Digital divide

Come la banda ultra larga cambia la vita nelle aree interne e montane del Paese

Mentre procede il piano del Governo, è necessario già pensare ai servizi che possono fare la differenza nelle aree remote. Dai trasporti, alla Sanità, alla formazione a distanza. Grazie al digitale

Pubblicato il 16 Nov 2016

Marco Bussone

presidente Uncem

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C’è un certo fermento in tutte le Regioni italiane per attuare pezzi di Agenda digitale sui territori, grazie in particolare ai fondi UE disponibili sul Fesr. Da una parte il Piano per la banda ultralarga, pieno di incognite e incertezze, coordinato a livello nazionale.

Dall’altra, cosa fare con la nuova rete, quali servizi veicolare, come renderla pienamente fruibile e come, grazie ad essa, migliorare la vita alle comunità, nonchè alzare l’efficienza e la competitività delle imprese. Sempre di più le Regioni si stanno rendendo conto che declinare in particolare la seconda parte di questo percorso su territori diversi deve avere caratteristiche diverse. Deve avere e garantire diverse opportunità.

Pensiamo ad esempio alla città e alle aree rurali e interne. Le prime hanno necessità di potenziare servizi che già esistono, offrirne nuovi per essere più smart, collegare in modo intelligente. Eppure, è nelle aree libere, nelle zone dove siamo alla fase zero che bisogna fare le scelte più efficaci. Detto e ridetto: il divario digitale non deve aumentare. Perché se cresce si trasforma in un divario diverso, più aperto, esteso anche a temi sociali, economici, antropologici che appunto derivano dalle differenze nel livello di digitalizzazione tra territori. Proviamo dunque a elencare alcune delle grandi necessità che hanno le aree interne (non solo quelle sperimentali scelte dal Governo per sperimentare la Strategia nazionale coordinata dalla Presidenza del Consiglio) e montane del Paese (oltre 3.000 Comuni di Alpi e Appennini).

Partiamo dai trasporti. Già su Agendadigitale.eu abbiamo analizzato le opportunità di migliorare il trasporto pubblico con un “Uber della montagna” a metà tra il car sharing e il car pooling. È evidente che le piattaforme organizzative devono essere attuate almeno su base regionale. Chi ne ha bisogno deve potersi orientare tra poche app, agevoli e intuitive. Qui il “digitale” riorganizza un tradizionale e immortale servizio-diritto alla mobilità. Complesso, ma necessario affrontare questa partita nelle zone “a domanda debole”.

Sul fronte sanità, vi sono da portare nelle aree interne le opportunità che sono già scontate nelle aree urbane. Quasi tutte le Regioni stanno lavorando al fascicolo sanitario digitale. Ma nelle zone in cui per raggiungere un ospedale bisogna fare almeno 60 chilometri, scendendo a valle, questo è solo un pezzetto di un più profondo complesso che tocca la riorganizzazione della rete di assistenza, la nascita di centri multiservizio a bassa intensità sanitaria, l’individuazione di “infermieri di comunità”.

Questi servizi si possono “prenotare” con sistemi digitali. Molte Regioni che li stanno costruendo, anche grazie a progetti comunitari. Non sempre però, all’organizzazione strutturale, viene fatto seguire un percorso attorno ai servizi digitali di controllo, regolazione, accesso. Vi è poi tutto il fronte della telemedicina, anche della diagnostica. Molte sperimentazione avviate alla fine degli anni Novanta, sono andate in soffitta. Eppure, i sistemi digitali avanzati (anche più banali come skype o anche i social) possono cambiare profondamente i processi. Nessuna ridicola semplificazione: non si fanno tac o risonanze magnetiche con i pazienti davanti al video. Vi sono però percorsi precisi di telemedicina in altri Paesi UE sui quali investire, copiando bene.Il mondo della scuola e della formazione è quello che apre maggiori scenari all’interno di un’Agenda nazionale digitale per le aree interne e montane. Finora molti istituti di tutti i gradi hanno montato le lim, lavagne multimediali, in tante classi. Poco usate e poco scelte, in primis dai docenti. Eppure sarebbero un primo positivo passo. Non sarà frequente, ma vi sono ancora borghi e frazioni che in brevi periodi dell’inverno, nelle alte valli, restano isolati.

Permettere lezioni a distanza, tramite ipad e smartphone deve essere una certezza. Formarsi a distanza non è un’alternativa di seconda scelta. Strutturare percorsi formativi in e-learning è indispensabile.Sul fronte dello sviluppo socio-economico i fronti sono molteplici. Partiamo da quanto già esiste, in particolare in termini di fruibilità dei dati. Si pensi al catasto di pascoli, boschi, terreni agricoli. Quasi tutte le Regioni italiane dispongono già di un sistema informativo per l’agricoltura, ma non sulle foreste (10 milioni di ettari in Italia!). I dati vi sono e vanno uniti. Pensiamo poi alla grande fruibilità di aree finora abbandonate, per nuovi investimenti produttivi legati all’industria 4.0. L’insediamento di server farm in zone nelle quali sperimentare nuovi prodotti e processi deve essere un’opportunità che Regioni e imprese contribuiscono a garantire. Anche per questo, molti Comuni montani (almeno un centinaio in Italia) stanno lavorando a progetti per insediare spazi di co-working nei loro territori. Dispongono di ambienti liberi, in contesti paesaggistici unici, immersi in scenari alpini o appenninici che permettono ottima qualità lavorativa, anche con sistemi di telelavoro, finanziati e sostenuti dai Por Fesr. Ve ne sono già alcuni in Comuni tra gli 800 e i 1000 metri delle Alpi: a prezzi bassissimi e competitivi mettono a disposizione uffici e scrivanie.

Così, persone dal fondovalle “risalgono” per avere a disposizione spazi speciali di lavoro. Si rivitalizzano luoghi fisici e tessuto economico locale. Non è impensabile individuare risorse nazionali e regionali, nell’ADM (Agenda digitale per la Montagna) per questo fine. C’è poi una sfida appassionante e finora inesplorata. È quella della promozione e del marketing dei territori. Tre idee banali: forse nessun Ente locale ha mai sperimentato, per pubblicizzare territorio ed eventi, le dirette di Facebook o altri sistemi di racconto. Anche i siti internet istituzionali di enti e di piccole imprese sono lasciati un po’ al caso. L’e-commerce dei prodotti enogastronomici locali deve far parte dell’Agenda, aiutando e formando gli operatori della PA e gli imprenditori. Ne gioverebbero il turismo, gli investimenti, il recupero dei luoghi abbandonati, la stessa comunicazione istituzionale che “soffre” nelle realtà più piccole. Pensiamo poi a webtv locali che veicolano opportunità e notizie. Non hanno grandi costi, ma svolgono un’azione di coesione forte.A questo tema si collega la grande sfera PA ed Enti locali. E cioè, come l’Agenda digitale migliori i sistemi di lavoro all’interno e verso l’esterno dei piccoli enti delle aree montane e interne del Paese.

Oggi, due Comuni a due chilometri di distanza tra loro, hanno due sistemi informativi che non si parlano. Fatti da due aziende diverse con procedure diverse. Cloud dunque prima di tutto. Poi piattaforme uniche tipo Mude per le pratiche edilizie, per il Suap, per i tributi e la relativa verifica, per l’anagrafe e per la richiesta di documenti. Non è difficile e vi sono già strumenti di gestione dei servizi pubblici che vanno in questa direzione. Una seria Agenda digitale per le aree interne deve imporre e dare tempi chiari a questo processo che è imprescindibile e condizione per la gestione associata delle funzioni fondamentali nei piccoli Comuni. Urbanistica, organizzazione del bilancio, Polizia locale, Protezione civile, scuole, trasporti, statistica, catasto sono da regolare in maniera unica e sistemica con piattaforme digitali che dialogano e sono aperte tra Comuni e verso la comunità che interagisce con immediatezza e tempi ridotti. Possono essere queste, molto in sintesi, alcune linee guida per un’Agenda digitale che renda più smart le aree montane. In Paesi come Austria, Svizzera e persino Germania, le politiche centrali e regionali per Enti locali e territori sono orientate verso una differenziazione che non fa rima con esclusività, ma con riconoscimento di un disagio e con necessità di un cambio di passo. Non è una questione di soldi. I Por Fesr e Feasr regionali hanno ancora decine di milioni a bando per questi temi. Vanno orientati con operazioni chiare e possibili. Va fatta formazione. Non ce n’è mai abbastanza. Le storture formative della classe dirigente locale si ripercuotono poi sui livelli istituzionali sovraordinati. Affinché non sia così è opportuno mettere in pista le migliori teste, le migliori imprese e gli esempi migliori di Enti locali.

Una sintesi deve essere veloce e permettere di non perdere ulteriore tempo. Alla BUL – quando arriverà grazie al piano per gli investimenti nelle aree bianche – si può far precedere, a livello di territori (aree vaste o Unioni di Comuni) un sistema di investimenti per realizzare piccole ma molto efficaci reti wi.fi, nelle quali trovino posto la PA e la comunità. Chi lo ha fatto ha una chiave in più, un antidoto al divario. Un vettore per i nuovi servizi e per le nuove opportunità dell’ADM.

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