La recente audizione di Mario Draghi presso le Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato ha acceso un faro sulle criticità e sulle prospettive del futuro della competitività europea.
Il quadro delineato dall’ex Presidente del Consiglio evidenzia un’Europa in ritardo su diversi fronti: energia, innovazione, regolamentazione, difesa. Un’Europa che, dopo anni di austerità e rigidità fiscale, si trova oggi a dover fare i conti con la necessità di investire massicciamente in settori strategici.
Il nodo centrale? Il finanziamento di queste politiche e la proposta, già discussa in passato e a lungo respinta, di un debito comune europeo.
Indice degli argomenti
Competitività europea e costi dell’energia: un freno per le imprese
Uno dei nodi più critici è il costo dell’energia, che incide pesantemente sulla competitività delle imprese europee e italiane. Draghi ha sottolineato come, nel 2024, il prezzo del gas naturale all’ingrosso sia aumentato significativamente, con un incremento medio del 40% tra settembre e febbraio. In Italia, il costo dell’elettricità è stato superiore dell’87% rispetto alla Francia e del 70% rispetto alla Spagna. Tali cifre rappresentano un ostacolo insormontabile per settori industriali energivori come quello siderurgico (ad esempio, Ilva), chimico (Eni) e manifatturiero (Leonardo), mettendo a rischio la sopravvivenza di molte realtà produttive.
Ma il problema non è nuovo. Già negli anni passati, il costo dell’energia ha rappresentato un freno per la competitività italiana ed europea. Mentre altri Paesi investivano in politiche energetiche mirate, l’Europa si muoveva con lentezza, soffocata da procedure burocratiche e scarsa coordinazione. Il risultato? Dipendenza dalle importazioni e prezzi fuori mercato.
Competitività europea, il gap di cultura dell’investimento che rallenta la crescita
Un aspetto fondamentale che rallenta la crescita dell’Europa è la mancanza di una cultura dell’investimento pubblico e privato, a differenza di altri Paesi come la Francia e gli Stati Uniti. Se in Francia esistono strumenti statali che sostengono l’industria, l’innovazione e la ricerca con capitali importanti – basti pensare alla Banque Publique d’Investissement (BPI) o alle ingenti risorse destinate a progetti strategici nazionali –, in Italia e in Europa si è spesso preferito imporre vincoli di bilancio e austerità, soffocando la possibilità di crescita. Mentre negli USA la spinta agli investimenti ha permesso la nascita di colossi come Tesla e SpaceX, in Europa manca un ecosistema che favorisca lo sviluppo di aziende tecnologiche e industriali con lo stesso livello di supporto statale.
Il finanziamento pubblico può essere una leva fondamentale per avviare progetti strategici, ma non deve diventare l’unica fonte di sostegno per le imprese. Abituare le aziende a dipendere esclusivamente da capitali pubblici può diventare controproducente, creando un mercato inefficiente e rallentando la crescita del settore privato. Occorre invece stimolare la partecipazione dei fondi privati, incentivare vere partnership pubblico-private (PPP) e sostenere tutto il ciclo di investimento, dal venture capital fino all’IPO. Aziende come Prima Industrie, che opera nel settore delle macchine per la lavorazione dei metalli, e STMicroelectronics, leader nell’elettronica avanzata, dimostrano quanto sia cruciale l’accesso a capitali privati per mantenere la competitività globale.
Regolamentazione e innovazione: ostacoli alla crescita e alla competitività europea
L’Europa soffre di un eccesso di regolamentazione e frammentazione normativa che penalizza la crescita e l’innovazione. Con 100 leggi sul settore high-tech e 200 regolatori nazionali differenti, il mercato unico è costellato di barriere che impediscono lo sviluppo delle imprese. Secondo un’analisi del FMI, tali barriere interne equivalgono a un dazio del 45% sui beni manifatturieri e del 110% sui servizi.
In questo scenario, molte aziende italiane ad alta tecnologia, come Leonardo nel settore della difesa e Comau nell’automazione industriale, devono affrontare un contesto normativo frammentato che rallenta lo sviluppo e l’espansione sui mercati internazionali.
Il Satcom divide e la mancanza di un’infrastruttura satellitare europea
Un altro nodo cruciale della competitività europea è il Satcom divide, ovvero il ritardo nella connettività e nelle infrastrutture digitali. In un mondo sempre più interconnesso, l’Europa soffre di una copertura a banda larga non uniforme, con enormi differenze tra le varie regioni. Questo non solo frena l’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie, ma rende l’Unione vulnerabile in settori chiave come le telecomunicazioni e la sicurezza informatica.
Ancora più grave è il ritardo nelle comunicazioni satellitari. L’Europa non ha sviluppato un’alternativa credibile a Starlink, la costellazione di satelliti di SpaceX che oggi domina il mercato delle connessioni satellitari. Questo problema non è nuovo: l’Italia, ad esempio, decise nel 2001 di uscire dai consorzi europei di satelliti per fare cassa durante la privatizzazione delle di Telecom, nonostante disponesse già di satelliti avanzati che fungevano da backbone satellitare e vere e proprie centrali telefoniche volanti. L’assenza di una strategia europea condivisa in questo settore significa che l’Unione è costretta a dipendere da operatori extraeuropei, con implicazioni sia economiche che strategiche.
Competitività europea: l’impatto del ritardo nell’IA e nello spazio
Un altro punto di criticità è rappresentato dall’intelligenza artificiale, un settore in cui l’Europa sta perdendo terreno rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Otto dei dieci principali modelli di IA provengono dagli USA, mentre l’Europa rimane un fanalino di coda. Draghi ha proposto di incentivare l’adozione dell’IA nei settori industriali e dei servizi, piuttosto che puntare esclusivamente sulla ricerca di base, dove il gap con gli altri attori globali appare ormai incolmabile.
Anche nel , nonostante realtà di eccellenza come Thales Alenia Space e Avio, l’Europa arranca. Mentre aziende come SpaceX e Blue Origin rivoluzionano il settore con lanci a basso costo e tecnologie avanzate, l’Agenzia Spaziale Europea e le industrie europee faticano a tenere il passo, anche per mancanza di investimenti.
Non aiuta l’ipotesi di una fusione tra Airbus e Thales, che rischia di creare uno squilibrio a favore della Francia. Se questa operazione dovesse concretizzarsi, l’industria italiana dei satelliti e dei grandi veicoli spaziali – una delle componenti più redditizie dell’intero comparto – si troverebbe diluita in una struttura che privilegia le esigenze del socio di maggioranza francese. Questo dimostra come la coesione europea non possa trasformarsi in una mera cannibalizzazione delle eccellenze italiane, che meritano di essere tutelate all’interno di un progetto realmente condiviso.
Il ruolo dell’Italia nel cambio di passo europeo
Le sfide che l’Europa deve affrontare oggi sono numerose e interconnesse: dall’alto costo dell’energia all’eccesso di regolamentazione, fino al ritardo nell’innovazione e alla frammentazione del mercato della difesa. In questo contesto, la relazione di Mario Draghi pone l’accento sulla necessità di superare vecchi schemi e logiche di distribuzione dei fondi che rischiano di frenare lo sviluppo europeo.
Uno dei punti centrali della sua analisi riguarda l’abbattimento del principio di Geo Ritorno, ovvero il meccanismo che lega i finanziamenti europei alla ripartizione geografica, più che alla qualità e all’efficacia dei progetti. Draghi propone un approccio più strategico: non si tratta di chi mette più soldi, ma di come questi vengono utilizzati, affinché vadano a finanziare progetti realmente innovativi e competitivi.
Tuttavia, affinché l’Italia possa davvero beneficiare di questa nuova impostazione, è fondamentale un cambio di passo a livello nazionale. La coesione europea non può prescindere dalla coesione interna: servono regie uniche, strategie chiare e competenze consolidate per assicurare che il nostro Paese sia un attore determinante nelle decisioni comunitarie. Senza una visione strutturata e unitaria, diventa difficile trattare alla pari con gli altri stati membri e garantire che i fondi vengano destinati con criteri di equità e merito.
Il principio di fair play deve valere per tutti, ma ciò non significa abdicare alla necessità di dimostrare fermezza e competenza, specialmente nei settori chiave per il futuro: difesa, spazio, energia e comparti industriali tecnologici. Questi settori rappresentano il motore della crescita europea e devono essere sviluppati con logiche di eccellenza, non solo di ripartizione geografica.
L’Europa deve diventare un sistema realmente competitivo, capace di affrontare le sfide globali senza frammentazioni inutili. Per farlo, serve un equilibrio tra cooperazione e valorizzazione delle eccellenze nazionali: mettere risorse insieme, sì, ma con una visione chiara di dove e come investirle per il bene di tutti.