenze digitali devono essere al centro di programmi locali e nazionali di formazione per dotare i “cittadini digitali” di e-skills appropriati nel cogliere le opportunità che stanno emergendo.