Se mai ci fosse stato qualche dubbio sulla necessità dell’Italia di accelerare la diffusione della banda ultralarga, la pandemia di covid-19 lo ha definitivamente spazzato via: durante il lock down si sono toccati con mano i vantaggi del digitale per l’economia (che senza lo smart working avrebbe rischiato di fermarsi completamente) e per l’ambiente. E proprio per rilanciarci dopo la caduta a picco del pil nel 2020, abbiamo bisogno della leva del digitale sull’economia.
Tuttavia, per proseguire su questa china occorrono le infrastrutture abilitanti di rete, sia fisse che mobili. Queste ultime sono particolarmente importanti perché, rispetto agli altri paesi europei, l’Italia si caratterizza per la sua orografia e per il numero di “case sparse”, ossia di insediamenti abitativi di piccole dimensioni che non è remunerativo/fattibile coprire adeguatamente con reti fisse in tecnologia ultra-broadband.
Eppure, si diffonde a macchia d’olio, un movimento di contrasto al 5G, che sta portando molti Comuni italiani a vietare l’installazione delle antenne nonostante non vi siano prove scientifiche della pericolosità della tecnologia. Vediamo quali sono i rischi che l’Italia correrebbe a causa di un ulteriore stallo nel processo di infrastrutturazione digitale e perché il decreto cosiddetto Semplificazioni rappresenta un primo passo per consentire al nostro Paese di mantenere la tradizionale leadership in questo settore.
I dati della Relazione Agcom
Il nostro paese è, infatti, da tempo leader nella diffusione della telefonia mobile e, come risulta dalla recente Relazione annuale dell’Authority per le comunicazioni del 7 luglio, sta conoscendo un vero e proprio boom anche la diffusione dei servizi a banda ultra-larga in tecnologia wireless (fixed wireless access o FWA), settore in cui, oltre a Eolo e Linkem (gestori adesso ben noti a tutti noi), stanno massicciamente investendo anche operatori più tradizionali come TIM e Vodafone. Al momento, le linee FWA sono oltre 1 milione, superando il numero dei collegamenti FTTH (così che, ad esempio, Eolo è il primo operatore UBB in Valle D’Aosta).
Come mostra la citata Relazione annuale dell’AgCom,
- i ricavi dei gestori mobili sono in costante calo, anche a causa della pressione competitiva determinata dall’ingresso di Iliad nel mercato (-5.4% di ricavi unitari per SIM nell’ultimo anno);
- i consumi della telefonia mobile sono sempre maggiormente indirizzati verso il trasferimento dati, essendo i ricavi da “tradizionali” chiamate in costante calo (gli SMS, un tempo tra i più profittevoli servizi, sono ormai solo un ricordo);
- il numero di SIM usate per servizi machine-to-machine ha superato 24 milioni, segno evidente della diffusione dei connected devices; correlativamente,
- gli investimenti dei gestori mobili, dopo il salasso delle gare per le frequenze 5g, stanno rallentando.
In questo scenario, di tutto si avrebbe bisogno tranne che di ostacoli agli investimenti in tecnologie mobili e wireless di nuova generazione.
I movimenti “NO 5G”: il nodo delle emissioni
Tuttavia, come spesso avviene in occasione di rivoluzioni industriali, appaiono movimenti luddisti, in questo caso “No 5G”, che si oppongono agli investimenti facendo leva su presunti rischi per la salute.
Sulla loro scia, numerosi Comuni stanno ponendo ostacoli burocratici alla realizzazione delle reti mobili. Molti di essi ritengono persino, sulla base del principio di precauzione e delle norme di cui alla Legge n. 36/2001 in materia di elettrosmog, di poter vietare l’installazione di reti nel proprio territorio.
È così già nato un notevole contenzioso tra autorità locali e gestori, con tutte le incertezze del caso. Ad esempio, con provvedimento del 2 luglio, il TAR Palermo ha annullato il provvedimento con cui un Comune siciliano aveva vietato l’installazione di reti 5G nel suo territorio, ritenendo che la citata legge sull’elettrosmog si limiti ad attribuire ai Comuni poteri urbanistici sul quomodo, e non già sull’an delle reti che rispettano i limiti di inquinamento stabiliti ex lege.
Ma il 5G non fa male alla salute (in base alle evidenze disponibili)
Come ribadito recentemente dall‘Istituto Superiore di Sanità (ISS) in merito al rapporto tra emissioni 5G e salute, non ci sono prove scientifiche che gli impianti 5G siano più pericolosi e dannosi di quelli 2G-4G già in uso.
Anche secondo l’ARPA dell’Emilia Romagna (ARPAe), rispetto alle attuali tecnologie trasmissive, “l’aumento degli impianti non significherà necessariamente un aumento di emissioni elettromagnetiche”; anzi, “se il 5G soppianterà in parte o del tutto le altre tecnologie, si avrà una progressiva diminuzione dei livelli di campo elettromagnetico, in quanto, proprio per le caratteristiche sopra illustrate, l´uso di particolari antenne adattative fa sì che le emissioni derivanti dal sistema 5G siano inferiori e ottimizzate nello spazio”.
Agcom, Agcm, la Commissione UE e Colao a favore del 5G
Ancora, come afferma un’autorità terza e indipendente, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) – certo non tenera nei confronti delle aziende in generale e in quelle del settore tlc in particolare – nel nostro Paese sono applicabili limiti all’inquinamento elettromagnetico anche eccessivi, “alla luce dei risultati delle richiamate valutazioni scientifiche” (segnalazione n. S3904 del 1° luglio sul confronto tra i limiti italiani e le linee-guida internazionali, v. l’articolo del Prof. Capone, Limiti elettromagnetici, a rischio il 5G in Italia: ecco perché dobbiamo adeguarci all’Europa, pubblicato su questa rivista in data 10.4.2019).
Ragion per cui, sempre nella citata segnalazione, l’AGCM ha ribadito alle istituzioni politiche “l’auspicio che vengano rimossi gli ostacoli ingiustificati all’installazione di impianti di telecomunicazioni mobile e broadband wireless” di cui alla Legge n. 36/2001 e, più in generale, in linea con le previsioni del codice europeo delle comunicazioni elettroniche (Direttiva UE n. 2018/1972 o “Codice UE”), che vengano eliminati tutti gli “ostacoli ingiustificati all’installazione di reti mobili”. Sempre sul tema l’AGCM chiede l’adozione di nuovi “standard di misurazione” delle esposizioni elettromagnetiche.
Analoghi suggerimenti erano contenuti anche nel piano della Commissione Colao.
Dal canto suo, anche l’approfondimento sull’impatto del Covid allegato all’ultima Relazione annuale AgCom pone l’accento sulla necessità di una disciplina che agevoli gli investimenti privati al fine di beneficiare appieno dei frutti della rivoluzione digitale e ridurre gli esistenti spazi di divario tecnologico (e, correlativamente, sociale) all’interno del Paese (v. Figura 26).
Il tema di una possibile armonizzazione o, comunque, di una revisione degli attuali limiti elettromagnetici imposti dai singoli Stati per facilitare la realizzazione di reti mobili di nuova generazione è anche uno degli aspetti su cui il forum europeo delle autorità di regolazione del settore delle comunicazioni elettroniche, BEREC, si impegnerà nei prossimi mesi, anche tendendo conto di quanto previsto agli artt. 57-58 del Codice UE (v. §2.6 del BEREC Report on the impact of 5G on regulation and the role of regulation in enabling the 5G ecosystem, dicembre 2019).
Dal canto suo, lo scorso 23 giugno il Commissario UE al mercato interno, Thierry Breton, ha descritto la connettività 5G come un “importante pilastro” per il recupero dell’economia UE post Covid e che l’accelerazione dei relativi investimenti rappresenterà una “priorità politica” per l’esecutivo europeo.
In sostanza, come risulta da più fonti imparziali (AgCom, AGCM, ISS, ARPAe, Commissione UE):
- la Collettività ha bisogno di connessioni a banda ultra-larga in tecnologie mobile e wireless;
- i gestori mobili, anche appesantiti dagli oneri di licenza 5G, hanno rallentato gli investimenti poiché la loro redditività è diminuita;
- un numero, apparentemente nutrito, di Comuni sta ostacolando la realizzazione di reti mobili, nonostante
- non ci siano prove scientifiche sulla maggior pericolosità del 5G e
- l’Italia sia dotata di severi limiti di esposizione elettromagnetici, più stringenti di quelli applicati a livello internazionale.
Le misure “pro-5G” del decreto Semplificazioni
In questo contesto, è intervenuto l’art. 30 del Decreto-legge “Semplificazioni” il quale prevede alcune misure specifiche per facilitare la realizzazione di reti mobili.
In aggiunta ad altre disposizioni acceleratorie in materia di autorizzazioni, si prevede così, ad esempio, che – per l’installazione di reti mobili temporanee destinate a soddisfare picchi di domanda dovuti a situazioni di emergenza, sicurezza, esigenze stagionali, manifestazioni, spettacoli o altri eventi – operi una procedura di silenzio-assenso dopo 30 giorni dalla comunicazione del gestore.
Oltre a ciò, con riferimento ai cennati auspici di AGCM e Piano Colao, si modifica l’art. 8, comma 6, Legge n. 36/2001, prevedendo che “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell’art. 4”.
In altri termini, questa disposizione consolida, in via autentica, il già citato orientamento giurisprudenziale, secondo cui i Comuni non possono impedire tout court la realizzazione di reti mobili nei propri territori, né stabilire limiti elettromagnetici più stringenti di quelli stabiliti a livello nazionale.
Emissioni elettromagnetiche del 5G, effetti sulla salute: lo stato delle ricerche
Conclusioni
Nelle more di un più approfondito dibattito scientifico-politico sulla proporzionalità nel contesto tecnologico attuale dei limiti elettromagnetici stabiliti nel 2001 nonché dello sviluppo dei nuovi standard di misurazione auspicati dall’AGCM ed eventualmente delle nuove linee-guida europee, si tratta di un primo passo necessario per consentire all’Italia lo sviluppo delle tecnologie mobili di nuova generazione, permettendo al nostro Paese di mantenere la tradizionale leadership in questo settore.
A regime, la disciplina in materia di vigilanza e controllo sulle emissioni elettromagnetiche nonché, più in generale, sui poteri degli enti locali nei procedimenti autorizzatori delle infrastrutture tlc dovrebbe essere recata in modo organico nel provvedimento legislativo con cui, entro dicembre 2020, l’Italia dovrà recepire il Codice UE (e i suoi articoli sul punto, come l’art. 43). Anziché una pedissequa trasposizione verbatim delle disposizioni europee, sarebbe auspicabile un dibattito, anche politico, su questo tema al fine di indirizzare le priorità tecnologiche del nostro Paese in questo delicato momento di snodo regolamentare.