Si chiama digital gender gap e si traduce in un dato disarmante. Nel mondo una donna su 5 non ha accesso a internet. Secondo il report pubblicato da World wide web foundation, i governi di 32 paesi, tra cui India, Egitto e Nigeria, hanno perso circa 126 miliardi di dollari in un anno, a causa del loro fallimento nel garantire alle loro cittadine un equo accesso alla rete. Parliamo del 21% di possibilità in meno rispetto agli uomini.
Un impedimento che poggia su barriere che sono sotto agli occhi di tutti. Le differenze salariali, che impattano direttamente sui costi dei dispositivi e delle tariffe dati, le disuguaglianze nell’accesso all’istruzione e quindi anche alle competenze digitali oltre, questo il tema più scottante, all’imposizione di norme sociali penalizzanti. È evidente che questo significa escludere una fetta della popolazione, significa non permettere loro di contribuire al bene della comunità, significa in buona sostanza differenziare i diritti a seconda del genere.
A nessuno dovrebbe essere negata questa incredibile risorsa, a nessuno dovrebbe essere negata la possibilità di partecipare responsabilmente alle attività e ai servizi rivolti alle persone, a creare una economia etica, durevole e finalizzata alla crescita del proprio Paese.
Il PNRR mette la digitalizzazione non solo al centro delle politiche di sviluppo economico, equo e sostenibile del Paese, ma soprattutto al primo posto come fattore di rimozione delle disuguaglianze di genere, a partire dal mercato del lavoro. E questa è una occasione che dobbiamo essere in grado di sfruttare in tutte le sue potenzialità.
Digitalizzazione delle imprese
Siamo consapevoli che in tema di digitalizzazione delle imprese l’Italia non brilli nei primi posti della classifica e soprattutto stando al report “Digital Infrastructure Index” pubblicato nel 2020 da Ernst & Young, la situazione italiana si presenta piuttosto disomogenea.
Spesso aziende, fabbriche, piccole e medie imprese – le PMI per intenderci – si trovano in aree periferiche o comunque ai margini delle grandi città, in quelli che definiamo distretti industriali e artigianali, alcune perfino in zone montane, che risultano quasi sempre escluse dai piani di investimento. Eppure, le PMI svolgono un ruolo centrale nell’economia italiana. Rappresentano il 99,9% del numero totale di imprese attive (4,4 milioni di PMI), circa l’80% dei posti di lavoro e il 70% del valore aggiunto (VAL). Perché non invertire questa tendenza e cominciare a pensare che invece la connettività possa rafforzare i piccoli borghi, arricchendoli di progetti di sviluppo e di promozione del territorio che possano attrarre famiglie e nuove aziende, perché non spingere verso la digitalizzazione delle aree interne?
Troppi italiani ancora senza connessione
Oggi che l’emergenza pandemica ha cambiato la nostra percezione, accelerando molti processi, gli italiani si dicono entusiasti della “digital life”, eppure 4,3 milioni di persone sono ancora senza connessione, si legge nella ricerca “La digital life degli italiani” realizzata dal Censis in collaborazione con Lenovo. Inoltre, abbiamo ben 24 milioni di italiani che non si sentono a proprio agio con le tecnologie digitali, vuoi per le difficoltà di utilizzo delle piattaforme, vuoi per i problemi di navigazione e in generale poca dimestichezza con gli strumenti.
Le difficoltà quindi sono ancora molte, le aziende che intendono dotarsi di una connettività professionale e stabile devono gioco forza rivolgersi a chi ha la volontà, le capacità tecniche e le risorse per progettare un’infrastruttura personalizzata.
Il salto culturale che serve
Non so se quello che ci aspetta sarà un mondo davvero migliore. Ma dobbiamo farci trovare preparati. Quello che sappiamo con certezza è che lo scenario sarà sempre più caratterizzato da un groviglio di relazioni. Cittadini, consumatori, opinionisti e informazione sempre più pervasiva, dove la realtà si mescolerà con facilità a scenari virtuali e aumentati. Una enormità di dati alla portata di tutti, che faranno cadere le vecchie, rassicuranti certezze per lasciare il posto a nuove interconnessioni fatte di aziende, professionisti, individui e competenze del mondo pubblico e di quello privato. Una enorme quantità di elementi da interpretare, condividere e archiviare in sicurezza. Difendere server, dispositivi mobili e reti dagli attacchi informatici passerà, anzi è già passato, dall’essere una opzione all’essere una necessità inderogabile. In un mondo dove gli attacchi DoS (Denial-of-Service) e DDoS (Distributed DoS) sono in continuo aumento ed è importante disporre di un piano di difesa veloce e affidabile.
È importante prima di ogni altra cosa fare un salto di ordine culturale, costruendo contenuti semplici, immediati e naturali per diffondere quella “cultura” necessaria affinché un imprenditore possa affrontare sempre meglio la sfida del digitale. Servono competenze digitali, servono quelle abilità tecnologiche che consentano di individuare, valutare, utilizzare, condividere e creare contenuti grazie alle tecnologie informatiche e al web.
Conclusioni
Mi piace ripetere che per ogni problema esiste sempre una soluzione, a volte è poco nota, a volte non è diffusa, altre volte semplicemente non se ne è mai sentito parlare. Ma la competitività del tessuto imprenditoriale italiano può migliorare, serve l’introduzione di un piano di innovazione e digitalizzazione delle PMI, in cui anche i fornitori di servizi digital si mettano a servizio, e siano in grado di creare soluzioni su misura, colmando la mancanza di competenze e di figure aziendali specializzate.