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Cloud al bivio della sostenibilità: le mosse strategiche delle aziende



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Tra energia rinnovabile e consumi in aumento, i provider cloud sono costretti a ripensare il modello di sviluppo. Serve un approccio sistemico che coinvolga istituzioni, mercato e società

Pubblicato il 6 dic 2024

Gianluca Marcellino

Demand Officer, Comune di Milano



cloud e sostenibilità (1)

Il settore del cloud, da sempre tra i più attenti al proprio consumo di energia, ora cresce tanto da misurare, prima di industrie più tradizionali, i limiti della strategia di sostenibilità seguita fino ad oggi. Sceglierà di temporeggiare come trasporti, edilizia e manifattura o sarà il primo a imboccare una strada nuova?

Dalla sostenibilità di ieri a quella di domani: l’infrastruttura cloud in transizione

Come abbiamo proposto nell’articolo precedente, è proprio nel 2024 che i più grandi gestori di infrastrutture cloud e data centre, i più attenti alla propria sostenibilità e i più ambiziosi negli obiettivi di annullamento delle emissioni di carbonio equivalente, si sono accorti che la strategia di sostenibilità seguita in questi decenni è in difficoltà. Due dei tre principali hyperscaler del mondo occidentale, Microsoft e Google Cloud, hanno riconosciuto che le loro emissioni di carbonio equivalenti sono aumentate molto dal 2020 al 2023, soprattutto misurandole lungo l’intero ciclo di vita dell’infrastruttura, dalla costruzione dei data centre e fabbricazione degli apparati, alla gestione e alimentazione durante il loro funzionamento, fino al riuso, dismissione e smaltimento a fine vita.

Il motivo, in prima approssimazione, è semplice: fino al 2021-22, per migliorare la sostenibilità bastava comprare energia verde e ridurre i consumi. La prima azione aumentava i costi, ma la seconda li diminuiva, rendendo la trasformazione economicamente giustificabile. Oggi la crescita in valore assoluto della domanda di servizi digitali è così veloce che le emissioni di anidride carbonica equivalente crescono molto più di quanto l’ottimizzazione riesca a ridurle. Il settore delle infrastrutture digitali diventa grande (qualche punto percentuale dell’economia mondiale) e si trova ad affrontare i problemi dei grandi, compresa la difficoltà a conciliare i conti con le buone intenzioni.

Due modi di compensare l’energia non rinnovabile consumata: con certificati di acquisto “bundled” e ”unbundled”

Occorre ricordare che Amazon, il primo dei tre grandi hyperscaler occidentali, ha invece raggiunto i propri obiettivi di neutralità carbonica già nel 2023, sette anni prima del 2030 inizialmente dichiarato. È una situazione ben diversa e apparentemente opposta a quella descritta da Google e Microsoft. Come mai? In attesa che i tre operatori siano disponibili a discutere direttamente questa differenza, si possono evidenziare due aspetti:

  • Amazon gestisce la propria sostenibilità a livello di gruppo. I dati sulla sostenibilità del cloud sono dichiarati e gestiti insieme a quelli sul business complessivo, in particolare di logistica e commercio elettronico, un settore energivoro con caratteristiche molto diverse, benché tutt’altro che facile da decarbonizzare.
  • Google e Microsoft si pongono nel raggiungimento dei propri obiettivi un vincolo che chi scrive fatica a identificare nel report di Amazon: acquistare energia rinnovabile che corrisponda a quella che effettivamente consumano “ora per ora” e “in ciascuna delle reti elettriche” dove opera la loro infrastruttura.
    Tutti questi hyperscaler, e con loro tutti gli operatori di infrastrutture digitali, consumano anche energia non rinnovabile, e compensano questo consumo acquistando dei certificati di produzione di energia rinnovabile (Renewable Energy Certificates o Energy Attribute Certificates) con i quali compensare l’energia non rinnovabile che consumano. I certificati “bundled” riguardano energia prodotta nella stessa regione geografica dove funziona ciascun elemento di infrastruttura, e in certi casi negli stessi orari nei quali l’infrastruttura la consuma.
    Alcuni analisti considerano questo criterio aggiuntivo, più restrittivo di quelli imposti dai principali standard di sostenibilità mondiali, utile per limitare equivoci o addirittura frodi spesso segnalati nel mercato di questi certificati.

Le esperienze concrete sul campo

Vediamo ora una serie di altre esperienze sul campo: come vari operatori globali, nazionali e locali – qui in ordine alfabetico – gestiscono la propria sostenibilità in modo tradizionale, e alcuni prefigurano la ricerca di nuove strategie, più adeguate a ridurre l’impatto ambientale dell’infrastruttura digitale lungo l’intero ciclo di vita.

Aruba

In Aruba, il principale operatore nazionale in ambito cloud e data centre, “siamo consapevoli delle crescenti esigenze energetiche globali e della necessità di gestire l’aumento della domanda di energia in modo sostenibile”, dichiara Giancarlo Giacomello, Head of Data Centre Offering. “Il nostro approccio combina tecnologie avanzate, efficienza energetica e uso di fonti rinnovabili. L’efficienza energetica è parte integrante della progettazione e realizzazione delle nostre strutture green by design fin dalla prima fase di ideazione. Per esempio, pensiamo alla presenza di risorse rinnovabili da cui poter produrre energia pulita nell’area in cui si andrà ad edificare.”

Per questo Aruba affronta la crescita della domanda con una strategia di espansione dal nord Italia verso il centro e lo sviluppo di capacità proprie di produzione di energia rinnovabile.
L’espansione oggi si basa in particolare sul nuovo “Hyper Cloud Data Center” IT4 di Roma, un campus inaugurato il 2 e 3 ottobre scorsi, predisposto per ospitare fino a 5 data centre del tutto indipendenti per un totale di 30 MW di potenza IT, tutti alimentati da fonti rinnovabili, compresi impianti fotovoltaici realizzati insieme al campus.Per dimensioni, modernità e soprattutto per la sua collocazione a Roma, hub digitale emergente dove sta concentrandosi una seconda ondata di sviluppi dopo quella avviata in Lombardia nel quinquennio 2018-2023 delle prime regioni cloud nazionali, questa iniziativa “rappresenta un traguardo importante … per l’infrastruttura digitale italiana”, come ha confermato a nome del Ministero delle Imprese e del Made in Italy il capo di gabinetto Adolfo Eichberg durante l’inaugurazione. La nuova struttura nasce per servire i clienti più esigenti, dagli hyperscaler alle pubbliche amministrazioni che gestiscono dati strategici. Per garantire l’approvvigionamento di energia rinnovabile, Aruba sta sviluppando capacità di produzione proprie, anche dotandosi di centrali idroelettriche, spesso ottenute in forte legame con i territori locali rinnovando e riattivando impianti storici, magari dismessi decenni fa, che ritornano promettenti in una prospettiva di sostenibilità climatica ed economica combinate. Oggi Aruba dispone di 8 centrali per circa 10 MW complessivi: 3 sul Brembo nella sede storica di Ponte San Pietro, di cui una all’interno del Global Cloud Data Center, 2 sul Lambro a Melegnano, 2 sull’Astico in provincia di Vicenza e una sul Fella a Pontebba.

Grazie a questa combinazione di iniziative, Aruba è uno dei primi operatori italiani che, dopo aver aderito al Climate Neutral Data Centre Pact, ha già superato l’audit previsto e ottenuto la certificazione dell’adesione al Self-Regulatory Initiative e quindi di conformità ai termini del patto. Con queste azioni Aruba conferma il proprio impegno per il raggiungimento e il mantenimento degli obiettivi di sostenibilità del CNDCP, con l’obiettivo di rendere i data centre climaticamente neutri entro il 2030.

Capgemini

Capgemini, partner globale per la trasformazione tecnologica e di business delle aziende, offre servizi e soluzioni end-to-end, dalla strategia e progettazione all’ingegneria, grazie alle sue competenze all’avanguardia in ambito AI, cloud e dati, alla sua esperienza nei diversi settori del mercato e al suo ecosistema di partner.

Capgemini supporta le organizzazioni nel loro sustainability journey in tre step:

  • Li accompagna nella definizione della strategia net zero, che richiede di trasformare il design e i modelli di business.
  • Li assiste nella realizzazione degli obiettivi di sostenibilità attraverso la progettazione di prodotti e servizi sostenibili.
  • Aiuta ad impostare il monitoraggio e la gestione delle attività per gestire le esigenze della strategia in maniera flessibile.

Per quanto riguarda i servizi digitali, Capgemini considera il consumo energetico e l’impronta carbonica dei data centre temi cruciali per la sostenibilità. I data centre, infatti, richiedono molta energia per il funzionamento, e soprattutto per il raffreddamento dei server. Gioca un ruolo fondamentale, quindi, il processo di ottimizzazione dell’infrastruttura e anche del codice degli applicativi, che è essenziale per ridurre il consumo di risorse. La practice “Sustainability and Climate Change” di Capgemini Engineering, un global business line del gruppo, offre soluzioni concrete per migliorare l’efficienza dei server e del software, contribuendo alla diminuzione del carico di lavoro, quindi riducendo la necessità di energia e raffreddamento, e di conseguenza le emissioni di CO2.

Le profonde competenze del team nelle tecnologie più avanzate fanno leva anche sull’intelligenza artificiale, utilizzando algoritmi avanzati per monitorare e prevedere le esigenze di raffreddamento, ottimizzare l’uso delle risorse e ridurre ulteriormente il consumo energetico e l’impatto ambientale.

Per Capgemini è necessario valutare l’impronta ambientale dei data centre, come quella di un qualsiasi altro prodotto o servizio, “dalla culla alla bara”, tenendo cioè in considerazione tutte le fasi del ciclo di vita:

  • la progettazione e realizzazione del data centre, inclusa la produzione delle materie prime e dei prodotti utilizzati
  • il trasporto delle materie prime, dei prodotti o semilavorati;
  • la fase di cantiere
  • l’esercizio del data centre, caratterizzato dall’assorbimento di energia dei server e dei servizi ausiliari in particolare legati al raffrescamento dei locali
  • la manutenzione, tanto dell’edificio quanto dei sistemi informatici
  • il fine vita, legato alla demolizione, all’allontanamento dei rifiuti e al loro trattamento.

Per quantificare gli impatti ambientali gli esperti di Capgemini propongono alle imprese l’LCA (Life Cycle Assessment), regolamentato dalle ISO 14040 e 14044. L’LCA permette di individuare gli hotspot (materiali, prodotti, lavorazioni, fasi del ciclo di vita) responsabili dei maggiori impatti, che si possono misurare attraverso vari indicatori, come il Global Warming Potential, l’Acidification Potential o l’Abiotic Depletion Potential, legato al consumo delle risorse fossili.

Questo quadro metodologico evidenzia bene ampiezza e complessità multidisciplinare della questione, e può essere utile sia per specialisti della gestione di data centre, sia per i loro fornitori, e soprattutto per le organizzazioni che consumano i servizi digitali basati su questa infrastruttura.

Gaia-X

Questa associazione europea di operatori dell’ecosistema cloud, descritta in un articolo precedente, sviluppa un’architettura per condividere, comprare e vendere dati in maniera controllata e interoperabile in piena fiducia. È una sorta di camera di compensazione digitale tra spazi dati (data spaces) controllati da organizzazioni e consorzi diversi ma federati e interoperabili grazie agli standard che l’associazione definisce. I suoi principali contributi alla sostenibilità dell’infrastruttura cloud sono:

  • Favorire il riuso e la condivisione di dati che altrimenti sarebbero duplicati e, peggio, prodotti in versioni diverse, incoerenti e proprietarie da operatori in concorrenza tra loro.
  • Aumentare il valore e il beneficio dei servizi digitali che grazie a questi dati si possono fornire negli ecosistemi più diversi. Questo valore si propaga agli operatori dell’infrastruttura permettendo loro di impegnare maggiori risorse nella sostenibilità dell’infrastruttura stessa.

Il superamento di forme tradizionali e limitate di condivisione dei dati potrebbe essere una delle nuove forme di efficienza e valorizzazione delle infrastrutture che gli operatori all’avanguardia del settore stanno cercando per continuare a raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità, anche di fronte alla crescita sempre più rapida della domanda di servizi digitali e dei consumi di risorse per soddisfarla.

IBM

IBM aiuta le aziende a gestire la loro sostenibilità, e insieme gestisce, come parte della propria, la sostenibilità dei numerosi data centre che usa per erogare ai clienti servizi digitali.

Per quanto riguarda i clienti italiani, la priorità di IBM oggi è il supporto all’adozione della Corporate Sustainability Reporting Directive dell’UE. Tutte queste aziende, sottolinea Emiliano Pacelli, Senior Sustainability Software Technical Specialist Manager per l’Italia, “dovranno dimostrare nel bilancio di sostenibilità il loro progresso verso obiettivi misurabili. Per molte, sarà la prima volta.” A queste imprese IBM propone una soluzione SaaS detta Envizi, che aiuta a rendicontare un bilancio di sostenibilità e soprattutto a monitorare continuamente l’andamento dell’attività rispetto agli obiettivi, per definire misure di miglioramento.

Più complessa la situazione per organizzazioni, come in questo articolo i gestori di data centre, che vogliano estendere i propri obiettivi di sostenibilità anche all’ambito 3, per IBM le emissioni indirette della filiera produttiva. Qui IBM supporta tre approcci:

  • classificare, tramite un questionario di conformità, tutti i piccoli fornitori che ancora non producono un rapporto sulla sostenibilità pubblico
  • integrare digitalmente i dati dai report sulla sostenibilità dei fornitori che li producono
  • usare soluzioni basate sull’AI generativa capaci di classificare le emissioni sulla base dei dati provenienti dai propri applicativi gestionali (ERP).

Per la gestione e indirettamente la sostenibilità di infrastrutture digitali, IBM propone una soluzione per l’automazione dell’esercizio pure basata su IA: Turbonomic, adottata ad esempio da Roma Capitale. Con soluzioni simili si analizza l’uso delle macchine fisiche e virtuali disponibili, sia di proprietà dell’organizzazione utente, sia ospitate in cloud, per ottimizzarne l’uso e quindi ridurre i costi mantenendo elevati i livelli di servizio. Per organizzazioni specializzate nella gestione di queste infrastrutture, un forte contributo alla sostenibilità e alla sicurezza può venire da soluzioni di Enterprise Asset Management come IBM Maximo, che permettono ad esempio di prevedere e prevenire guasti e di raggiungere livelli di efficienza ancora maggiori sulle infrastrutture più complesse.

Per diffondere questi strumenti e queste pratiche sul mercato italiano, particolarmente frammentato, IBM collabora con una serie di partner globali e nazionali che seguono in maniera specialistica i diversi segmenti del mercato, come la stessa Var Group che, per i servizi di ESG ai propri clienti descritti meglio nell’articolo precedente, usa anche proprio Envizi.

Intacture di Trentino DataMine

In un mondo di infrastrutture globali che dal 2008 al 2022 hanno cercato di farci dimenticare che la geografia conta, vale la pena di esaminare un modo diverso di potenziare l’infrastruttura digitale italiana: rispondere a un’esigenza soprattutto locale con una soluzione profondamente locale proposta da un ecosistema squisitamente locale. Presentato il 2 ottobre 2024, Intacture è un data centre edge (quindi volto a soddisfare esigenze di prossimità, in particolare ad ospitare servizi che mal tollerano la latenza, il ritardo, che si verifica quando il servizio richiesto si trova a centinaia di chilometri di distanza o dall’altra parte del mondo), capace di ospitare a regime una potenza nominale fino a 5 MW, elevata per questa tipologia, inizialmente dedicato a servizi di colocation per imprese locali, istituzioni pubbliche ed enti di ricerca del territorio, con l’aspirazione di proporsi anche ad Italia settentrionale, Germania meridionale e paesi limitrofi. Alle comunità della provincia e della regione sarà rivolto il polo di innovazione che lo correderà, dove università, centri di ricerca e startup potranno usare i servizi del data centre per sviluppare soluzioni innovative, integrando così ancora meglio il data centre nella comunità e facendone un volano di trasferimento tecnologico tra ricerca e industria e tra territorio e il resto d’Italia e d’Europa.

La caratteristica distintiva del progetto è la collocazione in una miniera, di dolomia, attiva. Questa caratteristica unica, almeno in tutta Europa, offre importanti vantaggi:

  • Minimo consumo di suolo e impatto paesaggistico, preziosi in un’area a forte vocazione agricola e turistica. L’80 per cento dei volumi si sviluppa infatti sottoterra.
  • Riuso, circolarità e sostenibilità, perché valorizza i vuoti di cava studiati ad hoc durante l’attività estrattiva della dolomia e ora disponibili per altri usi. Spazi simili, anche nella stessa miniera, sono in uso già oggi per la conservazione delle mele Val di Non DOP, dello spumante Trentodoc e del formaggio del Concast: questa impresa innovativa si integra così nella tradizione dell’imprenditoria locale.
    La collocazione scelta facilita anche l’approvvigionamento di energia elettrica rinnovabile: il centro userà solo energia di questo tipo.
  • Efficienza energetica: la collocazione a 600 metri sul livello del mare e in sotterraneo mantiene l’ambiente a una temperatura costante di 12 gradi centigradi, riducendo notevolmente consumi e quindi costi del raffreddamento, tra i più importanti per ogni infrastruttura di questo tipo.
  • Elevata sicurezza fisica ed elettromagnetica, grazie alla protezione della montagna stessa, che lo rende “The Natural Home of Data” per le organizzazioni del territorio.

Altrettanto peculiare, e ancora più significativa qui, è la natura giuridica ed economica dell’impresa. Trentino Datamine, la società che gestisce il progetto, è un partenariato pubblico-privato di cui l’Università di Trento, soggetto attuatore e guida scientifica del progetto, detiene il 49 %, mentre il 51% è di un raggruppamento di imprese selezionato tramite gara pubblica che comprende l’impresa edile e promotore Covi Costruzioni, l’acceleratore di tecnologia e business Deda Group, il Gruppo Gpi specializzato in digitalizzazione in ambito sanitario e ISA-Istituto Atesino di Sviluppo, una holding attiva in investimenti di lungo periodo nel Trentino-Alto Adige e regioni limitrofe da oltre 90 anni. Ciascuno di questi operatori, tutti fortemente radicati nella provincia di Trento, conferisce all’impresa le proprie competenze distintive, e le sviluppa in questa realizzazione innovativa. In particolare:

  • Il gruppo Covi, che conosce bene la complessità geologica del sito e, con l’azienda Tassullo, già progetta e gestisce l’estrazione dalla miniera in funzione della rigenerazione degli spazi e la creazione di magazzini altamente sostenibili, ha trovato nel progetto di Intacture un’opportunità creativa per la riqualificazione e lo sviluppo culturale, economico e sociale del territorio.
  • Deda Group, uno dei principali gruppi tecnologici a capitale interamente italiano, che aiuta organizzazioni pubbliche e private a gestire progetti di trasformazione digitale, ha contribuito alla progettazione, realizzazione e proposta sul mercato di Intacture. Deda userà il data centre per erogare servizi cloud e SaaS, aiutando Intacture a inserirsi in un ecosistema nazionale ed internazionale.
  • Gpi, che in Intacture si considera partner tecnologico, di visione e commerciale, userà il data centre per erogare servizi SaaS e progetti innovativi per la trasformazione della sanità, in particolare applicazioni dell’intelligenza artificiale come machine learning, deep learning, IA generativa e reti bayesiane.
  • Istituto Atesino di Sviluppo applica ad Intacture la conoscenza dell’economia del territorio, le proprie capacità di far incontrare capitali privati e di istituzioni finanziarie in un impegno di lungo termine e competenze e cultura di governance, trasparenza e sostenibilità.

L’ulteriore competenza distintiva, quella per il progetto del data centre stesso, viene da In-Site, società di ingegneria integrata specializzata nella progettazione e realizzazione di infrastrutture tecnologiche complesse.

I fondi, circa 50 milioni di Euro, vengono per 18,4 milioni dal PNRR e per il resto da risorse private.

Ora che la cosiddetta economia dei data centre sta affermandosi in Italia, Intacture sarà un prototipo prezioso di come iniziative di prossimità, con radici antiche e concezione nuova, possano integrarsi con le grandi innovazioni mondiali e nazionali e complementarsi reciprocamente.

Kyndryl

Kyndryl si presenta come il principale fornitore mondiale di servizi di infrastruttura IT. Secondo Raymond du Toit, Sustainability Program Lead per l’Italia, “il percorso verso la sostenibilità si complica di giorno in giorno”, sia per la società, sia per i suoi clienti, per la crescita della domanda legata in particolare all’intelligenza artificiale, una componente che in questi anni ha colto di sorpresa anche gli operatori più esperti. In altre parole, osserva, “L’adozione del cloud e delle tecnologie digitali nel senso più ampio sta progredendo più velocemente della trasformazione energetica”. La situazione è particolarmente evidente nel settore delle infrastrutture digitali: da una parte perché costo e impatti ambientali dell’energia sono una quota relativamente elevata del giro d’affari totale, e dall’altra perché l’attenzione delle autorità e delle comunità, soprattutto locali, all’impatto energetico, idrico e ambientale di ciascun data centre è altrettanto intensa. In altri mercati più vicini alla vita quotidiana di tutti, come quello dei veicoli elettrici, la lontananza o addirittura l’allontanarsi progressivo degli obiettivi di sostenibilità lungo l’intero ciclo di vita dalla costruzione degli impianti allo smaltimento di rifiuti e componenti può rimanere implicito a lungo.

Per quanto riguarda i propri data centre, Kyndryl ha adottato lo European Code of Conduct for Data Centres per decine dei propri siti europei, e sta diffondendolo agli altri. Al di là delle buone pratiche EU DC COC, che riducono i consumi unitari di risorse, compresa l’energia, per migliorare la sostenibilità complessiva è essenziale coordinarsi con i fornitori dell’infrastruttura. Kyndryl collabora con loro concordando limiti che contribuiscano sia all’efficienza dell’intera filiera, sia alla riduzione degli impatti ambientali di Kyndryl e dei suoi clienti lungo tutto il ciclo di vita dell’infrastruttura digitale.

In questa fase di forte evoluzione, con una profonda revisione sia degli obiettivi a medio termine, sia di come raggiungerli, il ruolo che Kyndryl vede per sé è soprattutto di supporto ai propri clienti: sia nel definire obiettivi che soddisfino le esigenze e priorità di ciascuno, molto diverse anche a seconda del settore, sia nel progettare e attuare pratiche adeguate a raggiungerli, in collaborazione con i fornitori e clienti specifici di ciascuna filiera. La conoscenza e l’esperienza concreta che Kyndryl ha dei fornitori dei diversi mercati, e delle architetture e processi del cloud ibrido sono gli strumenti qualificanti per svolgere questo ruolo. Le dimensioni principali dell’evoluzione da perseguire sono l’uso di data centre altamente efficienti ed alimentati da energia rinnovabile, l’adozione di pratiche circolari per le apparecchiature, architetture progettate fin dall’inizio per la massima sostenibilità e servizi specializzati e strumenti automatizzati, anche per il calcolo degli impatti ambientali.

Unidata

Questo operatore ISP infrastrutturale, provider di servizi in cloud e IoT, si distingue dagli altri citati in questo articolo per la collocazione a Roma, dove si stanno concentrando diverse iniziative di sviluppo dell’infrastruttura digitale nazionale, per le dimensioni contenute rispetto ai grandi operatori di settore – il data centre a Roma ha una disponibilità di potenza di 500 kW – e soprattutto per il ruolo di guida operativa e catalizzatore di importanti iniziative di sviluppo dell’infrastruttura digitale nazionale come la joint venture Unitirreno S.p.A., per la posa di un cavo sottomarino che si estenderà da Mazara del Vallo a Genova, con due sbracci verso Roma-Fiumicino e la Sardegna, e un nuovo green data centre TIER IV a Roma, con una potenza di circa 16 MW. In quali settori un fondo aiuta un operatore locale a potenziare la capacità produttiva di… 32 volte in un’unica iniziativa?

Renato Brunetti, Presidente & CEO, ha descritto il ruolo della sostenibilità per questo attore di medie dimensioni in fortissima evoluzione.

Attualmente, il data centre utilizza già energia 100% certificata green, grazie ad un’oculata selezione nella fornitura ed alla produzione di energia rinnovabile da pannelli fotovoltaici monocristallini per una capacità di produzione solare autonoma, sufficiente a compensare il maggior costo dell’energia verde. Miglioramenti pianificati con il nuovo sito sono:

  • Impianti geotermici per il raffreddamento;
  • Una produzione solare che coprirà una quota più elevata dei consumi;
  • Batterie abbastanza potenti da smussare i picchi di consumo e soprattutto quelli di costo dell’energia, che altrimenti andrebbe acquistata nelle ore di maggior domanda.

Sull’ultimo punto Brunetti ci ricorda che in Italia l’attenzione ai costi dell’energia è elevata, perché qui sono più alti, mentre il beneficio dell’ultimo punto è inferiore rispetto a paesi come la Spagna che, grazie a forti capacità di produzione di energia solare, offrono energia a prezzi addirittura negativi nei momenti di massima insolazione.

Anche Unidata vede nella diffusione dell’intelligenza artificiale un importante stimolo alla crescita della domanda. Per Brunetti l’IA ha un impatto ancora superiore sull’altra componente essenziale dell’architettura dei data centre: il raffreddamento. La densità di potenza degli elaboratori usati (anche 20 kW per armadio) costringe a far evolvere profondamente le tecnologie, abbracciando sempre più il raffreddamento a liquido. Un aspetto importante di questa trasformazione, complessa e costosa, è che aiuta a condividere con i clienti del data centre il costo del raffreddamento, e quindi l’attenzione nel gestirlo. Mentre nelle architetture di raffreddamento ad aria tradizionali energia e costo della circolazione forzata riguardano il gestore del data centre e solo indirettamente i suoi clienti, infatti, con il raffreddamento a liquido il costo di allestimento e quello di gestione si spingono all’interno dei singoli armadi, e si possono quindi attribuire facilmente al cliente specifico che li occupa.

Per quanto riguarda il più ampio ambito 3, la sostenibilità sull’intera catena di fornitura, Paolo Bianchi, nella sua qualità di Sustainability Manager, ha sottolineato che la trasformazione di Unidata in Società Benefit ha portato ad un maggiore impegno programmatico e strategico nei molti filoni di attività rientranti nel paradigma ESG.

Da giugno 2023 l’azienda, ammessa al mercato Euronext STAR Milan di Borsa Italiana, richiede ai propri fornitori requisiti e certificazioni ESG, come condizione necessaria, e si è resa protagonista di diverse trasformazioni in ambito Governance a beneficio dell’attività di indirizzo e di gestione, quali la costituzione di comitati endoconsiliari, l’istituzione della funziona di Internal Audit e la nomina di un Dirigente Preposto.

Per la componente Social (corrispondente alla S di ESG), Unidata collabora con Fondazione Mondo Digitale, di cui è presidente lo stesso Renato Brunetti, in attività volte anche alla diffusione della cultura digitale a comunità e persone fragili.

Le infrastrutture digitali al bivio della sostenibilità

Fin da prima del cloud, quello dell’energia è uno dei costi ricorrenti principali delle infrastrutture digitali. Dalla nascita del cloud, è diventato l’unico costo ricorrente che conta: il più grande, oggetto di decenni di miglioramenti, ottimizzazioni e innovazioni. L’incentivo economico a ridurre i consumi di energia, in particolare quelli per il raffreddamento, si è combinato con quello sociale e politico a dimostrarsi un settore consapevole, attento all’impatto sull’ambiente e sulle comunità e quindi sostenibile in un senso più profondo, a partire dall’uso di energia rinnovabile e dal consumo di acqua.

La combinazione di questi due incentivi ha spinto il settore dell’infrastruttura digitale ad assumersi un ruolo di avanguardia sul tema della sostenibilità, rispetto a quelli più tradizionali – e storicamente molto più grandi – come l’edilizia, i trasporti o la manifattura. Le esperienze concrete citate in questo articolo e nel precedente indicano che il settore dell’infrastruttura digitale presta alla sostenibilità, e in particolare alla sostenibilità in ambito 3, estesa all’intero ciclo di vita, un’attenzione ancora oggi molto superiore a quella di settori che tutti ci aspettiamo all’avanguardia, come la mobilità elettrica o la stessa produzione di energia rinnovabile. Le infrastrutture digitali sembrano davvero all’avanguardia nel perseguire obiettivi di sostenibilità.

Nel 2024, la crescita della domanda di servizi cloud è accelerata nuovamente, spinta dalla digitalizzazione stessa, dalla domanda di cloud sovrano e infine dall’intelligenza artificiale generativa. È ormai evidente che consumi e impatto ambientale complessivo del settore stanno crescendo tanto da mettere in dubbio gli obiettivi di sostenibilità assunti e dichiarati appena quattro o cinque anni prima. Le infrastrutture digitali si trovano quindi ad un bivio strategico:

  • Continuare ad affrontare il problema che sappiamo risolvere, riducendo e ottimizzando i consumi per unità di potenza, acquistando tutta l’energia verde disponibile, acquistando energia nucleare e producendone per se stessi. Questo significa rinviare il problema strutturale della crescita assoluta insostenibile a quando la ricerca avrà trovato delle soluzioni possibili, oppure
  • Dichiarare esplicitamente che crescere per soddisfare la domanda in crescita libera è incompatibile con gli obiettivi di sostenibilità, e che occorre trovare fuori dalla tecnologia digitale, nella società e nella politica, gli strumenti e gli incentivi necessari per contenere questa crescita e renderla sostenibile.

Dalle esperienze concrete raccolte in questi due articoli sembra che almeno alcuni degli operatori più grandi, globali e internazionali, e il mondo della ricerca accademica siano pienamente consapevoli della situazione e comincino a imboccare la seconda strada, con cautela e gradualmente. Sono quelli che nei loro documenti di ESG dichiarano l’allontanamento degli obiettivi e magari l’impegno a far sviluppare mercati a dir poco embrionali come quelli dell’acciaio e del cemento sostenibili.

Questi operatori all’avanguardia stanno già esplicitando che dovranno essere i governi a incentivare cittadini e organizzazioni a concentrare la domanda di servizi cloud verso quelli più utili, riducendo per esempio quella di intrattenimento on demand in alta definizione e mail di marketing? Non ancora, anche se qualcuno a voce ha adombrato scenari simili.
Difficile dire quando le relazioni ESG annuali di questi operatori, e la loro azione di lobbying, arriveranno a richiedere esplicitamente strumenti come una carbon tax. Quello che si può già fare è prevedere che succederà presto, e che questi operatori all’avanguardia trascineranno con sé anche la grande maggioranza di operatori, grandissimi, medi e piccoli, che ancora oggi scelgono di scrivere e parlare solo di ottimizzazione e di energia rinnovabile, necessaria ma evidentemente insufficiente, vera e propria linea Maginot della sostenibilità delle infrastrutture digitali.

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