La fotografia del Global Information Technology Report 2014 del World Economic Forum, rispetto all’indice di “networked readiness” che misura la propensione a sfruttare le opportunità offerte dall’ICT, dal punto vista non solo economico ma anche sociale, vede l’Italia scendere di otto posizioni rispetto al rapporto del 2013, fino al 58° posto (su 148), 8 posizioni più giù rispetto a un anno fa.
Il punteggio italiano rimane complessivamente stabile (sono gli altri Paesi a progredire e a superarci) ed è il frutto di un lieve miglioramento su alcuni fronti (essenzialmente sulla telefonia mobile: aumento di sottoscrizioni, riduzione delle tariffe) e di lievi peggioramenti su altri, che preoccupano di più (riduzione dei brevetti, dei lavori ad alta intensità di conoscenza, peggiore percezione degli impatti economici e sociali attuali derivanti dall’ICT). In questo senso si confermano i fattori che più contribuiscono negativamente alla valutazione: mancanza di strategia a livello di Governo, sistema normativo e politico sostanzialmente negativo, bassa qualità del sistema educativo nel suo complesso, insufficiente formazione del personale aziendale, limitatezza del rapporto tra università e industria, popolazione di fatto non coinvolta nella “rivoluzione digitale”.
Gli impatti economici e sociali dall’ICT
Per trarre elementi utili da rapporti di questo tipo, che integrano valutazioni qualitative e quantitative e quindi riescono anche a trarre frutto dalle percezioni dei principali attori economici e sociali, è interessante approfondire le correlazioni tra situazione economica e rilevazioni degli impatti economici e sociali. In questi l’Italia scivola in due anni di venti posizioni, con un contributo negativo specialmente su due versanti:
- il contributo dell’ICT allo sviluppo di nuovi modelli organizzativi (team virtuali, lavoro in mobilità), la cui valutazione regredisce e porta ad un peggioramento di 29 posizioni in due anni (dal 92° al 121° posto) di cui la riduzione di knowledge worker è una delle evidenze più significative (dal 39,6% al 34,5% dal 2008 al 2012 mentre in Paesi come Francia e Regno Unito la percentuale cresce di più di del 4% e raggiunge il 45% e oltre);
- l’impatto dell’ICT nel miglioramento dell’accesso ai servizi base e in generale dell’efficienza amministrativa, la cui percezione è regredita in modo significativo facendo perdere all’Italia rispettivamente 41 e 25 posizioni nel ranking specifico.
È l’immagine di un Paese che considera l’ICT marginale rispetto alle sue politiche economiche e sociali, e che in questi anni di crisi ha percorso una strada di resistenza passiva, sostanzialmente di conservazione, rinunciando a identificare l’innovazione come l’infrastruttura strategica su cui innestare un nuovo modello di sviluppo.
È l’immagine, anche, di un Paese che sul fronte delle competenze e della cultura, necessarie per tradurre in risultati concreti le opportunità tecnologiche, da tempo non investe e che rispetto agli ostacoli maggiori all’innovazione (burocrazia, lentezza del sistema giudiziario, familismo, corruzione) ancora non ha intrapreso un cambio di percorso radicale. Dal rapporto 2014: “altri Paesi progrediscono più velocemente nel costruire e utilizzare pienamente i loro ecosistemi digitali. Le persistenti debolezze nell’ambiente politico e normativo italiano (99° posto) associate con qualche significativa sfida nel suo sistema di innovazione, nasconde la capacità del Paese di sviluppare pienamente l’ICT per spingere innovazione, competitività e benessere.”
Gli ingredienti del cambiamento
E se l’arretratezza italiana si consolida proprio sulle principali leve di innovazione, è proprio da lì che bisogna partire nel processo di trasformazione sul quale questo governo vuole impegnarsi.
Ineludibile allora un cambiamento in discontinuità, un cambio di modello che deve partire dalla definizione di una strategia organica per l’intero sistema-paese, finalmente popolata da politiche di innovazione di medio termine, di ampio respiro, in cui pilastri fondanti sono i temi di politica industriale ed energetica, la riforma della PA, l’open government. Un cambiamento che spinga insieme l’innovazione dell’infrastruttura ICT (applicazioni, gestione dei dati, rete) e quella della cultura digitale (individui, imprese, governo). Un cambiamento complesso per cui sono necessarie competenza e coraggio:
- competenza di metodo e di merito, perché si tratta di una trasformazione che richiede capacità di governo e coinvolgimento delle ricchezze di iniziative e delle eccellenze che sono presenti sul territorio, ma anche capacità di indirizzo e scelta per la costruzione delle condizioni necessarie per l’avvio di un nuovo percorso;
- coraggio nell’affrontare gli interessi contrapposti e consolidati, per intervenire in modo dirompente sul sistema economico-sociale oggi bloccato, ma anche per intraprendere scelte complesse sapendo che il risultato, positivo, non può essere legato alla programmazione di pochi, ma si basa sulla capacità di composizione dell’esperienza e della creatività dei tanti che si mettono in gioco.
Oggi alcune condizioni iniziano ad essere presenti: il governo ha dato alcuni segnali importanti di attenzione al digitale (vedi ad esempio l’enfasi sugli Open Data per la riforma delle PA o i provvedimenti sulla banda ultralarga inseriti nel DEF), nel Parlamento per la prima volta un folto gruppo di deputati e senatori (oltre cinquanta) ha dato vita ad un intergruppo parlamentare sull’innovazione tecnologica che vuole intervenire in modo diffuso su tutte le normative che toccano quei temi (in attesa che la lenta burocrazia parlamentare consenta l’approvazione di una Commissione Parlamentare Permanente specifica), l’AgID sta avviando alcuni progetti-Paese ambiziosi, come il Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali.
Ma questi sono solo alcuni segnali. Non bastano. È necessario che la visione strategica sull’innovazione prenda rapidamente forma compiuta e costruisca il quadro di indirizzo delle politiche di crescita nazionale. Mettendo finalmente al centro il tema della cultura e delle competenze. Senza cui nessun cambiamento è possibile.