Commissione europea

Consultazione Ue sulle piattaforme digitali: e se fossimo fuori strada?

Riflessioni sulla consultazione online avviata dalla Commissione Europea sulle piattaforme digitali. Stiamo chiudendo la stalla quando i buoi sono scappati da anni: mettere le mutande a Internet, e farlo da un continente abbondantemente in ritardo, è un po’ come tentare di regolamentare la curvatura e la lunghezza media delle banane

Pubblicato il 03 Dic 2015

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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Avviata in settembre, procede la consultazione online sulle piattaforme online promossa dalla Commissione Europea con l’obiettivo di esaminare il loro ruolo economico e le responsabilità degli intermediari.
L’idea è ottima, e il fine nobilissimo: come ricorda il Vicepresidente della Commissione UE per il mercato unico digitale, “… le piattaforme giocano un ruolo sempre più importante nelle nostre vite. Fanno parte di una economia digitale prospera, ma ci sono alcune questioni sulla loro trasparenza e il loro uso dei contenuti. Il geoblocking ha troppo spesso l’effetto di ridirigere o bloccare i consumatori in funzione della loro nazionalità o luogo di residenza, e questo non contribuisce allo sviluppo del commercio elettronico transfrontaliero che è nell’interesse dei consumatori e delle imprese”.
E’ quindi fondamentale “tastare il polso” ai cittadini e alle imprese europee con l’obiettivo di rappresentare il loro punto di vista rispetto a un tema assolutamente centrale e i cui risvolti in termini di sviluppo economico sono assolutamente evidenti.

Ho partecipato alla consultazione (qualificandomi come “individual citizen”) perché volevo da un lato contribuire alla formazione di una pubblica opinione in materia, e dall’altro mi interessava (anche dal punto di vista professionale, in considerazione del lavoro che faccio) come era stato costruito il questionario.
Magari sarò partito prevenuto, chissà: fatto sta che alla fine della compilazione mi è sembrato di aver partecipato a un rito collettivo il cui obiettivo non dichiarato è riassumibile in due parole. “Ammettiamolo: questi americani stanno davvero esagerando”.
Sarà che di questionari ne progetto parecchi ogni anno, e quindi quando ne compilo uno non mio inevitabilmente finisco per andare a cercare i peli nell’uovo e le domande “fortemente indirizzate” cui è difficile rispondere andando contro al copione scritto a tavolino se non finendo per fare la figura del totalmente irresponsabile o di quello che risponde sempre “non saprei”.
Un po’ come se chi ha predisposto il questionario avesse in mente uno schema preciso: gli Over The Top sono birichini, gente pronta a vendersi i nostri dati e a cambiarci le carte contrattuali in tavola ogni qual volta ne ravvisino una nuova opportunità per arricchirsi, e via di seguito.
Ma queste sono, dicevo, le considerazioni di un ricercatore malizioso. E come tali vanno lette: un po’ come quei pensionati che si sporgono per guardare i lavori in un cantiere e scuotendo la testa disapprovano il lavoro del povero capomastro di turno.

Veniamo invece alla sostanza Ma siamo proprio sicuri che il cyberspazio (perché è di questo, alla fine, che stiamo parlando) possa diventare un’entità frazionata a livello geografico?

Non so perché, ma l’espressione “an European Cloud” – ad esempio – mi fa venire in mente l’urbanistica tzigana e la dialettica tautologica: due discipline ipotizzate nello spassosissimo “Progetto per una Facoltà di Irrilevanza Comparata” di Umberto Eco all’interno del Dipartimento di Ossimorica.
In subordine, questa non poi così troppo nascosta intenzione della Commissione di “mettere le mutande a Internet” odora di “chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi”.
Perché almeno su una cosa saremo tutti d’accordo: non c’è nessuna ragione fisiologica, chimica, persino astrologica per cui una Google o una Amazon non sarebbero mai potute nascere in Europa.
Il primo fatto vero è che mentre nascevano i primi OTT, a Bruxelles si passavano settimane a stabilire la curvatura ottimale della banana e a sostituire il sughero con la plastica nei tappi delle bottiglie di vino.
Il secondo fatto vero è che nessun banchiere europeo è in grado di mettere insieme all’interno di una stessa frase le parole “asset immateriali” e “si concede il finanziamento”.
Il terzo fatto vero è che la morale corrente europea, nel periodo in cui abbiamo fatto scappare i buoi, era orientata sulla guerra al cattivone Microsoft che fa i soldi col software.
Il quarto fatto vero è che i capitali, come il cloud, non riescono per loro natura intrinseca a finire ingabbiati all’interno di confini geografici.
Mettere le briglie agli OTT, immaginando limitazioni o – peggio ancora – sognando la nascita di una Amazon o di una Twitter “de noantri”, rischia di provocare la definitiva marginalizzazione di un Continente (UK esclusa, è bene precisarlo) da parte di chi – piaccia o non piaccia – ha dalla sua il fatto di averci creduto e di esserci riuscito.

E tutto questo, si badi bene, non significa affatto che abbiamo perso una guerra e/o che patiremo conseguenze economiche.
Il formaggio di fossa che compreremo su eBay continuerà ad essere romagnolo, i turisti spostati a milioni da Booking.com verranno a rifarsi gli occhi alla Reggia di Caserta. I tulipani resteranno olandesi, anche se magari li acquisteremo su Amazon. Così come olandesi continueranno ad essere le barche acquistate dai ricconi di Internet.
E le nuvole continueranno a non fermarsi a mostrare il passaporto in dogana: il bit è come lo zingaro, e va.

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