Il famigerato piano triennale per l’informatica nella PA dovrebbe finalmente uscire nelle prossime settimane. Dopo tanta attesa il condizionale è d’obbligo. Il documento era infatti previsto per la fine del 2013, come specificato nel D.Lgs. “Crescita 2.0”. Perché tanto ritardo? Principalmente per l’alternanza di diversi Direttori a capo dell’AgID, l’Agenzia responsabilizzata a scriverlo, e un contesto politico-istituzionale molto instabile. Ora il piano è nelle mani di Antonio Samaritani e Diego Piacentini, che hanno promesso di finalizzarlo entro la fine del mese.
C’è molta attesa sui contenuti del piano, sia da parte delle Pubbliche Amministrazioni (PA) che delle imprese private che offrono soluzioni digitali al pubblico. Il documento, infatti, specificherà due aspetti chiave per l’attuazione dell’Agenda Digitale: (1) il modello architetturale verso cui tendere per garantire una vera interoperabilità applicativa nella PA; (2) le iniziative che le PA dovranno mettere in campo per riqualificare la loro spesa in tecnologie digitali.
Sulla carta le implicazioni sono enormi. La PA potrebbe essere obbligata a tagliare le spese correnti improduttive (come ad esempio la miriade di CED sparsi sul territorio nazionale) a favore di investimenti abilitanti nuovi servizi (come ad esempio SPID). Le imprese sarebbero incentivate ad ammodernare la loro offerta: potrebbero offrire i loro servizi in cloud e farsi pagare secondo l’effettivo utilizzo piuttosto che a giornate-uomo. La collaborazione tra pubblico e privato sarebbe semplificata dalla presenza di interfacce per lo scambio automatico di dati e informazioni. I cittadini riceverebbero così più servizi e avrebbero occasioni per sviluppare le competenze digitali che in Italia ancora mancano e che in diversi paesi europei sono ormai date per scontate.
Si potrebbe insomma innescare un circolo virtuoso con benefici che andrebbero ad investire proprio tutti. Già, si potrebbe. Ancora una volta il condizionale è d’obbligo. Affinché il piano triennale non rimanga solo sulla carta è infatti necessario prestare attenzione a diversi aspetti. Ne suggeriamo due che riteniamo fondamentali.
Per prima cosa è necessario controllare che il piano sia attuato dalle oltre 20.000 PA presenti nel nostro Paese. Senza un’adeguata attuazione da parte di tutti, infatti, non ci sarà una vera riqualificazione della spesa e non si otterranno i benefici indicati. Come fare allora? Servono bastone e carota: penalizzazioni per chi non riqualifica adeguatamente la propria spesa e incentivi a chi anticipa le scadenze. Oltre a questi, è importante non lasciare la PA sola di fronte alle sfide dei prossimi mesi, ma prevedere invece una qualche forma di affiancamento per risolvere dubbi e incertezze, soprattutto quelli che verranno alla miriade di enti locali di piccole dimensioni con scarse competenze in materia. Bisogna evitare a tutti i costi che l’incertezza si trasformi in paralisi all’agire. Ben vengano quindi le informazioni, la formazione, gli esempi da seguire e da portare a sistema. Sarà opportuno concentrarsi inizialmente su alcuni ecosistemi chiave, per mostrare al resto della PA che si possono ottenere risultati concreti. Uno di questi ecosistemi potrebbe essere quello sanitario. Da solo, infatti, esso cuba circa un quinto della spesa pubblica in tecnologie digitali. Razionalizzare le spese correnti improduttive in sanità consentirebbe di recuperare risorse per alcuni investimenti chiave, come ad esempio quelli per sviluppare i Fascicoli Sanitari Elettronici. Tali investimenti incrementerebbero lo scambio di dati tra operatori sanitari e consentirebbero di fare diagnosi più precise sulla salute dei pazienti.
La seconda questione fondamentale riguarda le risorse economico-finanziarie a sostegno dell’attuazione del piano triennale. Riqualificare la spesa vuol dire tagliare i costi inutili per investire nelle direzioni che saranno specificate dal piano. Non è tuttavia scontato che le risorse per investire si recupereranno immediatamente. Il rischio, allora, è nuovamente quello della paralisi. Per non fermarsi “a metà del guado”, limitandosi a tagliare, le PA avranno bisogno non solo di tecnologi ma anche di esperti di finanza in grado di recuperare le risorse per gli investimenti da attuare. Molte di queste risorse le si possono trovare nei fondi europei, sia quelli a gestione diretta che quelli strutturali. Sui primi la competizione per ottenere finanziamenti è schizzata alle stelle e le PA non collaborano tra di loro e con il privato per aumentare le chance di vittoria. Sui secondi la situazione è molto confusa. Ad esempio, a due anni dall’avvio della programmazione quadro non esiste un rendiconto chiaro di quanto sia stato finora speso dalle Regioni per attuare le loro Agende Digitali. Le progettazioni specificate nei Programmi Operativi sono in forte ritardo e si rischia di non riuscire a usare le risorse provenienti dall’Europa, gettandone gran parte alle ortiche come fatto dal 2007 al 2013. È necessario individuare dei meccanismi tramite cui supportare le PA da un punto di vista finanziario e nel recupero di risorse dall’Europa. L’Agenzia per la Coesione Territoriale giocherà un ruolo da protagonista in questa partita. Le sue azioni dovranno pertanto essere in forte sincronia con quelle del team di Piacentini e dell’AgID.
Le sfide di fronte a noi sono ancora moltissime. Con il piano triennale per l’informatica nella PA, la strategia per attuare l’Agenda Digitale italiana è completamente definita. Si aprirà la fase dell’execution e bisognerà dedicare ancora più energia al coordinamento di tantissimi attori, assicurandosi che facciano effettivamente quanto previsto e che non disperdano le risorse a loro disposizione. Suggeriamo a Samaritani e Piacentini di usare queste ultime settimane per focalizzare come muoversi su questi due aspetti. Altrimenti rischiamo di scrivere l’ennesimo piano che non sarà realizzato.