Trasformazione digitale, incremento di competitività e produttività, crescita economica sono processi che ormai si identificano e si influenzano reciprocamente. Com’è noto il Paese parte con un ritardo di 25 miliardi di euro l’anno di mancati investimenti in innovazione tecnologica rispetto alla media europea.
I numeri del nostro gap digitale ormai li conosciamo bene, ce li raccontano con fastidiosa costanza le classifiche internazionali sugli indici produttivi, sull’adozione di Internet, sull’e-commerce, sulle competenze digitali. Si è investito poco in innovazione digitale e si è trasformato ancor meno il nostro sistema economico.
Oggi possiamo dire di trovarci sulla soglia di una fase diversa. Una conferma importante del cambiamento in atto nel Paese proviene dal dato sulla ripresa degli investimenti in Ict. Nel 2015, infatti, il segno è finalmente tornato positivo, passando dal – 1,4% del 2014 al + 1,0%, trend di crescita che le nostre stime confermano per il prossimo triennio. E’ significativo che gli incrementi a due cifre riguardino le cosiddette tecnologie abilitanti, quali Cloud, Iot, piattaforme per la gestione web, Big Data, mobile business, sicurezza, evidenziando che è in atto un vivace fenomeno di infrastrutturazione innovativa. Tuttavia, se contestualizzato nell’ambito dei servizi digitali, informatici e del software, che in volume rappresentano la parte più consistente del mercato, è chiaro che il fenomeno riguarda ancora una frazione troppo limitata del Paese e avviene in modo ancora troppo lento e frammentato per produrre cambiamenti significativi. Dobbiamo accelerare per far diventare l’innovazione digitale un fattore sistemico di crescita dell’intera economia italiana e di modernizzazione della Pa. Il salto degli investimenti e degli obiettivi non è più rinviabile.
Ma dobbiamo essere consapevoli che le tecnologie di Internet esprimono le loro enormi potenzialità attraverso un’economia di rete, dove tutto è interconnesso e i confini fra settori sono sempre più labili. Digitalizzazione non è un tema tecnologico, ma di visione e di strategie che sempre più spesso si rivelano “disruptive” degli asset esistenti – e gli esempi su questo ormai non mancano anche nel nostro paese – e che innovano completamente il modo di fare impresa, i modelli di business, il modo di lavorare e di collaborare, la formazione e le competenze, il modo di fare Pa e di concepire ed erogare i servizi pubblici. La crescita, l’aumento della produttività, gli incrementi occupazionali possono avvenire solo nella misura in cui tutto il Paese è coinvolto in un grande processo di trasformazione digitale.
L’urgenza di passare all’execution caratterizza questa nuova fase. Direi che vi sono due pilastri fondamentali su cui puntellare l’impalcatura della trasformazione digitale del Paese: la Pubblica Amministrazione e le Pmi. Alla parte pubblica spetta creare le nuove condizioni quadro, sia in termini di servizi che di regole, indispensabili per sostenere il cambiamento e non ostacolare i processi innovativi. Abbiamo visto l’impatto positivo di un progetto vasto come la fatturazione elettronica verso la Pa. Questo è grazie all’obbligarietà e a tempi certi dello switch-off. Altrettanta determinazione occorre per gli altri grandi progetti di digitalizzazione della Pa già individuati, dallo Spid all’anagrafe unica, dal fascicolo sanitario elettronico alla scuola digitale, al sistema dei pagamenti. L’arrivo di Diego Piacentini a Palazzo Chigi ci sembra un passaggio importante per accelerare sulle piattaforme di e-government. L’istituzione di un interlocutore unico sul digitale, facente direttamente capo alla presidenza del Consiglio, è stato sempre da noi considerato un fattore chiave, addirittura abilitante, per imporre ritmo, qualità e risultati ai progetti di trasformazione digitale della Pa. Allo stesso tempo è necessario un forte presidio da parte delle istituzioni italiane sul processo regolatorio europeo attraverso cui si sta attuando il Digital Single Market. E’ fondamentale, infatti, che si crei un contesto normativo stabile e affidabile a livello continentale, in modo da consentire alle imprese di realizzare investimenti strategici e innovativi anche su vasta scala. Allo stesso tempo dobbiamo contribuire ad assicurare al quadro regolatorio un adeguato grado di flessibilità, fattore indispensabile per gestire i fenomeni innovativi.
Sul versante delle imprese, abbiamo l’impegnativo compito di portare 4 milioni di Pmi ad abbracciare la trasformazione digitale. Se la trasformazione digitale è necessaria per qualsiasi impresa, lo è a maggior ragione per quelle piccole e medie. Tanto più per un tessuto economico come il nostro costituito per il 99% di piccole imprese, le quali contribuiscono a più del 50% del Pil. Per un impresa digitalizzarsi vuol dire mettere mano ai processi produttivi e organizzativi per acquisire efficienza, flessibilità, nuove capacità di competitive. Vuol dire diventare globali a prescindere dalla propria dimensione, compiendo un salto che la proietta direttamente sui mercati internazionali. E questo è uno dei vantaggi che il nostro sistema produttivo è perfettamente in grado di cogliere.
Come sistema Confindustriale siamo impegnati in grande progetto nazionale di politica industriale “Impresa 4.0- Trasformazione competitiva digitale delle imprese e del Paese”. Agendo in modo trasversale ai vari settori, valorizzando e mettendo a sistema le best practices già presenti sul territorio, la via italiana a Industria 4.0 che stiamo tracciando si basa su quattro pilastri. Roadshow territoriali e focus group di informazione e formazione, per far conoscere i fondamentali della trasformazione digitale a imprenditori e amministratori delle aziende di piccole e medie dimensioni. Creazione di una rete nazionale di Digital Innovation Hu. Punti di innovazione in casa Confindustria, frutto di partenariati pubblico-privati, in cui accentrare competenze, informazioni, accesso alle risorse finanziare, con l’obiettivo di supportare i progetti di trasformazione digitale delle imprese. Per questo i DIH vedono coinvolti una serie di soggetti radicati sul territorio come università, centri di ricerca, enti locali, poli tecnologici, banche, le imprese dell’Ict. La prima rete di soggetti specializzati riguarda 6 città: Milano, Torino, Bari, Venezia, Roma, Napoli. Piattaforme di filiera e reti d’impresa 4.0: ecosistemi capaci di supportare gli sforzi delle singole imprese digitalizzando l’intera supply chain. Per questo sosteniamo la realizzazione di piattaforme intorno a ecosistemi tipici del Made in Italy, quali ad esempio, quelli della moda, del turismo, dell’alimentare.
La formazione di competenze digitali per i manager e per i dipendenti delle Pmi è uno dei pilastri fondamentali. La realizzeremo impegnando i fondi bilaterali. Attraverso Fondirigenti contiamo di formare circa 25mila dirigenti. Con Fondimpresa puntiamo alla formazione circa 75mila dipendenti. C’è da tener presente che solo il 4% dei dipendenti formati nel 2015 con le risorse dei fondi interprofessionali hanno fatto corsi di informatica. Infine le quote digitali nei CdA. Prevediamo di sensibilizzare imprenditori titolari e consigli di amministrazione al tema della trasformazione digitale attraverso la realizzazione di apposite Linee Guida in cui raccomandare, fra l’altro, l’inserimento di almeno un consigliere esperto digitale nei CdA, l’inserimento di una sezione su innovazione digitale nella relazione di bilancio.
Su questo fronte sono molto importanti gli sforzi da parte del Governo per mettere in campo politiche mirate di sostegno e di incentivi sul digitale e con il completamento delle infrastrutture di rete di comunicazione in banda ultralarga entro il 2020. Le linee d’intervento su Industria 4.0 pubblicate dal Mise- superammoratmento, iperammortamento, nuova Sabatini a favore del digitale, formazione di esperti attraverso sinergie tra università e imprese – rappresentano capitoli essenziali per supportare l’innovazione delle Pmi. Il nostro giudizio a caldo sul piano è positivo, sia per gli strumenti sia per le risorse.
Adesso occorre mettere in atto un grande sforzo di collaborazione pubblico–privata, diretto a sensibilizzare imprenditori e management e a costruire percorsi che fattivamente conducano imprese e filiere sulla via dell’innovazione, in termini tecnologici, finanziari e di cultura aziendale.