Fin dalla sua nascita, il cloud pubblico si propone come servizio digitale molto più efficiente dei data centre tradizionali. È questa efficienza incomparabile a rendere il cloud più sostenibile delle infrastrutture digitali on premise, quelle gestite da chi le utilizza o da specialisti su scala media e piccola.
Ampliando la prospettiva, la trasformazione digitale stessa, che il cloud abilita, migliora la sostenibilità: riduce il consumo di risorse materiali, permette agilità ed efficienza superiori e rende possibili nuovi servizi impensabili in un mondo analogico.
Governi e comunità locali richiedono al settore di essere verde. Per anni i gestori di infrastrutture hanno trovato facile giustificare gli investimenti relativi. La voce chiave dei loro costi è proprio l’energia, per il funzionamento delle macchine e per il loro raffreddamento, quindi ogni investimento in efficienza per migliorare la struttura dei costi contribuiva anche alla sostenibilità. Per questo, i grandi operatori del cloud si diedero negli anni obiettivi di sostenibilità molto ambiziosi, in particolare la neutralità carbonica netta, per lo più entro il 2030 o il 2040. Per diversi anni l’impresa sembrava praticabile, se non certo facile. Le cose fondamentali da fare erano due:
- consumare energia rinnovabile e altre forme prodotte senza emissioni di carbonio (“Carbon-Free Energy”), e
- migliorare l’efficienza per ridurre i consumi.
I risparmi della seconda azione compensavano i costi della prima: si poteva quindi fare bene al bilancio e al pianeta insieme.
I data centre e il cloud diventano adulti: la scelta sostenibile diventa difficile
Come questa serie di articoli sostiene fin da luglio 2023, nel 2022 il cloud è diventato adulto: per la prima volta nella sua vita il ritorno della guerra in Europa ha acceso l’inflazione e il desiderio di sovranità. L’anno dopo, l’intelligenza artificiale generativa si è unita alla digitalizzazione nel far crescere la domanda di infrastrutture ben più della disponibilità di energia verde. Per la prima volta, il cloud si trova di fronte a una scelta da grandi: aumentare la sostenibilità comincia a peggiorare i profitti anziché migliorarli. Come per gli altri settori energivori dell’economia, cuore e portafoglio entrano in tensione.
Per la verità, esperti di economia, innovazione e sostenibilità con prospettive più ampie avevano già evidenziato criticità significative. Nel 2021 il MIT aveva avviato una serie di casi di studio sulle responsabilità sociali ed etiche dell’informatica, chiamando “sconcertanti” (staggering) proprio gli impatti ecologici dell’informatica e del cloud.
La ricerca sull’impatto ambientale del cloud in Italia
In Italia, dove arriva proprio in questi anni l’onda della domanda di potenza cloud che anni fa aveva raggiunto Irlanda e Regno Unito, Francia, Germania e Paesi Bassi, se ne è occupato un gruppo di economisti dell’università di Padova coordinato dal professor Marco Bettiol e dalla professoressa Eleonora Di Maria. La loro ricerca:
- applicava il metodo Life Cycle Analysis, cioè l’analisi delle emissioni e impatti di un data centre su tutto il suo ciclo di vita, dalla costruzione e fabbricazione di edifici e apparati, alla gestione per erogarne i servizi, al loro riuso, demolizione e dismissione. Questo metodo è l’unico adeguato a fornire un quadro esauriente degli impatti ambientali;
- Affrontava un caso concreto a loro particolarmente accessibile, quello di VSIX (Centro di Ateneo per la Connettività e i Servizi al territorio dell’Università di Padova) che eroga servizi di colocation e costituisce l’Internet Exchange Point (IXP) del Nordest Italia.
Il primo risultato della ricerca fu che, anche in questo caso particolarmente visibile e trasparente, perché l’Università di Padova ha pieno accesso alle informazioni sulla gestione dell’infrastruttura, le informazioni sull’impatto ambientale erano molto parziali: appena sufficienti per una stima quantitativa quelle su processi e attori a monte, del tutto insufficienti quelle a valle.
Il secondo, ancora più importante, fu che oltre il 60% delle emissioni totali analizzabili si devono alla realizzazione del data centre, e meno del 40% al funzionamento. Qualsiasi valutazione della sostenibilità delle infrastrutture digitali deve quindi estendersi all’ambito 3 (“scope 3”) che comprende appunto l’intero ciclo di vita.
In un aggiornamento nell’estate 2024, il professor Bettiol ha confermato che le informazioni sulle emissioni incorporate in edifici e apparati sono ancora scarse, pur se le direttive ESG europee, che stimolano i fornitori a raccoglierle e condividerle, aiutano a diffondere la consapevolezza del tema, un passo importante per far progredire la gestione della sostenibilità nel settore.
Gli operatori del settore sono ben consapevoli della situazione, come vedremo di seguito: molti dei più attenti già riferiscono sulla propria sostenibilità anche in ambito 3. Preparando questa pagina, però, due segni hanno evidenziato cautela, o addirittura disagio:
- Alcuni gestori di infrastrutture digitali, globali e locali, hanno declinato cortesemente l’opportunità di descrivere la propria strategia di sostenibilità, rinviando ai comunicati ufficiali o a report sulla sostenibilità per i prossimi anni.
- Uno dei grandi hyperscaler mondiali e un importante operatore nazionale, hanno fatto un passo indietro di fronte a domande specifiche su come la crescita della domanda stia influenzando la loro sostenibilità.
I primi segnali contrastanti: i report di sostenibilità di Amazon, Google e Microsoft
Sono proprio i report di sostenibilità 2024 per i tre principali hyperscaler del mondo occidentale, a dare il segnale che l’obiettivo sostenibilità si fa più complesso da raggiungere.
Il reporti di sostenibilità di Microsoft
Il primo ad essere pubblicato, il 15 maggio 2024, è stato quello di Microsoft. Fin dall’introduzione evidenzia che le emissioni di carbonio equivalente in ambito 3 sono cresciute del 30% rispetto al 2020. Come cause, Microsoft indica la costruzione di più data centre, con più carbonio incorporato negli edifici e nelle apparecchiature, e la difficoltà del mondo intero a realizzare forme più verdi di cemento, acciaio, carburanti e circuiti integrati, che ridurrebbero questo carbonio incorporato.
Per raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica saranno quindi necessari nuovi interventi, ancora da identificare. Per trovarli, Microsoft prevede ricerche in 5 direzioni, tra le quali: continuare a migliorare l’efficienza, sviluppare partnership, in particolare per realizzare questi nuovi materiali verdi rivoluzionari, e aiutare con il proprio potere d’acquisto a costruire mercati per questi nuovi prodotti.
Il report di sostenibilità di Amazon
Il report corrispondente di Amazon è uscito in giugno. Copre l’intero business del gruppo, che ha una componente di trasporti e commercio al dettaglio molto maggiore rispetto agli altri hyperscaler. Il tono e i risultati sono pienamente positivi, pur riconoscendo che il progresso verso un’attività a impronta carbonica netta nulla non sarà lineare. Il punto chiave è aver raggiunto nel 2023 l’obiettivo di far coincidere (“match”) il 100% dell’energia elettrica usata a livello mondiale con energia rinnovabile, con 7 anni di anticipo rispetto all’obiettivo originale. Per quanto riguarda la generazione di carbonio complessiva, il gruppo riporta una riduzione del 3% in valore assoluto durante il 2023.
Il report di sostenibilità di Google
A luglio 2024 è uscito il report di sostenibilità di Google, che sta adottando una politica particolarmente rigorosa nel calcolo delle emissioni di carbonio relative all’energia, imponendo che la corrispondenza e quindi la compensazione tra fonti che generano carbonio e fonti che non lo generano avvenga “24/7” e quindi compensando il proprio consumo che genera carbonio con consumi altrui di energia senza carbonio ora per ora, all’interno di ciascuna rete elettrica. Come Microsoft e diversamente da Amazon, Google riferisce un aumento, del 48% rispetto al 2019, per le proprie emissioni di carbonio equivalente compreso l’ambito 3, attribuendolo in particolare ad aumento del consumo di energia nei data centre, e delle emissioni dalla catena di fornitura. Google segnala inoltre che la crescente integrazione dell’IA nei suoi prodotti renderà più difficile ridurre le emissioni.
Anche Google elenca nuove aree di ricerca che sta avviando, paragonabili con quelle annunciate da Microsoft, esplicitando che per raggiungere gli obiettivi occorreranno soluzioni ancora da scoprire.
La sostenibilità dell’infrastruttura digitale: una questione di ecosistema
Da tutte queste indicazioni, come dalle esperienze sul campo descritte di seguito, emerge per il settore delle infrastrutture digitali alla base del cloud un quadro fatto di luci e ombre.
Se le risposte alla domanda di sostenibilità sono molto più difficili e meno adeguate di quanto sembrassero anche solo nel 2020, tra gli operatori si stanno diffondendo rapidamente sia la consapevolezza della situazione, sia l’orientamento a collaborare tra partner, tra fornitori e clienti, persino tra concorrenti, per arrivare a raggiungere la neutralità carbonica. Questa apertura alle collaborazioni ha una ragione nuova e una antica. È nuovo l’allargamento all’intero ciclo di vita della definizione di sostenibilità, che spinge ogni operatore a collaborare con i propri fornitori e i propri clienti per un risultato complessivo più lontano ma molto significativo. Antica, nel settore delle infrastrutture tecnologiche, è invece la tradizione di collaborazione di questo particolare ecosistema, dove da sempre le difficoltà tecnologiche e progettuali si superano mettendo insieme competenze di attori complementari.
Ora che il settore delle infrastrutture tecnologiche diventa grande, avvicinandosi alle dimensioni e all’impatto sul pianeta di mercati energivori più tradizionali, come l’edilizia, i trasporti o l’industria manifatturiera, il suo contributo alla sostenibilità potrà essere pari o superiore ai loro grazie a questa capacità di fare ecosistema, collaudata nei decenni in cui l’energia era “solo” il principale fattore di costo, e risparmiarla aiutava anche ad essere più sostenibili.
Le esperienze concrete sul campo
Vediamo ora le esperienze sul campo di alcuni operatori di settore, rigorosamente in ordine alfabetico.
Accenture
Questo system integrator globale conferma naturalmente che i progressi nella trasformazione digitale stanno aumentando in modo significativo la domanda globale di capacità dei data centre. “Tuttavia”, avverte Mauro Capo, responsabile Cloud First di Accenture per Italia, Centro Europa e Grecia, “la capacità di integrare l’AI, specialmente quella generativa, nei processi aziendali e nei prodotti e servizi offerti sarà sempre più un elemento fondamentale per rafforzare la loro competitività. Inoltre, la Gen AI ha il potenziale per accelerare l’agenda ESG delle aziende, ottimizzando processi, operazioni e accesso a informazioni rilevanti. Sarà quindi cruciale definire un utilizzo consapevole dell’AI basato su un positivo bilancio energetico dato dal risparmio portato dalla trasformazione del processo analogico in digitale.”
In quest’ottica, il cloud è anche per Accenture un abilitatore, offrendo alle aziende un’enorme capacità computazionale e permettendo di ridurre i consumi energetici e le emissioni rispetto ai data center “classici” on premise.
Tutti i cloud hyperscaler hanno a piano delle strategie molto aggressive per il raggiungimento di un’alimentazione energetica dei propri data center con energia completamente rinnovabile, integrata da autoproduzione in loco. Queste azzerano, di fatto, le emissioni di ambito 2 derivanti dall’utilizzo di energia elettrica, che sono quelle più significative per i fornitori di servizi di hosting di infrastruttura IT.
I cloud provider hanno consumi significativi ma anche grandi vantaggi rispetto ai concorrenti on premise, perché possono beneficiare di soluzioni tecnologiche hardware all’avanguardia e progettate su misura che permettono di mettere a disposizione dei loro clienti soluzioni PaaS ingegnerizzate per consentire un uso condiviso ed efficiente delle risorse hardware. Per quanto riguarda gli aspetti relativi alle emissioni di ambito 3, derivanti dalla catena di fornitura dei dispositivi hardware e dalla loro successiva dismissione, Mauro Capo sottolinea che “I cloud provider possono applicare un’economia di scala e beneficiare di dispositivi sempre più moderni, con un’impronta carbonica ridotta, e possono abilitare soluzioni di economia circolare, destinando i propri dispositivi hardware a differenti compiti, allungandone significativamente la vita”. La sinergia di queste strategie permette di limitare significativamente la crescita dell’impronta carbonica dei colocator e degli hyperscaler, a fronte di una richiesta sempre maggiore di servizi IT.
Per un cliente finale che già ha adottato un cloud ibrido con una infrastruttura ospitata da hyperscaler e colocator e che ora richiede un’infrastruttura digitale più potente per sviluppare servizi digitali avanzati, Accenture segnala diverse strategie per mitigare l’impatto ambientale:
- In primo luogo, si può prevedere un uso più spinto di servizi PaaS ed architetture “cloud-native” offerti dai cloud provider, preferibili ai servizi IaaS perché riducono i consumi energetici; per questa ragione, ad esempio, il FinOps considera sia i costi, sia le architetture cloud in modo da rendere le soluzioni cloud pubbliche più sostenibili a livello economico e ambientale.
- Nell’utilizzo di soluzioni AI, già da tempo si ragiona di “Green AI”, ossia quella ricerca sull’AI che mira a ottenere risultati innovativi senza aumentare i costi computazionali (o persino, idealmente, riducendoli) – in contrapposizione alla “Red AI” che si concentra unicamente sull’ottenimento di risultati attraverso un uso massiccio di potenza computazionale.
Per ottenere un’AI sostenibile, infatti, è possibile adottare strategie quali l’utilizzo preferenziale di modelli “pre-addestrati”, o prevedere il training degli algoritmi in data center a basso impatto ambientale, scegliere il giusto approccio al training, puntare ad un’accuratezza “accettabile” e “responsabile” per i modelli, scegliere opportunamente l’insieme di dati sui quali effettuare il training.
Cloud provider e colocator possono supportare la “Green AI” mettendo a disposizione soluzioni hardware ottimizzate per il training e l’inferenza di soluzioni AI/ML. - Bisogna, infine, tenere conto che l’impronta carbonica relativa all’apparato IT di una società non riguarda esclusivamente i server e i data center. Una buona parte delle emissioni, infatti, in particolare di quelle relative all’ambito 3, proviene dagli apparati di uso personale. Anche su questa area si possono intraprendere azioni significative per la riduzione dei consumi energetici e dell’impronta carbonica, quali l’ottimizzazione dei cespiti, l’utilizzo di dispositivi più moderni, il prolungamento del ciclo di vita ed il riuso dei dispositivi per altre funzioni in ambito aziendale od esterno ad essa.
“Con la crescita dell’adozione di servizi digitali e tecnologie emergenti”, conclude Capo, “la migrazione al cloud, l’ottimizzazione dell’efficienza dei carichi di lavoro e l’accelerazione della transizione verso risorse di energia pulita sono sempre più importanti per la sostenibilità delle imprese. Accenture sta supportando i propri clienti in questo percorso, offrendo soluzioni avanzate e strategie che tengano conto degli obiettivi di business e che si coniugano perfettamente con una strategia di sostenibilità economica ed ambientale in ambito IT.”
Business Critical Solutions (BCS) Consultancy
Una prospettiva complementare a quelle degli altri attori dell’ecosistema qui descritti ci viene da questa società di consulenza specialistica. Il loro ruolo è collaborare con chi sviluppa data centre di grossa taglia (almeno 32 MW di potenza ciascuno) con un approccio sistematico. Ai loro clienti, che chiamano “developer”, cioè hyperscaler e colocator, offrono la gestione dei progetti di realizzazione dei singoli data centre “da cima a fondo”, nel rispetto dei preventivi di tempo e di costo, grazie alla loro capacità di combinare la conoscenza approfondita che hanno delle realtà nazionali e locali di ogni paese con quella degli operatori globali dell’ecosistema.
“Da cima a fondo” parte, infatti, dalla scelta dei siti e dall’ottenimento dei permessi, e arriva alla consegna del data centre funzionante a chi lo esercirà. Si tratta quindi di coordinare soprattutto quei membri essenziali dell’ecosistema delle infrastrutture digitali che sono meno noti a chi, come chi scrive e molti tra chi ci legge, si occupa di hardware, software e servizi, in particolare:
- le società di ingegneria che fanno da capofila nella progettazione di grandi opere,
- i general contractor che si occupano della realizzazione dei data centre, e
- gli specialisti di impiantistica, specie elettrica e di raffreddamento.
Per rispondere all’esigenza di velocità di realizzazione e a quelle di prestazioni e affidabilità del prodotto data centre, il progetto da realizzare è quanto più possibile standard, definito da ciascun developer che lo aggiorna via via secondo l’evoluzione della tecnologia.
Proprio dall’esperienza di condurre progetti quanto più simili possibile in ambienti diversi per clima, geologia, infrastrutture, leggi e regolamenti, cultura, sensibilità sociale e, in particolare, livello di saturazione delle infrastrutture elettriche e idriche e del suolo, emerge la prospettiva di Luca D’Alleva, head of service per Italia, Spagna e Portogallo di BCS Consulting, sull’Italia come sede di data centre e sul ruolo della sostenibilità per i developer.
“L’Italia”, spiega D’Alleva, “presenta molti vantaggi per un operatore che voglia rispondere alla crescita della domanda e abbia in programma di costruire decine di nuovi data centre all’anno in tutto il mondo. Certo, conosciamo tutti i due punti deboli principali: tempo e complessità per l’ottenimento dei permessi – tre anni rispetto a uno per paesi più aperti a questo settore – e il costo elevato dell’energia elettrica. Anche i developer li conoscono, e li accettano ormai come dati di partenza.
Dalla parte dei vantaggi si possono invece contare:
- La stabilità e relativa abbondanza della fornitura di energia
- Il costo relativamente accessibile del lavoro delle maestranze
- La disponibilità di terreni – in particolare siti dismessi e già occupati, che correttamente la legislazione italiana impone di usare per queste infrastrutture.”
“È grazie a questi vantaggi”, conclude D’Alleva, “che oggi in Italia sono presenti alcuni grandi developer europei e mondiali, ma soprattutto che, ne siamo certi, ogni hyperscaler e colocator del mondo ha fatto un’analisi del mercato italiano e definito i criteri, soddisfatti i quali si presenterà anch’esso ad avviare la realizzazione di data centre nel nostro paese”.
E la sostenibilità? Nella prospettiva di gestione progetti molto specifica di BCS Consultancy è, paradossalmente, secondaria, grazie proprio all’altissima ingegnerizzazione e standardizzazione dei progetti, che permette a hyperscaler e colocator di massimizzarla ben al di là di quanto si possa fare con progetti fatti caso per caso. La grandissima attenzione con la quale hyperscaler e colocator la gestiscono è a livello strategico globale, e si concretizza nell’evoluzione progressiva del progetto standard. Se quindi i data centre di domani saranno sicuramente ancora più sostenibili di quelli in costruzione oggi, questa evoluzione è ben separata da ciascun progetto di realizzazione. Sono caso mai quelli già costruiti a ricevere aggiornamenti per migliorarne costi e sostenibilità, in campagne di realizzazione ancora diverse delle quali si occupa ciascun developer, a volte ancora con l’aiuto di consulenti come BCS. Proprio da questa prospettiva focalizzata viene, secondo D’Alleva, uno spunto per gli hyperscaler e colocator che aggiornano i propri progetti standard alla ricerca di miglior sostenibilità: adottare anche standard di sostenibilità specifici del settore dell’edilizia, come i LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), dello US Green Building Council, o BREEAM – Sustainable Building Certification del Building Research Establishment britannico, come già da tempo anche in Italia fanno i migliori costruttori di centri logistici e altri grandi infrastrutture.
Dedagroup
Questo gruppo italiano, che si presenta come un ecosistema di aziende che aiuta le organizzazioni a cogliere tutte le opportunità di crescita e sviluppo offerte dell’evoluzione tecnologica, è profondamente inserito nella catena del valore del cloud, dalle soluzioni software proprie, all’integrazione di quelle di terzi, ai servizi di gestione, al supporto alla trasformazione digitale dei propri clienti, compresa naturalmente la cybersicurezza e l’intelligenza artificiale.
“Più dati, più sicurezza, più data center: è questa l’equazione che impone una riflessione importante, che porta con sé aspetti etici, di affidabilità e di credibilità che è fondamentale affrontare. Non si tratta di una questione ininfluente o troppo visionaria: è su temi come questi che si gioca il futuro delle nostre attività, ma anche il presente. L’obiettivo è ridurre l’impatto ambientale dell’IT dalle fondamenta, cioè a partire dalla base, le infrastrutture che ospiteranno le fabbriche digitali del futuro.”, commenta Roberto Loro, Director Technology and Innovation di Dedagroup.
Dedagroup sta già cominciando a costruire strumenti che aiutino e automatizzino le verifiche tecnologiche di compliance, e che suggeriscano azioni correttive delle discrepanze, perché di fronte alla scala e alla crescita del digitale oggi occorre combinare innovazione e sostenibilità ambientale e sociale. È un impegno che in ambito Pubblica Amministrazione il gruppo porta avanti da tempo con Deda Next, l’azienda del gruppo che si occupa di accompagnare la digitalizzazione di enti e aziende di pubblico servizio e la transizione energetica del paese. In quest’ambito, Deda Next partecipa a progetti europei con al centro il risparmio energetico degli edifici, la riorganizzazione dei trasporti e della mobilità, le politiche di monitoraggio della qualità dell’aria.
Prosegue Loro: “Anche nell’ambito dei data center e della sicurezza informatica, quindi, è necessario applicare un modello aperto, di scambio e confronto: questo approccio caratterizza il modo di fare innovazione in Deda, ed è per noi fondamentale. Solo attraverso la cooperazione multilaterale sarà possibile affrontare le sfide di oggi e anticipare quelle future.”
Un’esperienza concreta particolarmente rilevante è la partecipazione di Deda a Trentino Data Mine, la realizzazione di un data centre di ultima generazione collocato in una miniera della regione dalla quale il gruppo stesso trae le proprie radici. Trentino Data Mine ha presentato i primi di ottobre il progetto Intacture, un esempio di iniziativa di sistema per tutto il territorio della provincia autonoma, cui partecipano numerosi operatori pubblici e privati. Il data centre sarà un’infrastruttura tecnologica avanzata, rivolta a realtà nazionali e internazionali, unica nel suo genere, che garantirà elevati standard di sicurezza fisica e un’attenzione particolare all’efficienza energetica e alla sostenibilità. Sarà inserita in un ecosistema progettato per ridurre l’impatto ambientale, promuovendo la sostenibilità e la circolarità delle risorse. Per l’ecosistema delle infrastrutture digitali nazionali si tratterà naturalmente di un nuovo data centre moderno, potente e più sostenibile, e in più in una zona diversa dal dipolo di Milano-Torino e dall’emergente polo di Roma. Per gli operatori digitali locali sarà uno strumento chiave; alcuni da tempo segnalavano la difficoltà per certe applicazioni, soprattutto di architettura tradizionale, a rispondere in tempi adeguati accedendo a infrastrutture più remote.
Netalia
Questo operatore di servizi cloud pubblici, descritto meglio in un articolo precedente, si distingue per essere completamente italiano e indipendente dai grandi hyperscaler internazionali. La sua offerta si basa su infrastrutture di gestori di data centre terzi, pure italiani, e per questo la componente infrastrutturale della sua sostenibilità è interamente una questione di rapporto tra cliente e fornitori.
Anche per questo l’Amministratore Delegato Michele Zunino propone di guardare alla sostenibilità in questo settore con una nuova prospettiva: se è vero che una maggiore efficienza energetica è ormai insita in ogni fase del progresso tecnologico, non è più la tecnologia la molla del cambiamento. La vera trasformazione avviene se mutano i modelli operativi sottostanti: non si tratta di fare di più consumando meno, ma di lavorare in modo strutturalmente diverso. Il cloud per Netalia è questo: un cambio paradigmatico dei processi di conservazione e processing dei dati, con ricadute anche su consumi e sostenibilità.
Il fattore dirompente di oggi è l’intelligenza artificiale, che fa crescere in modo esponenziale la potenza di calcolo necessaria. “Le economie di scala sono il vero valore di fronte alla fame di energia dell’AI”, afferma Zunino, “Bisogna entrare definitivamente in una logica di sistema e di risorse aggregate: solo così avremo risparmi effettivi, volumi sufficienti per incentivare la Ricerca & Sviluppo, e una gestione ottimizzata degli sfridi, concetto che ormai tocca anche il digitale, considerato alla pari di una materia prima. Solo coi grandi numeri la sostenibilità da investimento diventa risparmio, per tutti.”
Oracle
Unico tra gli hyperscaler e fornitori di servizi cloud globali qui citati, Oracle ha scelto di affidarsi interamente a colocator terzi per la propria infrastruttura cloud. Prevale quindi nel loro approccio alla sostenibilità la prospettiva del produttore di hardware – è Oracle stessa, infatti, a produrre i sistemi ingegnerizzati (hardware + software) Exadata sui quali si basano le loro soluzioni di gestione dei dati mission-critical.
L’attenzione di Oracle all’ambiente considera naturalmente i consumi di acqua ed elettricità e i rifiuti legati alle loro attività, dalla conduzione degli edifici ai viaggi aerei. In particolare, in Europa i data centre che erogano l’infrastruttura Oracle Cloud Infrastructure sono alimentati al 100% con rinnovabili e dal 2025 lo saranno in tutto il mondo, nel quadro dell’iniziativa Clean Cloud.
Il punto chiave della loro sostenibilità interna sta però nelle tecniche di produzione dello hardware, che facilitano progressivamente il riuso e il riciclo di sistemi e componenti e il loro smaltimento. È grazie a questo che Lanfranco Brasca, direttore solution engineering Oracle Cloud Infrastructure (OCI) per l’Italia, può confermare che Oracle continua a progredire verso i suoi obiettivi al 2030, nonostante l’evidente accelerazione della domanda dei loro servizi cloud.
Per quanto riguarda l’ambito 3, per Brasca “È fondamentale per noi il tema dell’energia che consumano i data centre dei quali ci serviamo. Siamo rigorosi con noi stessi e con i nostri fornitori sui requisiti di sostenibilità, come ad esempio per la seconda regione cloud italiana, a Torino, ospitata nel nuovo data centre di ultima generazione di TIM Enterprise”. Diversamente da altri hyperscaler, che ribaltano sui clienti le differenze di costo dell’energia tra i diversi paesi, offrendo i propri servizi a prezzi diversi in ogni regione, “Oracle” segnala ancora Brasca, “ha scelto di farsi pienamente carico di queste differenze, offrendo prezzi uguali in tutte le regioni del mondo”. Questo approccio senza compromessi sta dimostrando la sua efficacia nel tempo, nei risultati economici come nelle valutazioni degli analisti. Sono questi risultati concreti, secondo Brasca, che rassicurano sul fatto che la sostenibilità rimarrà un obiettivo, e un fattore di successo, anche nei prossimi anni di crescita tumultuosa del mercato.
Schneider Electric
Schneider Electric, attivo nella fornitura di soluzioni e di servizi per la trasformazione digitale della gestione dell’energia e dell’automazione, è primo nella classifica delle aziende più sostenibili di Time e Statista 2024.
La divisione Secure Power è focalizzata sul mercato degli hyperscaler, dei colocator e dei gestori di data centre, avendo piena attenzione a supportarli nel raggiungimento dei propri obiettivi di sostenibilità. Sul tema Schneider Electric gioca un ruolo di riferimento all’interno di una filiera tecnologica più estesa: dai “general contractor”, capofila di grandi opere edilizie prima ancora che tecnologiche, ai consulenti specializzati nella loro progettazione, e in particolare in quella dei data centre; dai fornitori di hardware e software ai gestori di data centre grandi e piccoli, dai system integrator e managed service provider infrastrutturali e applicativi, ai clienti finali dei servizi digitali – perfino quelli piccoli come chi scrive, e chi legge, magari proprio da quello smartphone che ci porta in mano tutto questo ecosistema.
Roberto Esquinazi, responsabile del segmento Cloud e Service Provider per l’Italia, rileva come lo sviluppo del settore data centre qui sia tangibile: lo dimostrano anche i più recenti dati sugli investimenti pubblicati da associazioni come ad esempio IDA – Italian Data Centre Association. Il mercato italiano è ancora lontano dalla saturazione che costringe certi distretti, ad esempio in Irlanda e in Olanda, a limitare o congelare l’apertura di nuovi data centre, subordinandola alla disponibilità di nuove infrastrutture di alimentazione in alta tensione.
Per Schneider Electric il settore data center si trova in prima linea nell’impegno verso l’adozione di strategie di sostenibilità, proprio per la crescente diffusione dell’intelligenza artificiale, che ha un impatto diretto sull’aumento del consumo di energia. L’azienda si impegna attivamente a partire dalla misurazione della propria performance di sostenibilità – con il dashboard “Schneider Sustainability Impact” (SSI) – e, grazie all’ esperienza maturata, gioca un ruolo di abilitatore per i propri clienti, a partire dai cloud e service providers. Entro il 2025, tramite piattaforme hardware, software e di automazione potenziate dall’intelligenza artificiale, ha l’obiettivo di ridurre di 800 milioni di tonnellate di CO2 equivalente le emissioni dei suoi clienti, in tutti i settori e in tutto il mondo.
Per un mercato energivoro come quello delle infrastrutture digitali, la chiave della sostenibilità secondo Esquinazi sta nell’impostazione da cima a fondo, sia sulla catena di fornitura, sia sul processo: dalla definizione della strategia, con obiettivi chiari, misurabili, raggiungibili e coerenti con i regolamenti del territorio, alla ingegnerizzazione e realizzazione di infrastrutture “realmente sostenibili”. Particolare attenzione va rivolta alla tracciatura del carbonio incorporato generato nel processo di produzione, alla documentazione trasparente, compresa la certificazione dei contributi della filiera a monte e, a valle, all’esercizio con le sue ottimizzazioni continue.
È proprio dalla impostazione concettuale del progetto che derivano benefici a lungo termine fondamentali, come l’estensione del ciclo di vita dei componenti e il riuso e la circolarità di quelli dismessi. Su questo tema Esquinazi segnala la nuova generazione dei gruppi di continuità statica Schneider Electric che, grazie alla nuova concezione modulare, permettono di manutenere o sostituire ogni componente separatamente da tutti gli altri, e occupano due volte e mezza meno spazio a pari capacità.
Grazie alla combinazione di fonti di energia rinnovabile e sistemi di stoccaggio dell’energia nelle batterie, i data centre possono diventare autosufficienti nella generazione di energia nei periodi di picco della domanda o di fluttuazione, e non solo. Giocheranno un ruolo importante nel bilanciamento verso la rete pubblica della nuova energia da fonti rinnovabili, grazie alla possibilità di fornire energia in eccesso alla rete proprio durante i periodi di elevata domanda, secondo un modello attivo che viene definito di “prosumer”. Tutto ciò comporta un miglioramento della resilienza energetica e della sicurezza delle strutture in un ecosistema più allargato di cui il data centre diventa parte attiva.
L’importanza delle collaborazioni va ben al di là della gestione dell’energia. Schneider Electric, per esempio, collabora con un fornitore chiave dei propri clienti come NVIDIA per fornire a costruttori, proprietari e operatori di data centre gli strumenti necessari a integrare agevolmente le soluzioni di intelligenza artificiale nelle proprie infrastrutture. Questo rende più efficiente l’implementazione e garantisce un esercizio affidabile per tutto il ciclo di vita. I risultati, dai libri bianchi ai progetti di riferimento fino ai tool, sono pubblicati gratuitamente, a supporto degli operatori del settore, ma anche a beneficio di studiosi e appassionati.
Var Group
Come system integrator nazionale che affianca le imprese nel loro percorso di evoluzione digitale con servizi applicativi e infrastrutturali, cresciuto grazie anche alla costruzione di molte “business combination” tra aziende esistenti che confluiscono nel gruppo, Var Group è uno dei principali attori nel consolidamento del mercato dei servizi ICT in Italia. Per servire i propri clienti usa soprattutto un cloud ibrido costituito da data centre proprietari, spazi presso colocator, e cloud pubblico di diversi hyperscaler.
Stefano Gruarin, Head of Sales 7CIRCLE del gruppo, distingue tra tre livelli successivi di sostenibilità.
“Il primo livello è il consolidamento su un unico data centre di servizi digitali originariamente sviluppati su infrastrutture separate cliente per cliente.” Secondo Gruarin per la maggior parte dei clienti Var Group, organizzazioni medie, grandi e grandissime, questa fase si è compiuta diversi anni fa e ha portato a grandi benefici per l’abbandono delle infrastrutture più piccole e inefficienti.
“Un secondo livello di efficienza, e quindi di sostenibilità”, prosegue Gruarin, “è quello che con i nostri clienti raggiungiamo adottando progressivamente il cloud, dove consolidamento ed efficienza raggiungono un livello di scala completamente diverso.” Questa trasformazione è ancora in corso e continuerà a lungo.
Sul livello successivo della sostenibilità, quello descritto in più punti in questa pagina dal punto di vista degli operatori di infrastruttura, Gruarin evidenzia un contributo importante che system integrator e clienti finali potranno fornire, e che è ancora in fase di studio e definizione di standard e strumenti. “Si tratta di efficientare i software, applicazioni e servizi, riducendone il consumo di risorse” con tecniche di progettazione e realizzazione in parte nuove, e in parte ben note ma abbandonate nel corso dei decenni via via che la legge di Moore faceva calare il costo dei microprocessori e con essi di ogni altra risorsa informatica. “Nella maggior parte dei casi questo richiede una riscrittura del software, o una sostituzione con altro software progettato e realizzato secondo i nuovi criteri”.
Per affrontare con successo la difficoltà di azzerare le emissioni carboniche nette in ambito 3 mentre la crescita della domanda di risorse digitali accelera sempre più, sarà quindi necessario che facciano la propria parte anche gli utenti finali, e gli esperti di servizi digitali che li aiutano, dopo decenni nei quali la potenza delle infrastrutture a parità di costo cresceva così velocemente da rendere trascurabile il costo delle inefficienze applicative.
VIRTUS Data Centres
VIRTUS è un costruttore e gestore di data centre in Inghilterra e recentemente in Europa continentale, parte del gruppo mondiale STTelemedia. Tra i primi a raggiungere il 100% di alimentazione con energia rinnovabile già nel 2012, VIRTUS la ha mantenuta fino ad oggi pur avendo aumentato la potenza disponibile di 5 volte. Per Gaëlle Mogabure, responsabile ESG, “L’accelerazione della domanda negli ultimi anni è evidente, e renderà sempre più complesso mantenere gli obiettivi di sostenibilità del settore e raggiungerne di nuovi. D’altra parte, per VIRTUS Data Centres la sostenibilità è una scelta etica, strategica e non negoziabile, e rimarrà un cardine della nostra offerta anche al di là dei ritorni economici a breve termine.”
Per mantenerla, sarà necessario continuare a sviluppare le strategie che sono state preziose in questi anni, dalla negoziazione attenta dei contratti di fornitura di energia, alla collaborazione strategica con specialisti della sua gestione, all’ottimizzazione dell’efficienza di tutti gli impianti e gli apparati, alla riduzione dell’impatto sull’atmosfera dei refrigeranti e dei combustibili per i generatori di emergenza. Queste attività hanno contribuito a trasformare profondamente i processi e la cultura della gestione delle infrastrutture digitali negli ultimi vent’anni. “Come produttori e operatori di data centre siamo responsabili di molto di più”, osserva Mogabure, “e questo settore è all’avanguardia nel farsene carico” rispetto ad altri settori energivori.
La sfida vera è però nell’ambito 3: azzerare, oltre alle emissioni generate dalle attività gestionali e produttive, anche quelle incorporate nella produzione e nella dismissione dell’infrastruttura stessa.
Per affrontarla, osserva Mogabure, “il settore sta trasformando il modo di progettare e gestire le infrastrutture e la sua stessa cultura, assumendo esperti da settori diversi e industrialmente più maturi, come l’aviazione e la produzione di automobili”. Anche da queste culture industriali diverse vengono alcune delle linee di azione più recenti in campo ESG, come il recupero del calore generato per il riscaldamento domestico, o il ricorso all’autogenerazione di energia. Molto di nuovo resta da fare: dal raffreddamento a liquido, molto più efficiente, ad usare la stessa intelligenza artificiale che fa crescere la domanda di data centre nella progettazione, realizzazione e gestione dei data centre stessi, o ancora allo sviluppo di nuove fonti di energia rinnovabile a complemento di quelle ormai consolidate, una sfida per la società intera più che per questo settore. Solo percorrendo tante nuove strade, secondo Mogabure, potremo superare il vincolo che sul mercato libero “non ci sarà mai abbastanza energia rinnovabile per soddisfare una domanda che cresce come la nostra”. Per questo il settore sta facendo ricorso anche a piccole centrali nucleari, e alle diverse filiere dell’idrogeno, che pure devono ancora maturare.
Come tanti operatori del settore, VIRTUS per questo conta molto sul superamento della tradizionale cultura della segretezza in favore della collaborazione aperta tra fornitori, consulenti, operatori e clienti. “Nei prossimi 3-5 anni”, sostiene Mogabure, “assisteremo allo sviluppo di una missione comune in tutta Europa, guidata proprio dalle associazioni.”
Il ruolo dei Governi
Il ruolo dei governi sarà essenziale: per sostenere la ricerca negli ambiti più innovativi, ma anche per affrontare un nodo ben fuori dalla portata di chi gestisce data centre. Gaëlle Mogabure tiene a ricordare che “i data centre soddisfano le esigenze dei propri clienti ma non ne controllano in alcun modo i consumi!” La scelta di quanto consumare e per cosa dipende dalle priorità di ciascun cliente, che a sua volta dipende da quelle dei suoi clienti finali, organizzazioni e individui, spesso poco consapevoli del proprio impatto.