La crisi del settore telco è un drammatico dato di fatto. Una situazione che va guardata non solo dal punto di vista macroeconomico, ma anche sociale: fermare questi ingranaggi vorrebbe dire perdere posti di lavoro, rallentare l’innovazione del sistema Paese, farci perdere competitività rispetto agli altri Membri dell’Unione e dei Paesi terzi.
La crisi delle telco, le carenze della politica hanno fatto danni: ecco come rimediare
Un’istantanea della crisi delle telco nei dati Agcom
La crisi del settore telco è nei numeri che Agcom, in qualità di Autorità di settore, certifica trimestralmente per fotografare lo stato di salute del comparto, con dati purtroppo sempre più allarmanti.
Se, oggi, gli investimenti dei principali player risultano complessivamente pari a 7,3 miliardi di euro, in aumento rispetto all’anno precedente per circa 540 milioni, dall’altro lato i ricavi sono sempre più bassi. Meno 10% rispetto al 2017: da 31,8 miliardi di euro ai 28,6 miliardi di euro nel 2021.
Un dato che ha fatto sentire tutta la sua drammaticità sui lavoratori del settore, con una riduzione di 7.200 unità su 66.400 nel quinquennio di riferimento.
Il ruolo della regolamentazione per uscire dallo stallo
È palese che, con questi bilanci, la sostenibilità dell’industria delle telco sia in forte discussione.
Il tema è stato affrontato nell’ambito dell’evento organizzato il 3 marzo a Roma dal Chapter italiano dell’International Institute of Communication (IIC), che conta su un importante supporto di Agcom. È chiaro, infatti, che per uscire da questo stallo, la regolamentazione può di certo giocare un ruolo importante. A questo proposito, è fondamentale cogliere l’occasione di evidenziare come non possa essere certo imputata all’Autorità la determinazione dei prezzi retail, tra i più bassi d’Europa, dovuti da una parte alla naturale concorrenza sollecitata anche dall’ingresso sul mercato italiano di un quarto operatore, dall’altra dall’accaparramento di nuovi clienti tramite offerte sempre più basse.
Come noto, Agcom nasce come autorità di settore con l’obiettivo di stabilire il level playing field in un mercato caratterizzato dalla presenza di un ex monopolista statale, proprietario di una infrastruttura di rete non replicabile.
Una volta superata questa fase, già dai primi anni 2000, a fronte dello sviluppo del mobile e della conseguente convergenza di tutto il settore delle comunicazioni elettroniche, il compito della regolamentazione è stato sempre più sfidante.
Un difficile bilanciamento dei diversi interessi in gioco da realizzare attraverso una sintesi assai complessa, anche per via della peculiarità del settore delle comunicazioni, che ha rilevanti implicazioni di carattere sociale, come quello dell’inclusione dei cittadini, ma anche di sicurezza nazionale.
La regolamentazione, quindi, non è solo una attività tecnico economica “neutra”, ma ha precisi compiti politici connessi, da ultimo, alla realizzazione della Gigabit society.
Le attività Agcom nell’ambito del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche
Da questa impostazione non si discosta il Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche (direttiva UE 2018/1972), che impone i seguenti obiettivi generali: incentivare la connettività e la concorrenza, contribuire allo sviluppo del mercato e promuovere gli interessi dei cittadini.
Tutte le delibere dell’Autorità approvate negli ultimi anni sono state guidate dai sopra menzionati principi.
Si pensi alla delibera 231/18/CONS che ha definito procedure e regole per l’assegnazione delle frequenze 5G; il provvedimento è stato il primo, tra tutti quelli adottati in Europa, a codificare le regole di attribuzione simultanea di tutte le bande “pioniere” del nuovo standard, nonché a favorire l’uso efficiente e condiviso dello spettro.
Sempre nell’ottica di implementare la diffusione dei servizi 5G, l’Autorità ha svolto un’indagine conoscitiva (delibera n. 131/21/CONS) su possibili nuove modalità di utilizzo dello spettro radio a supporto, in particolare, dei settori verticali (quali, ad esempio, i settori dell’automazione, del trasporto, della salute, dell’intrattenimento e dell’energia).
Sono state poi favorite misure per l’ottimizzazione dell’uso dello spettro per favorire la deframmentazione della banda e lo sviluppo del mercato nel suo complesso, nonché lo sharing dell’infrastrutture 5G tra operatori in modo da assicurare anche nelle aree rurali servizi comparabili a quelli offerti nelle aree più popolate.
Sono queste alcune delle misure con cui un’Autorità indipendente può sostenere il settore delle telecomunicazioni.
Da molti mesi l’Autorità, inoltre, sta esaminando il progetto di coinvestimento che, in attesa di eventuali ulteriori decisioni dell’incumbent (e sull’incumbent), rappresenterà certamente un punto di svolta nel roll out delle reti ad alta velocità e nei modelli di regolamentazione futura, in un’ottica di infrastrutturazione generale del Paese.
Se l’Autorità ha un compito determinante nel creare le condizioni per risollevare il settore, è indubbio che l’industria debba essere messa nelle condizioni di effettuare un cambio di passo.
Ciò potrebbe avvenire, in primo luogo, attraverso la spinta innovativa che le stesse imprese vogliono mettere in campo, in modo da fornire servizi che vadano oltre alla mera fornitura di connettività.
In secondo luogo, tramite misure che favoriscano tali investimenti e incentivino l’attrattività di capitali terzi.
Il Connectivity Package della Commissione europea
È notizia delle ultime settimane la pubblicazione del Connectivity Package della Commissione europea che raccoglie in sé una serie di azioni finalizzate ad assicurare l’implementazione della cosiddetta Gigabit Connectivity in tutti i paesi membri entro il 2023, in linea con gli obiettivi fissati nell’ambito del programma denominato “Europe’s Digital Decade”.
Tra gli ambiti di interesse del pacchetto, come sopra anticipato, spicca senza dubbio la consultazione pubblica sulle misure a supporto del settore, tra cui il cosiddetto “fair share” ossia la possibilità di porre in capo ai CAPs – Content And Applications Service Provider (in altre parole gli OTT), l’obbligo di contribuire allo sviluppo della rete ad alta velocità.
Sebbene siamo solo all’inizio delle interlocuzioni, considerando che la consultazione terminerà il 19 maggio prossimo e la pubblicazione dei relativi risultati sono attese non prima dell’estate, il Commissario Ue al Mercato interno Thierry Breton durante il suo intervento al Mobile World Congress di Barcellona, ha chiarito, in relazione alla consultazione, che da un lato non vige alcuna prevenzione da parte dell’UE a consolidamenti transfrontalieri e al riordino dello spettro e dall’altro, che non è possibile escludere a priori l’introduzione di contributi in capo alle Big tech. L’obiettivo è dunque quello di rimuovere gli elementi in grado di frenare la capacità di concorrere delle telco europee rispetto ad altre regioni del globo.
Conclusioni
A mio parere, tale posizione è del tutto condivisibile: le valutazioni devono essere concrete e scevre da posizioni di principio che si trincerano dietro al pericolo per la libertà della rete o alla necessità di evitare il free riding.
È l’occasione per affrontare finalmente un tema la cui centralità è di vitale importanza per la sostenibilità a lungo periodo di tutto il settore; un ulteriore rinvio della questione non appare una strategia vincente, come dimostrato dagli impietosi dati degli ultimi anni.