Con i progetti definiti nel quadro della Agenda digitale l’Italia ha riavviato il cantiere per la costruzione di una moderna società digitale. Come sa chiunque abbia vissuto in prima persona le diverse tornate dei progetti di e-government, i molti tentativi del passato sicuramente sono stati utili, hanno seminato aspettative e anche creato e diffuso competenze, ma alla fine non sono bastati a far fare al nostro paese quel salto qualitativo che tutti auspicavano. Ed infatti le statistiche che periodicamente compaiono sugli organi di stampa, da ultimo il Digital Economy and Society Index (DESI) 2016, da poco diffuso dalla Commissione europea, impietosamente collocano l’Italia nella fascia bassa della graduatoria.
Se dovessi indicare le principali ragioni del mancato successo, le individuerei in due elementi principali: da un lato nella farraginosità di tutto l’impianto normativo italiano, dall’altro nella eccessiva fiducia in una innovazione dal basso, stimolante ma anche poco coordinata, come base dei progetti di e-gov. Sulla inadeguatezza dell’impianto normativo italiano sono stati spesi fiumi di inchiostro, analogico e digitale, e non è il caso di tornarci in questa sede, se non per ricordare che la miglior Agenda digitale non potrà mai produrre l’innovazione attesa se non si mette mano ad una reale razionalizzazione normativa (preferisco usare il termine “razionalizzazione” perché non di rado la “semplificazione” ha prodotto buchi normativi od incertezze che hanno complicato la vita, sia a chi le leggi deve applicarle, sia a chi deve rispettarle). Quanto all’equilibrio tra centro e periferia, l’Agenda digitale nazionale ha dato atto che in alcuni ambiti le soluzioni non si possono ricercare partendo dai singoli territori, ma devono essere definite a livello nazionale, anche perché, e non può essere diversamente, sono compiutamente normate da leggi statali In questo senso va anche l’emendamento Quintarelli al disegno di legge di riforma costituzionale che riporta allo Stato la competenza legislativa esclusiva sul «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati, dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale e locale». Così i progetti che rappresentano il nucleo del progetto di digitalizzazione italiano sono ormai definiti a livello nazionale: è il caso della nuova anagrafe della popolazione (ANPR), delle credenziali di accesso ai servizi digitali (SPID), della fatturazione elettronica e dei pagamenti verso la PA e più in generale della creazione di un unico punto di accesso ai servizi (ItaliaLogin),insieme al progetto di diffusione della banda larga, che vede come attori anche le regioni.
Dobbiamo però porci una ulteriore domanda: la definizione e l’attuazione dell’Agenda nazionale costituiscono sicuramente condizioni necessarie per il progetto di digitalizzazione del Paese, ma sono sufficienti al suo successo? In realtà, a mio giudizio, devono essere considerati altri due livelli della PA, le regioni e le città metropolitane, che erogano un elevato numero di servizi verso cittadini ed aziende. Così come l’Agenda nazionale rappresenta la road map verso una Italia (e una PA) digitale, analogamente regioni e città metropolitane devono dotarsi di piani di medio periodo per la creazione delle infrastrutture e la costruzione dei servizi digitali che completano ed articolano quelli dell’Agenda nazionale, tenendo conto dei diversi ruoli istituzionali e delle specificità dei diversi territori. In altre parole, occorre definire delle Agende digitali regionali e metropolitane, che – partendo dai progetti nazionali e garantendo una coerenza di impianto territoriale – definiscano su un orizzonte pluriennale i progetti strategici di digitalizzazione, gli attori pubblici e privati coinvolti, i tempi di realizzazione e, non ultimo, le modalità di reperimento delle risorse necessarie. Resta fondamentale, inoltre, per prevenire “libri dei sogni”, ma anche per prevenire percorsi e progettualità entropiche, che ci sia comunque un soggetto in grado di coordinare le esperienze territoriali. Potrebbe essere la stessa AGID ad assumere su di sé questo ruolo? Personalmente posso solo auspicarlo, anche in coerenza con gli aspetti più razionalizzatori (e meno punitivi) delle nuove norme sulla programmazione della spesa ICT contenute nella Legge di Stabilità 2016.
Va però ulteriormente approfondito il rapporto tra l’ente “Città metropolitana” e la sua “Città capoluogo”. Inequivocabilmente la legge Del Rio assegna alla Città metropolitana il coordinamento dell’IT; l’indicazione è corretta, nel senso che i servizi digitali a cittadini ed imprese non possono essere circoscritti alla cinta daziaria di ogni singolo comune. E’ significativo in questo senso che l’Asse “agenda digitale” del PON Metro preveda la realizzazione di servizi condivisi su ambiti territoriali più ampi rispetto a quelli delle Città capoluogo, affidandone però la regia al capoluogo stesso, piuttosto che alla Città metropolitana. Ciò mette in luce (ma non necessariamente affronta) una criticità: storicamente le grandi città hanno avuto le risorse per dotarsi di una struttura tecnica e per sviluppare progetti spesso molto personalizzati sulla propria organizzazione e cultura aziendale.
Viceversa, gli enti più piccoli hanno basato la propria informatizzazione su prodotti di mercato acquisiti “chiavi in mano”, rinunciando ad eccessive personalizzazioni ma riuscendo comunque ad ottenere un buon servizio con costi di gestione contenuti. Per questa ragione lo sviluppo di progetti di digitalizzazione a livello di Città metropolitana dovrà tener conto di fabbisogni e di disponibilità di risorse molto differenziate tra la Città capoluogo e la restante parte del territorio. In teoria, tecnologia e mercato offrono soluzioni più che valide per superare questa dicotomia, ma in realtà, a mio giudizio, potrà non essere così facile superare le prevedibili resistenze sia all’interno degli enti (che potrebbero ritenersi limitati nella propria autonomia e nella propria cultura istituzionale), sia da parte delle aziende fornitrici, comprensibilmente impegnate prima di tutto a preservare la propria quota di mercato.
In ultimo, va esplorata la possibilità e la modalità di cooperazione tra le diverse Città metropolitane, e in particolare tra le Città capoluogo. In questo caso si tratta di amministrazioni che, pur con il freno rappresentato dalla legacy dei sistemi già attivi e da normative regionali o regolamenti spesso diversificati, hanno fabbisogni e risorse abbastanza simili. Il costante scambio di informazioni, il riuso di applicativi e la cooperazione nello sviluppo di nuovi sistemi rappresentano una potenzialità che dovrà essere sfruttata per un salto qualitativo nel processo di digitalizzazione della PA e della società italiana.