Il commento

Catasto delle reti, empasse da superare

Il riutilizzo delle infrastrutture esistenti potrebbe essere una chiave di volta per la NGN ma la fase attuativa resta ancora limitata ad iniziative locali. Il Catasto era presente in bozza ma è scomparso poi dal decreto Crescita 2.0. Un’altra opportunità persa?

Pubblicato il 22 Nov 2012

Simone Bonannini

Direttore Marketing e Commerciale di Open Fiber

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Quando iniziai a parlare di Catasto delle Reti oltre due anni fa mi sembrava di essere una “mosca bianca”, visto che il tema era d’interesse solo a pochi addetti ai lavori e rarissimamente trattato dai media. Nel corso degli ultimi mesi gli interventi sul tema si sono invece moltiplicati, e a ragione vista l’importanza del tema stesso, ma nonostante la varietà dei soggetti coinvolti e l’accordo sull’importanza della creazione di un catasto delle infrastrutture del sottosuolo, i risultati restano a mio avviso ancora deludenti (una norma sul Catasto era nelle ultime bozze del decreto Crescita 2.0 ma è stata poi rimossa, Ndr.).

Ci troviamo nuovamente davanti a quello che alcuni studiosi definiscono sviluppo “a macchia di leopardo” parlando di vari aspetti del tessuto economico o sociale italiano. Ci sono stati infatti esempi “illuminati” di regioni, enti o consorzi che si sono mossi in questa direzione a livello locale e tante buone intenzioni, anche a livello istituzionale, che però non hanno ancora portato ad passo concreto e istitutivo del Catasto stesso. Un inventario delle infrastrutture di reti esistenti è direttamente propedeutico e funzionale al processo d’implementazione economica e razionale delle reti di nuova generazione in fibra ottica. Questo il punto su cui concordano tutti quanti hanno espresso un parere in merito, e non solo in Italia. Il primo passo e’ ovviamente quello di individuare il soggetto pubblico super partes deputato alla gestione di tale inventario che dovra’ essere facilmente accessibile per gli addetti ai lavori. Non dovra’ in sostanza essere un ulteriore elemento di costo ma altresi’ uno strumento di lavoro per ridurre i costi a beneficio dell’utente finale.

Anche la Commissione Europea, in relazione all’Agenda Digitale, ha dichiarato che l’80% dell’investimento totale necessario allo sviluppo della larga banda è dovuto ai “civil infrastructure works”. Agli scavi, in altre parole. E si è spinta oltre dicendo che il costo è così alto per la mancanza di coordinazione tra i vari progetti di ingegneria civile e per il riutilizzo insufficiente delle infrastrutture esistenti (acqua, energia, strade, ferrovie). Concetti che appunto esprimiamo da anni ma che sono rimasti inascoltati fino ad ora. Forse perche’ fastidiosi per qualcuno?

In altri paesi dove questo è avvenuto ed è normato (il riutilizzo delle infrastrutture esistenti) come in UK, Francia o negli Stati Uniti, ci sono stati evidenti benefici per gli operatori (riduzioni dei costi), per il mercato (maggiore competizione) e ovviamente per gli utenti (servizi migliori a prezzi inferiori).

Spero non ci si trovi davanti all’ennesima “empasse normativa” che paralizza un processo necessario allo sviluppo del sistema paese. Che un Catasto delle infrastrutture di rete debba formarsi, essere gestito e alimentato secondo principi e interessi univoci e trasparenti è ormai assodato. Resta però il vuoto che soltanto un atto istituzionale può colmare, in cui tutti gli attori si riconoscano e abbiano interesse a sostenere. In sostanza non possiamo lasciare in mano ad iniziative lodevoli ma locali un tema cosi’ importante. Occorre un coordinamento ed un regolamento nazionale. Uguale su tutto il territorio. Mi dispiacerebbe rivedere la giungla di “gabelle” comunali che gli operatori hanno dovuto affrontare per la realizzazione delle loro reti alla fine degli anni ’90 ma che indubbiamente sono servite a sanare qualche bilancio comunale un po’ naif.

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