competenze

Come ripensare la formazione in Sanità ai tempi del digitale

Di fronte ad un quadro di esigenze così varie e mutevoli, la formazione deve perseguire l’obiettivo di uno sviluppo delle potenzialità del soggetto in modo da metterlo nelle condizioni di rispondere in maniera efficace alle sollecitazioni che deriveranno dal suo ingresso nel mondo del lavoro

Pubblicato il 20 Feb 2017

Maurizio Lombardi

Responsabile Scientifico AITASIT TSRM

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Al pari di ciò che avviene per altre aziende, anche le strutture deputate all’erogazione di Servizi Sanitari basano l’efficacia dei propri processi su un mix di risorse tecnologiche ed umane. Negli ultimi quindici anni però, un rilevante cambiamento di paradigma, passato un po’ inosservato, ha interessato quasi tutte le aziende, comprese quelle che operano nel settore socio sanitario. Le pratiche che comunemente fino ad un certo punto della storia di queste aziende, venivano identificate con il termine “amministrazione del personale”, hanno iniziato ad essere individuate attraverso l’uso di locuzioni più corrette quali  “gestione e sviluppo delle risorse umane” (o con terminologie equivalenti). La chiave di questo cambiamento non marginale sta nel ricorso all’uso del termine “risorsa” per indicare la centralità del potenziale umano nei processi di produzione, sviluppo ed evoluzione delle aziende

Probabilmente, ad una prima e superficiale analisi, potrà risultare un po’ strano ragionare dei processi che riguardano le dinamiche lavorative all’interno di un contesto professionale quale è quello in cui un Professionista Sanitario si confronta con i bisogni di salute di una popolazione, attraverso il ricorso a concetti e termini solitamente impiegati in ambiti più marcatamente socio economic . Invece molto di quello che dovrebbe sottendere una revisione dei curriculum e dei percorsi formativi andrebbe ancorato anche al fatto inequivocabile quanto sottovalutato, che le Aziende Sanitarie sono a tutti gli effetti entità produttive di un particolare tipo di servizio che per sua stessa natura è oggettivamente indispensabile: la salute.

Nel condizionare questo tipo di scenario ovviamente la disponibilità tecnologica non può essere sottovalutata, ma accanto ad essa il fattore umano risulta doppiamente cruciale sia perché fondamentale nello sfruttare, gestire e sviluppare al meglio le potenzialità offerte proprio dalla grande disponibilità tecnologica attuale, sia nel contribuire allo sviluppo del contesto professionale in termini di idee, progettualità e capacità relazionali tanto al servizio del proprio contesto (colleghi, collaboratori, altre figure professionali, ecc.) quanto in favore di chi fruisce del servizio in qualità di utente. Ecco probabilmente la più importante ragione per cui non è strumentale mettere in relazione questo stato di cose con  il cambiamento di prospettiva che ha portato a considerare  il capitale umano che opera all’interno di questi servizi, come una vera e propria risorsa.

Le persone al lavoro, negli ultimi decenni, sono state messe anche di fronte alla sfida di contesti professionali fortemente caratterizzati da elementi sconosciuti fino alla metà dello scorso secolo. Per la prima volta anche chi sceglie di impiegare il proprio tempo lavorativo in un ente pubblico ha dovuto sperimentare l’incertezza legata alla difficile collocabilità sul mercato del lavoro e all’esigenza di abbandonare modelli che sembrano innegabilmente superati in virtù di uno scenario economico profondamente mutato. Chi fino ad alcuni decenni fa conseguiva il titolo conseguito al termine del percorso universitario relativo ad una delle Professioni Sanitarie, aveva praticamente concluso la fase della propria vita dedicata all’apprendimento. Ad essa seguiva quasi immediatamente il momento dell’inserimento nel mondo del lavoro attraverso una scelta da parte del soggetto il quale si proponeva (quasi sempre con esito favorevole) alla realtà da lui considerata più appetibile. Salvo diversa scelta da parte del soggetto stesso, in essa egli trascorreva l’intera propria vita professionale con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Non è difficile rilevare che ciascuna di queste considerazioni ad oggi non sono più valide.

Innanzitutto, al termine del Corso di Laurea, la persona può vantare di aver raggiunto solo l’obiettivo minimo e le conoscenze di base necessarie al suo inserimento sul mercato del lavoro. La già citata costante evoluzione tecnologica e il fiorire di Master di I e II livello così come delle Lauree Specialistiche hanno dilatato l’esigenza e l’offerta formativa fino a rendere pressochè impercettibile la linea di demarcazione fra il “tempo dell’apprendimento” e il “tempo del lavoro”.

Quando il soggetto poi si propone alle Aziende in procinto di assumere, il suo potere di scelta è enormemente diminuito rispetto al passato in relazione ad uno squilibrio fra domanda ed offerta di lavoro ormai nettamente sbilanciata in favore della prima.

Inoltre un fattore da tenere in grande considerazione è che anche che, quando il neo laureato fa il proprio ingresso nel mondo del lavoro già sa che probabilmente, nell’arco della propria vita professionale, sarà chiamato a cambiare contesto lavorativo dovendo quindi modificare il modo di mettere la propria professionalità al servizio dell’ambiente e riadattare schemi e modelli di riferimento alla nuova realtà professionale.

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E’ evidente che tutto questo cambiamento di prospettiva sollecita un ripensamento dei processi formativi così da ottimizzarli e renderli coerenti con il mutamento in questione. Di fronte ad un quadro di esigenze così varie e mutevoli, infatti,  la formazione deve perseguire l’obiettivo di uno sviluppo delle potenzialità del soggetto in modo da metterlo nelle condizioni di rispondere in maniera efficace alle sollecitazioni che deriveranno dal suo ingresso nel mondo del lavoro. E’ pertanto indispensabile che, oltre che fornire al soggetto gli strumenti tecnico operativi per svolgere efficacemente i propri compiti, la scuola promuova uno sviluppo che contribuisca a formare persone in grado di mobilitare le conoscenze  apprese durante i momenti che compongono il percorso formativo di ognuno, in modo da renderle spendibili, come un vero e proprio capitale, nel momento in cui le situazioni con cui si dovrà confrontare saranno inevitabilmente imprevedibili e richiederanno pertanto risposte sempre originali.

Il ripensamento delle pratiche formative nell’ottica di una maggiore attenzione al valore della competenza (Competence Based Learning) riassumerebbe quindi in sé due elementi fortemente innovativi:

o    da una parte una radicale inversione di rotta che sposta l’attenzione dall’importanza attribuita al sapere come accumulo di conoscenze ad una  sua più ampia identificazione con la capacità da parte del soggetto di “saper fare” contestualizzando, rielaborando e mettendo all’opera proprio il valore che da       quell’ insieme di conoscenze deve venirsi a creare;

o    dall’altra significa riportare al centro dell’attenzione il soggetto riattribuendo ad esso un ruolo attivo nel dirigere, gestire e progettare il proprio percorso di apprendimento sulla base delle proprie aspettative e dei propri bisogni. Un approccio maggiormente “antropocentrico”  permette infatti una visione di insieme delle potenzialità del soggetto che riconsidera l’importanza, accanto alla dimensione più strettamente tecnico operativa, di quel bagaglio di ricchezza umana ed emozionale che la scuola  non può e non deve trascurare prediligendo ai percorsi precostituiti progetti formativi personalizzati  in grado di sviluppare le doti di unicità ed originalità di ciascuno.

Fra le tante definizioni del concetto di “Competenza”, una di quelle che più ci trova d’accordo e più sembra essere utile nel contesto in cui operiamo è quella che porta la firma di Bernard Rey e che descrive la Competenza come una qualità chiaramente osservabile dall’esterno e caratterizzata da un elemento particolare che è di fondamentale importanza: il fatto che chi è competente è in grado non solo di compiere un determinato compito ma, nel farlo, ha la capacità di far fronte a quell’insieme di  situazioni (quelle che l’autore chiama “microproblemi”) che in qualche modo trasformano una situazione predeterminata in una situazione sempre unica e che, in quanto tale, richiede di volta in volta risposte sempre parzialmente nuove. La capacità di fronteggiare situazioni inedite nell’ambito di un contesto, o di un mandato professionale, rappresenta pertanto il valore aggiunto su cui il soggetto può contare per portare a termine in modo efficace lo svolgimento di un dato compito. E’ qui sottolineato quindi un elemento peculiare della competenza: la sua “potenza generativa” mediante la quale, attraverso una sintesi dei saperi e delle conoscenze necessarie, il soggetto arriva a generare una risposta inedita e personale ad una richiesta che abbiamo detto essere  di volta in volta diversa.

La qualità più importante di un programma educativo in ambito sanitario è la sua pertinenza. Il livello di pertinenza indica il suo grado di conformità rispetto allo scopo prefissato. Lo scopo di un programma educativo in ambito sanitario è quello di mettere quel determinato professionista a cui è rivolto l’intervento formativo, nelle condizioni di sfruttare al meglio tutte le risorse disponibili per rispondere efficacemente alla richiesta di prestazioni sanitarie di una data popolazione.

Le modalità con cui quel preciso professionista è chiamato a mettere in campo la propria opera professionale in risposta ai Problemi Prioritari di Salute costituiscono il suo profilo professionale. Pertanto è evidente che un programma educativo che si prefigga di risultare pertinente non possa che derivare dalla declinazione dei compiti indicati nel profilo professionale in competenze attese e quindi in obiettivi educativi.

Alla luce di queste considerazioni la cosiddetta “Matrice Job-Skill” si configura come uno strumento di grandissima rilevanza e diffusione in ambito di progettazione formativa e di analisi del lavoro. La Matrice Job-Skill è stata importata nel nostro paese dal contesto francese all’inizio degli anni settanta ed esamina e codifica i vari ruoli lavorativi scomponendoli in un più specifico insieme di compiti per ciascuno dei quali vengono individuate le conoscenze, le capacità e le attitudini che si ritiene possano essere messe in relazione attraverso un rapporto di causalità con una prestazione di successo in un dato compito.

SKILL (Competenze)

—————————-

JOB (Compiti)

(Elenco dei compiti)

1)………………….

2)………………….

3)………………….

Sapere

(Conoscenze)

Saper fare

(Capacità)

Saper essere

(Atteggiamenti, attitudini, comportamenti, ecc.)

  (Matrice Job-Skill)     

La matrice, come si può notare, basa il proprio costrutto sull’articolazione delle varie risorse ritenute necessarie nella triplice dimensione: “sapere, saper-fare, saper-essere”. Questi elementi  risulteranno fin d’ora  determinanti nell’affermare all’interno del dibattito specialistico come la competenza sia da riferire ad un insieme di qualità e dimensioni più ampio di quanto non fosse stato preso in considerazione fino ad ora e che comprende oltre che le abilità anche un set di qualità personali riconducibili alla categoria comportamentale qui definita con il termine di “atteggiamenti”.

Nel mettere a punto un progetto educativo in ambito sanitario, vi è anche un’alta preoccupazione che deve guidare  il lavoro di chi è responsabile della sua progettazione. Tale attenzione  riguarda la coerenza fra obiettivi educativi, modalità per il raggiungimento degli stessi e strumenti di valutazione. In pratica non è pensabile che un programma che possa dirsi coerente miri dal punto di vista metodologico ad “insegnare competenze” e finisca poi per valutare lo studente unicamente sulla base delle sue conoscenze. Così come è altrettanto evidente che, sempre da un punto di vista metodologico, non esista una sorta di “ricetta” precostituita ed universale mediante la quale confezionare una serie di  momenti di apprendimento tutti uguali fra loro anche a fronte di un insieme di obiettivi da raggiungere molto eterogeneo. Ed è su questo fattore che la declinazione di un profilo professionale a fini didattici in competenze attese e in obiettivi educativi risulta vincente nel formare un professionista capace di essere efficacemente protagonista della propria vita lavorativa.

La possibilità di individuare per ciascun compito lavorativo il tipo di competenza che risulta cruciale in modo da consentirne la conversione in obiettivo educativo, consente di scegliere sia la metodologia che ne veicoli nel modo più efficace  l’apprendimento sia lo strumento di valutazione più adatto. E’ in quest’ottica che le competenze generalmente chiamate in causa nel lavoro di un professionista in ambito sanitario vengono generalmente suddivise in tre ambiti:

·        competenze intellettive;

·        competenze relazionali;

·        competenze tecnico gestuali

Sebbene la scomposizione di un’azione in tre ambiti di competenza differenti

(competenze intellettive, competenze gestuali, competenze relazionali) rappresenti un artificio, tale articolazione può risultare utile per facilitare la progettazione di un percorso didattico che sia realmente efficace nella preparazione del professionista.

Lo scopo quindi è quello di individuare, per ciascuna azione da compiere, quale sia il campo dominante in termini di competenza (sebbene come detto un’azione è sempre la risultante dell’integrazione di più competenze diverse). A ciascun ambito di competenza corrispondono infatti metodologie di valutazione maggiormente indicate a constatare il raggiungimento o meno di quel dato obiettivo così come è possibile, nell’ambito di più soluzioni, scegliere la metodologia più idonea a sviluppare quella determinata competenza

Un percorso educativo in ambito sanitario è infatti sempre frutto di una pianificazione di tutte le sue componenti. Questo processo di pianificazione è quello che Guibert definisce appunto “spirale delle pianificazione dell’educazione”. Individuato il campo di Competenza dominante esso viene trasformato in Obiettivo Educativo e posto al centro del processo di Progettazione Didattica

Scelti gli obiettivi educativi il passo immediatamente successivo è quello della pianificazione del relativo sistema di valutazione: questo perché non può esistere nessun intervento pedagogico finalizzato al raggiungimento di un obiettivo senza che gli strumenti di valutazione siano stati anch’essi adeguati a ciò che dovranno  misurare. Con i due step successivi riguardanti la preparazione e l’attuazione del programma educativo  e l’attuazione della valutazione, la spirale dell’educazione si propone di inserire all’interno di un progetto globale tutti gli elementi caratterizzanti l’intervento pedagogico così che esso risulti logico oltre che coerente e pertinente rispetto agli obiettivi che si prefigge.

In tal senso una delle attuali esperienze in Italia è rappresentata dall’Associazione  AITASIT.

E’ una associazione di Tecnici Sanitari di Radiologia Medica che dal 2009 è impegnata sul fronte della Formazione, in special modo nel campo della ICT in Sanità. Negli ultimi anni essa ha aperto il proprio orizzonte ad un target più ampio, estendendo la propria formazione a tutti i professionisti della salute.

La nostra Mission ed esperienza è la ricerca di una formazione specifica e di qualità, coinvolgendo gli stessi professionisti della Salute, competenti  e preparati, nell’attività di formazione diretta ai propri colleghi e non.

La nostra iniziativa è soprattutto quella di mettere a disposizione, la propria piattaforma elearning, di quanti ne hanno la volontà e capacità.

Da questa volontà e nata “ATENA”  la piattaforma elearning AITASIT.

Da circa 3 anni l’Associazione AITASIT distribuisce corsi FAD, accreditati ecm, attraverso questa piattaforma.

Oltre a ciò l’Associazione ha ideato ed organizzato, con  cadenza biennale , un corso di aggiornamento in residenziale , sulla stampa 3D  e replica di parti anatomiche, utilizzate sia a scopo didattico o per un planning preoperatotio.

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